18 novembre 2018

I MITICI ANNI SESSANTA. UNO SGUARDO A MEZZO SECOLO DAL ‘68

Periodo tormentato, ma ricco di nuovi fermenti in ogni campo, gli anni Sessanta furono 
caratterizzati da forti inquietudini giovanili culminate poi nel 68, dopo il quale nulla fu più uguale a prima.

di Emilio Asti

Nel corso della storia vi sono momenti che paiono segnare una svolta, uno di questi fu la decade degli anni ’60, periodo molto inquieto, di profonde trasformazioni sociali, ferventi speranze ed illusioni, su cui molto è già stato detto.
Ricordati da alcuni con nostalgia, gli anni Sessanta possono essere definiti un crocevia della storia, in un certo qual modo paragonabile al periodo della nascita di Gesù, entrambe epoche molto interessanti, ricche di nuovi fermenti spirituali ed attese messianiche. 
I notevoli progressi in campo tecnologico parevano aprire nuove straordinarie possibilità per l’intero mondo, nel 1961 l’astronauta sovietico Juri Gagarin compì un’orbita intorno alla terra, la prima impresa di quel genere, seguita poi da vari programmi spaziali americani, culminati poi con lo sbarco dei primi uomini sulla luna. Osservare la terra dallo spazio, in cui il nostro pianeta appare insignificante nell’immensità dell’universo, le cui innumerevoli meraviglie si iniziavano a scoprire, contribuì ad un cambiamento di visuale accompagnato ad una nuova consapevolezza, che si traduceva nella speranza di un futuro luminoso. Già nel decennio precedente negli USA iniziavano ad affacciarsi nuovi paradigmi culturali, ma fu proprio negli anni Sessanta che acquisirono una rilevanza planetaria. In quei giorni, nel mondo occidentale pareva diffondersi in molti ambienti uno spirito nuovo, annunciatore di novità e cambi importanti in tutti i campi.
La scena internazionale, con le due superpotenze che si contendevano il primato sul piano militare, era segnata dalla Guerra Fredda e molti, in seguito alla crisi di Cuba nel 1961, trattennero il fiato di fronte alla minaccia di un conflitto nucleare, che fortunatamente venne scongiurato. Sulla scena mondiale operavano diversi personaggi prestigiosi, portatori di grosse novità, quali il Presidente Kennedy, Martin Luther King, Papa Giovanni XXIII e Kruscev, i quali, se avessero compreso bene il loro ruolo in quel particolare momento storico, attraverso i loro sforzi congiunti avrebbero potuto imprimere al mondo una nuova direzione.
Eletto Presidente degli USA nel 1961 John Kennedy incarnava l’immagine dell’America della “Nuova Frontiera”, decisa ad intraprendere un nuovo cammino e superare le barriere del passato e la cui politica, denigrata da alcuni settori della società, che vedevano i loro interessi minacciati, pareva rompere vecchi equilibri. Furono molti in tutto il mondo coloro che ne piansero la morte in un tragico attentato due anni dopo la sua elezione. Qualche anno dopo anche suo fratello minore, Robert Kennedy, allora Ministro degli Esteri e probabile candidato alla presidenza degli USA venne assassinato. In URSS Kruscev, che aveva apertamente denunciato i crimini di Stalin, pareva voler iniziare un nuovo corso per il suo paese, avviando un proficuo dialogo con gli USA, con i quali venne stipulato un accordo sulla proibizione degli esperimenti nucleari, che rappresentò una svolta storica. Kruscev venne poi estromesso dal potere.
Papa Giovanni XXIII, che intrattenne rapporti fraterni con i rappresentanti di diverse confessioni cristiane e di altre religioni, cercò di aprire nuovi orizzonti ecumenici. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, da lui convocato, si proponeva di riconciliare tutte le Chiese cristiane, incoraggiandole a superare le divisioni ed a lavorare assieme per la pace. Nelle sue parole si poteva cogliere uno spirito nuovo dal sapore profetico, come quando affermò che: […] La Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani che per opera degli uomini e per lo più al di là delle loro stesse aspettative, si volgono progressivamente verso il compimento di disegni superiori ed inattesi”. Pur tra molte critiche Papa Giovanni aveva avviato il disgelo con l’URSS, ricevendo in udienza la figlia e il genero di Kruscev, la prima volta che due personalità sovietiche entravano in Vaticano
In quel tempo la contestazione giovanile rappresentò, in forme diverse ma identico nella sostanza, il fenomeno più rilevante a livello planetario. Mossi dalla convinzione che il tempo dell’autorità assoluta in famiglia e nella società fosse ormai terminato e che la ricchezza ed il successo, spesso ottenuti a scapito di altri, non sono i veri obbiettivi della vita, molti giovani gridavano la loro protesta contro una società che, fondata sulla quantità dell’avere piuttosto che sulla qualità dell’essere, apparentemente pareva offrire loro tutto, ma non ciò che realmente necessitavano. Pur cresciuti nel benessere, molti giovani rifiutavano le seduzioni offerte dalla società dei consumi, di cui denunciavano l’ipocrisia. A molte legittime richieste dei giovani, che in primo luogo rivendicavano il diritto ad essere ascoltati, veniva opposto un rifiuto immotivato e tra genitori e figli si era venuto a creare un muro d’incomprensione che precludeva qualsiasi possibilità di dialogo.
Diversi movimenti, che proclamavano la solidarietà tra tutti i popoli e la necessità dell’impegno per la pace e la difesa dell’ambiente, incontrarono vasto consenso tra la gioventù, di cui esprimevano l’anelito di libertà e di giustizia, mettendo a nudo le numerose ingiustizie di un sistema che, pur definendosi democratico, in realtà sanciva la supremazia assoluta del danaro. Anche se poi alcuni di questi movimenti assunsero un carattere violento e dogmatico, le loro istanze hanno rappresentato una drastica rottura con un passato di immobilismo e contribuirono a scuotere dal torpore la società americana.
Stanchi di dover sottostare ad imposizioni da loro definite arbitrarie, gli studenti chiedevano un profondo rinnovamento delle strutture scolastiche e dell’università, i cui metodi d’insegnamento, ritenuti eccessivamente selettivi ed avulsi dalla realtà, oltreché viziati dal nozionismo, venivano duramente contestati. Significativa a riguardo fu questa affermazione degli studenti dell’università di Berkeley in California, dove esplose la prima grande rivolta: “La fonte della nostra forza è, detto in parole molto semplici, il fatto che siamo esseri umani e perciò non possiamo essere trattati in eterno come materia prima, il cui destino è essere lavorate”. Anche i paesi europei furono teatro di imponenti dimostrazioni studentesche, varie volte culminate con l’occupazione di alcune università.
In quel tempo le autorità accademiche si mostrarono incapaci di comprendere le nuove istanze degli studenti, ma non bisogna dimenticare che diversi docenti condividevano diverse richieste dei loro allievi, impegnandosi per rendere l’università un luogo di autentico dialogo e ricerca, al servizio della società.
Purtroppo le rivendicazioni studentesche, strumentalizzate poi a fini politici, spesso degeneravano nella violenza. Per stroncare le dimostrazioni studentesche, che minacciavano di coinvolgere altri settori della società, i governi di diversi paesi non esitarono a ricorrere alla forza, causando numerose vittime; in Messico il violento intervento dell’esercito contro gli studenti provocò oltre 200 vittime e tanti feriti, tra i quali anche la famosa giornalista italiana Oriana Fallaci.
Da una parte all’altra degli USA la popolazione afroamericana, sino ad allora tenuta in condizioni di segregazione, rivendicava i propri diritti e la sua rivolta, arrivò a coinvolgere oltre cento città, in alcune delle quali venne imposto il coprifuoco. Nei ghetti negri le rivolte, anche se duramente represse, erano frequenti e le città americane, che dietro una facciata di modernità e benessere, nascondevano parecchie realtà di emarginazione e povertà, divennero teatro di frequenti episodi di violenza. L’assassinio di Martin Luther King, simbolo della lotta non violenta per i diritti civili degli afroamericani, sconvolse il paese, che pareva sull’orlo di una guerra civile. Pure molti giovani bianchi, turbati dalle profonde ingiustizie della società americana, si erano schierati dalla parte della popolazione negra, con cui sentivano una profonda affinità. 
Le drammatiche immagini che giungevano dal Vietnam suscitavano dure proteste contro l’intervento statunitense in quel lontano paese asiatico e la lotta contro l’impegno militare americano in Vietnam venne ad assumere un importante valore simbolico, mettendo in discussione il ruolo degli USA nel mondo. 
Sull’onda di ciò che avveniva negli USA, scossi da manifestazioni di massa contro la discriminazione razziale e le armi nucleari, pure i paesi europei venivano investiti da un’ondata di contestazione che pareva non risparmiare nulla. 
Quegli anni conobbero anche un profondo cambiamento nei costumi. Tra i giovani, che si sentivano oppressi dall’ambiente familiare e sociale, si diffondevano nuovi stili di vita in netta rottura col passato, e, in segno di protesta, tanti ragazzi si facevano crescere barba e capelli ed anche le ragazze adottavano fogge strane di vestiario. Divenuti simbolo di idealismo e ribellione non violenta gli Hippy, conosciuti anche come “Figli dei fiori”, caratterizzati dal desiderio di pace e libertà, criticavano i sistemi di potere allora esistenti nel mondo, che apparivano loro ormai screditati. Le comunità Hippy, che predicavano il ritorno alla natura e il libero amore, volevano sperimentare forme di vita alternative alla società dei consumi, che, a loro giudizio, privilegiava esclusivamente l’aspetto materiale a scapito dei valori umani. Nella loro visione, che si nutriva di sogni ed utopie, non facilmente classificabili, i giovani Hippy volevano rivalutare l’esperienza visionaria e ciò portò molti di loro a sperimentare l’uso di sostanze stupefacenti, che hanno mietuto molte vittime tra loro.
Anche la musica, con l’irruzione dei Beatles e di nuovi stili musicali, che entusiasmarono milioni di giovani, riflettevano il cambiamento in atto. Bob Dylan e Joan Baez, le cui canzoni esprimevano gli aneliti e i sogni della nuova generazione, che contestava la guerra e le ingiustizie, si facevano portatori di nuovi ideali. In diverse canzoni di protesta pacifista come “Blowing in the wind” e in “We shall overcome”, che riscossero grande successo, si poteva cogliere il clima di quel tempo, che pareva annunciare un’epoca nuova. 
Quando si parla degli anni Sessanta occorre menzionare il crescente interesse per le religioni orientali, che nel giro di pochi anni assunse una dimensione notevole con la proliferazione di nuovi movimenti religiosi, formati prevalentemente da giovani. Delusi dalle chiese cristiane tradizionali, legate a riti formali ed obsoleti, ed incapaci di offrire una risposta adeguata ai gravi problemi mondiali, molti ragazzi, che non si sentivano compresi fa una società basata prevalentemente sui valori materiali, aderivano a tali movimenti, alla ricerca di una spiritualità più profonda. Rispetto agli USA l’Europa, soprattutto l’Italia, venne meno toccata da questo fenomeno, documentato anche da diversi studi sociologici. Ciò suscitò, soprattutto negli USA, la reazione delle chiese ufficiali che, in generale, reagirono con un atteggiamento di netta chiusura nei confronti di queste nuove proposte religiose, abbracciate da parecchi giovani, i quali subirono la disapprovazione dei loro familiari e molto spesso furono attaccati duramente per la loro scelta. Molti furono i ragazzi che, entrati in contatto con la spiritualità orientale, che pareva offrire loro una via di salvezza, su cui però non avevano le idee ben chiare, si diressero poi in India. Convinti che l’illuminazione fosse a portata di mano molti ragazzi, profondamente delusi, si persero nella droga. Tra i nuovi gruppi di ricerca spirituale, che si richiamavano alle filosofie orientali, merita di essere ricordato un movimento di pensiero chiamato la “Gnosi di Princeton”, sviluppatosi verso la metà degli anni Sessanta in ambiente scientifico, finalizzato a sviluppare una visione di sintesi che possa armonizzare scienza e spiritualità.
In ambito cristiano la “Jesus Revolution” e il Movimento Carismatico cercavano di rivitalizzare l’autentico spirito cristiano, valorizzando forme nuove e più autentiche di rapporto con Dio, anche attraverso l’esperienza mistica.
Molti che coltivavano il sogno di un mondo non più retto dall’egoismo e dalla sete di potere, credevano che proprio in quel tempo si sarebbe realizzato un drastico cambiamento. Diversi messaggi spirituali annunciavano infatti il ritorno di Cristo e l’inizio di un’era completamente diversa dal passato. La canzone “Aquarius”, balzata in testa alle classifiche negli USA, salutava l’avvento dell’era dell’Acquario, una nuova epoca di pace e armonia universale.
In quel tempo parecchi giovani, diversi dei quali provenienti da famiglie borghesi, riponevano le speranze nell’utopia comunista. Il Libretto Rosso di Mao e il volto di Che Guevara divennero un’icona per tanti ragazzi che, prigionieri di un’illusione che li portava a credere che fosse possibile eliminare le ingiustizie e costruire la pace attraverso la rivoluzione comunista, sognavano l’avvento di un sistema politico che potesse garantire la piena uguaglianza e la pace. A rileggere i discorsi e gli slogan di allora stupisce l’incapacità di comprendere l’ideologia comunista nei suoi vari aspetti e la realtà dei paesi che l’avevano adottata, al di là delle immagini propagandistiche e delle illusioni. La Cina, allora chiusa al resto del mondo e praticamente sconosciuta, agli occhi di molti pareva incarnare l’ideale di una società pura e libera dai mali dell’Occidente, animata da un sincero fervore rivoluzionario, che accese l’immaginazione di tanti giovani, i quali proclamavano il proprio sostegno alla Rivoluzione Culturale cinese e ai Vietcong. Il loro errore di fondo fu non comprendere il carattere totalitario del sistema maoista.
L’occupazione della Sorbona nel Maggio del 68 a Parigi, seguita da manifestazioni e scioperi, riscosse il sostegno di molti giovani, che si resero protagonisti in tutta Europa di occupazioni e proteste. Famoso rimase lo slogan “L’immaginazione al potere”, che ha avuto un forte impatto emotivo, ma mal tollerato dai partiti di sinistra tradizionali che nutrivano una forte diffidenza verso queste rivolte studentesche, i cui obbiettivi parevano contrastare con i loro programmi. Tra gli studenti regnava una certa confusione sia sugli obbiettivi che sui mezzi per conseguirli, la componente marxista era notevole, ma accanto ad essa ve ne erano anche altre, anche se non sufficientemente considerate. Bisogna infatti ricordare che molti non nutrivano simpatia nei confronti dei regimi oppressivi dell’Est ed alcuni intellettuali di sinistra guardavano con speranza alla Primavera di Praga.
Non si possono certo dimenticare i tragici avvenimenti cecoslovacchi, quando l’URSS era intervenuta coi carri armati per stroncare il tentativo della classe dirigente cecoslovacca di liberalizzare il regime. Jan Palach, lo studente che per protesta si appiccó il fuoco dopo essersi cosparso il corpo di benzina, divenne il simbolo della lotta contro l’oppressione e la menzogna, dimostrando che la giustizia e la verità sono condizioni essenziali per l’essere umano. Il suo gesto, seguito da quello di altri giovani che sul suo esempio s’immolarono, ebbe risonanza mondiale e commosse la coscienza della sua nazione. Dopo la Primavera di Praga, che aveva scosso l’impero sovietico, e il profondo dissidio tra URSS e Cina, il mito della madrepatria sovietica era ormai crollato. Da allora numerosi fermenti di ribellione si diffondevano nel mondo comunista, e anche se costrette alla clandestinità, le spinte libertarie, avrebbero poi provocato lo sgretolarsi del potente impero sovietico. Al di là di ciò che quel decennio, da cui ci separa una distanza enorme in termini di valori, ha rappresentato, può risultare utile cercare di formulare un giudizio equilibrato che, a distanza di mezzo secolo, può farci cogliere nuovi spunti di quella stagione di lotte ed utopie, che tuttora ci pone una serie di domande e riflessioni a cui non possiamo sottrarci.
E’ comunque indubbio che l’esperienza del ‘68, su cui si sono sprecati i giudizi, con i suoi diversi fermenti che anticipavano i tempi, abbia rappresentato la fine di molte certezze sia ad Ovest che ad Est. Secondo l’opinione di molti il Sessantotto, pur con tutti i suoi limiti ed errori, ha contribuito a mettere in moto dinamiche, i cui effetti portarono al crollo dei regimi comunisti dell’Europa orientale nel 1989 e poi allo scoppio delle cosiddette primavere arabe. Nessuno avrebbe immaginato che nel giro di due decenni dalla fine degli anni ’60 si sarebbero verificate profonde trasformazioni nel mondo, che rivelano chiaramente la continua tensione dell’umanità verso la realizzazione di un ideale di giustizia e pace.
Oggi si pone l’interrogativo su cosa resti delle speranze e delle utopie giovanili di quel tempo. Anche se la situazione mondiale è profondamente mutata, i problemi e gli interrogativi che allora fecero muovere enormi folle giovanili sono rimasti gli stessi.
Il fatto che le loro speranze siano state deluse non significa che dobbiamo smettere di credere nella possibilità di un cambiamento positivo, attuato però con mezzi diversi da quelli vagheggiati in quegli anni. Possiamo raccogliere parecchi appelli di allora, ancora attuali nell’odierna situazione, e farli nostri.
La sfida, allora come oggi, è quella di tener viva la fede in un futuro migliore per costruire il quale è necessario mettere in gioco noi stessi con sincerità e coraggio, per rendere il mondo un luogo migliore in cui vivere.

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