La crisi contemporanea tradotta in romanzo*
di Massimo Nardi
“Il professore, la morte e la ragazza” (Armando Editore, 2019) è il libro più recente di Antonio Saccà: un’opera che ne riassume, nella struttura allegorica del romanzo, l’intero percorso creativo.
Saccà, autore di pregevoli saggi di natura sociologica, reinterpreta le sue riflessioni in chiave letteraria portando in scena tre personaggi: due umani, il “professore” e la “ragazza”, ed uno astratto: la “morte”, che incombe come un convitato di pietra.
Bastano questi pochi cenni per suscitare l’idea di un andamento narrativo ricco di tensione. E l’opera non delude le aspettative, le oltrepassa anzi in un crescendo di colpi di scena che dilagano in una torrenziale autoconfessione.
Saccà si esprime senza filtri, con un linguaggio a tratti volutamente eccessivo, atto a rappresentare le ansie, le paure, la crisi dell’uomo contemporaneo di fronte a una realtà che lo sovrasta e lo minaccia. Frequente è il ricorso al dialogo interiore, per riprodurre il ritmo convulso dei pensieri che si arrovellano nella mente del protagonista: «Le giornate adesso precipitano. Appena il settantesimo anno si affaccerà, giungerà correndo il settantunesimo. Giunta al culmine l’esistenza si affretta. La Morte, la Morte vera comincerà a scrutarmi da vicino, mi dirà di prepararmi al bagaglio da questa terra degenerata e magnifica…».
Il “professore” è l’emblema dell’intellettuale onesto, dell’uomo di cultura che ha speso la sua vita negli studi, pur non disdegnando qualche eccesso di erotica esaltazione. Giunto all’età della pensione, insegue un residuo di felicità che gli consenta un ultimo slancio vitale. È appunto questo il ruolo della “ragazza”: una giovane amante che gli si lega. La misteriosa copertina del pittore Carmelo Crea la simboleggia. Un rapporto tormentato e complesso che sarebbe difficile definire “amore” ma che ben rappresenta la complicità di due anime alla deriva in un mondo senza punti di riferimento.
A questa polarità si sovrappongono una serie di personaggi che entrano ed escono di scena come maschere indistinte. Personaggi che hanno attraversato, in momenti diversi, l’esistenza del professore: le donne che gli hanno consentito rari momenti di appagamento e di gioia, gli studenti che hanno ascoltato le sue lezioni, il prete spretato che vuole riscrivere la Bibbia, il capitalista folle che affida alla tecnologia la sua illusoria speranza d’immortalità… Figure dolenti destinate a perdersi nel magma della vita.
Su tutti sovrasta la morte. La morte che fa capolino in ogni circostanza: nella provvisorietà degli incontri, nell’incompiutezza dei sogni, nella precarietà degli affetti… La morte, “leitmotiv” che agisce sullo sfondo degli eventi e che, per quanto esorcizzata, è sempre lì in agguato per rammentarci il nostro destino.
La crisi del protagonista coincide, in tutta evidenza, con la crisi di un’epoca. Vi si legge in filigrana il declino del modello occidentale che ha perduto il suo primato di criterio interpretativo del mondo disgregandosi in un delirio irrazionale che minaccia tutto e tutti: uomini, donne, istituzioni, economie e sistemi sociali, elevando l’ingiustizia a regola di condotta.
Un archetipo non nuovo nel mondo letterario, e che tuttavia Saccà interpreta con energia inedita obbligando il lettore ad una sorta di dolorosa identificazione. Suggerendo una conquista di consapevolezza che, attraverso l’analisi impietosa del reale, invita a trascendere l’omologazione indotta dai pregiudizi.
Vengono in soccorso l’arte, la religione, la filosofia. E tuttavia nessuna di queste altissime espressioni del pensiero è sufficiente a dipanare il mistero della vita ponendo un argine alla morte, contraltare incombente.
Ogni tanto uno slancio: «Volare! Quando concepivo una possibilità di futuro mi sorgeva la pretesa di volare, andarmene sopra boschi fitti, a guardarli, alto con le braccia larghe, le gambe aperte, il volto in giù…». Un istante di eternità: «l’eternità, non riesco a concepire un’altra parola, questa antichissima parola, qualcosa di sovrastante, indeterminabile nella durata… ». Una preghiera: «mi sgorgò una preghiera, all’ignoto, al niente, al buio. A Qualcuno, a una Potenza sconosciuta, a una Forza sopra la mia, capace di risolvere ciò che io non sapevo sciogliere». Ma poi l’incombere della morte torna a imporsi su tutto, nella presa d’atto dello stillicidio del tempo: «Mi sarei aggrappato ai muri per arrestare il tempo maledetto che mi si rigirava nella mente mentre camminavo e mi faceva inoltrare nel nulla ad ogni passo, poiché ogni passo confermava che niente rimaneva di quanto avevo vissuto».
In questo caos di sensazioni e sentimenti ognuno potrà ritrovare attimi e pensieri che lo riguardano. È forse per questo che il libro cattura il lettore pagina dopo pagina, nonostante si tratti di una lettura non facile. Saccà non cerca il facile consenso: sua primaria esigenza è una sincerità a tratti disarmante, una fotografia autentica dell’esperienza nelle sue mille contraddizioni, un’analisi psicologica rivelatrice di moti e sommovimenti dell’animo che spesso è difficile confessare, ma che fanno parte della nostra natura nella sua impenetrabile commistione di bene e di male.
Un romanzo impostato sul gioco delle contrapposizioni: l’asprezza di un tessuto narrativo costellato di ansie nel quale si aprono, a tratti, parentesi di grande densità emotiva, come nel bellissimo incontro con la madre (uno dei momenti più intensi dell’intera narrazione), dove il riemergere di un antico canto spezza la solitudine della demenza senile.
Ma se il destino dell’uomo è solo quello di apparire e uscire di scena, a che è servito il tanto scrivere, pensare, argomentare, che hanno connotato la vita del professore? Semplicemente a vivere: «amando ciò che insegnavo riuscivo a dimenticare la catastrofe della mia vita».
Rimane senza risposta l’interrogativo sul senso dell’esistenza. Sopite aspirazioni d’ordine spirituale e religioso permangono in un’area irrisolta, senza che la ragione riesca a coniugarsi con la fede.
Non anticipiamo nulla sul finale a sorpresa, che sembra contraddire l’intero arco vitale del protagonista e che tuttavia trova una sua paradossale giustificazione nella legge di natura che il professore decodifica dalla sequenza drammatica degli eventi: «Tutto è inconsistente equivalenza nel suo concludersi nel niente».
Antonio Saccà, come esponente delle scienze umane ed epigono di un’ideologia culturale che ha avuto origine dal cartesiano “cogito ergo sum”, descrive magistralmente l’estremo approdo del pensiero consentito dal metodo razionale. E tuttavia, sullo sfondo della trama, s’avverte ovunque la speranzosa attesa di una rivelazione in grado di illuminare il lato oscuro dell’esistenza.
Riteniamo che in questo dualismo risieda il principale motivo di fascino del romanzo.
*Armando Editore. PP. 354. Euro 17
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