lungo
le vie innevate che portano alle valli
di
verdi, tolleranti paesi stranieri.
Racchiusi
nelle viscere delle madri,
piegate
dal dolore dello stacco,
stanno
i vostri visi, il nome, i singhiozzi
e
la paura dello sparo del cinese di turno.
Non
è libertà vivere in un paese straniero,
chiedere
allo spirito la forza di resistere,
affinché
ci sia un rientro per riabbracciare
lapidi
e calpestare le orme dei padri.
spegnere
le sue memorie, cancellarne
l’idioma
e proibirne la religione.
E
voi ragazzi costretti a fuggire,
con
gli occhi corrosi da bianchi bagliori,
vittime
del freddo e della disidratazione,
siete
i custodi della tradizione;
voi,
le basi di un popolo antico e nuovo,
pronto
a tornare coi propri valori.
I
monti del Tibet non sono poveri
se
han scatenato una guerra e minato
gli
ideali d’un futuro migliore.
Fanno
paura gli uomini che parlano al cuore,
nomadi
delle praterie del cielo
che
ascoltano l’anima e domano i bisogni.
Fanno
paura perché tengono ai valori
e
si auto immolano per la propria nazione.
A
Lhasa sanno sempre dove siete
e credono in voi.
E
voi tornerete, ragazzi del Tibet,
se
non voi, chi porterà il vostro seme.
Fertili
vite dal cuore coraggioso
tornerete
alle montagne del Cielo.
Non
può il buio vincere il sole,
ha,
più di voi, vita breve il tiranno.
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