di Gioele Liscidini,
Viviamo costruendo abitudini e rituali che rendono la realtà uno spazio consueto, necessario al soddisfacimento dei nostri bisogni e delle nostre aspirazioni. Quando tale spazio viene meno, l’esigenza di ristabilirlo si fa impellente, l’emotività e l’irrazionalità sono fortemente stimolate e spesso la capacità di razionalizzare viene sopraffatta.
Epidemie e pandemie ci sono sempre state, le ultime, “Spagnola” e “Asiatica”, appartengono al secolo scorso. Ai tempi della Spagnola ci vollero due anni perché l’epidemia divenisse pandemia globale. Oggi, il SARS-CoV-2 ha raggiunto i quattro angoli del globo in qualche mese.
Come il mondo sia divenuto un “villaggio globale” è chiarito anche da queste tempistiche: ci descrivono un pianeta iper-interrelato e connesso, dove le decisioni devono inevitabilmente essere coordinate e gli sforzi condivisi, poiché nessuno può pensare di arroccarsi in qualche sperduto eremo e “salvarsi da solo”. Gli stessi elementi di iper-connessione, tuttavia, che hanno agevolato il subitaneo diffondersi della patologia, sono stati elementi di forza per la scoperta e produzione di vaccini in tempi record. Realizzare una fiala del più usato vaccino anti Covid19 a mRNA, richiede decine di input da svariati impianti industriali, da diversi Paesi del mondo. Si comprende chiaramente come la forte specializzazione abbia disperso i poli di conoscenza e le filiere produttive attraverso i continenti, oltrepassando confini fisici e politici. Credo sia importante, sulla base di queste considerazioni, prendere consapevolezza della necessità del multilateralismo nella politica internazionale e del fatto che, chiunque voglia emanciparsi dal dialogo e dalla mediazione fra Stati, si ponga non solo in netto contrasto agli interessi globali, ma in contrasto con l’epoca in cui viviamo, dove, se è sempre valso, ora più che mai, l’unione fa la forza.
La pandemia non ha solo portato decessi e gravi disagi economici e sanitari, fisici e psichici, ha anche scoperchiato un immaginario “cospirazionista” che, dalle incertezze della Scienza a quelle dei vari governi, ha tratto inedita forza, precipitandoci in un caos mediatico. Sicuramente la congiuntura storica ha giocato un ruolo chiave: buona parte della popolazione si informa attraverso i social, eludendo giornali ed organi d’informazione nella loro funzione e responsabilità di valutare criticamente le notizie.
Il pensiero legato alle teorie del complotto rappresenta l’estremo tentativo, in questo fragile panorama e non solo per coloro afflitti dalla penuria di strumenti culturali ed intellettuali, di ricostituire la chiarezza perduta. “Il complotto ci fa delirare. Ci libera da tutto il peso di confrontarci da soli con la verità. [...] È facile, è semplice, è la resistenza”.1
Fra le prime cose che credo vadano chiarite, è che nonostante i nostri tentativi di “piegare” la realtà a quello spazio consueto, certo, stabile, a cui accennavamo, essa è e rimane incerta.
La Scienza non genera Verità, ma costruisce modelli per comprendere la realtà, per descriverla e tentare di prevederla. Non è infallibile e non è monolitica. Vive di paradigmi, da Galilei ad Einstein,
che nascono e muoiono, all’interno delle interazioni sociali, sia generali che dei medesimi gruppi di esseri umani che vi prendono parte attiva, gli “scienziati”. Tuttavia, la Scienza, nonostante i suoi molti limiti, risulta ad oggi lo strumento più potente nelle nostre mani.
Credo che durante la pandemia, quell’ambito di frontiera della Scienza, dove essa “vive”, nel quale avviene la ricerca, là dove teorie e modelli discordanti si affrontano, solitamente di esclusiva pertinenza degli “addetti ai lavori”, sia entrato nella nostra quotidianità, sgretolandone la percezione aurea ed edulcorata così rassicurante.
Inoltre, si è assistito al lavoro di mediazione, solitamente sottotraccia, operato dalle autorità politiche: dalla presa in carico del dato scientifico sino alla formulazione delle misure da adottare, inevitabilmente parziali, talvolta procedendo per tentativi, necessariamente contemperate alle molteplici esigenze di una società complessa sotto il profilo culturale, sociale ed economico.
Tutto questo è stato, per molti, una manifestazione di incertezza, che ha spaventato e allarmato. In questo quadro si pone l’ultimo grande dibattito sul Green pass.
Riepilogando: abbiamo vaccini regolarmente testati, somministrati a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, con effetti collaterali rarissimi e con una comprovata capacità di contrastare gli effetti letali da Covid19. La percentuale di vaccinati in Italia è alta, ma non ancora sufficiente a raggiungere i livelli di immunità di gregge. Sappiamo che i vaccinati rallentano il diffondersi del virus e la sua proliferazione, quindi anche la possibilità che nuove varianti si producano. Le varianti sono quanto di più temibile, perché una mutazione casuale potrebbe rivelarsi resistente ai vaccini, vanificando i nostri sforzi.
In questa situazione il Governo italiano ha deciso di adottare uno strumento, il Green Pass, che permette a chi abbia effettuato un tampone negativo o a chi si sia vaccinato, di ottenere un “lasciapassare” valido, rispettivamente, alcuni giorni o alcuni mesi. Inoltre, negli ultimi giorni è stato previsto che da metà ottobre 2021, per lavorare nel settore pubblico così come nel privato, si dovrà esibire il Green Pass.
Da più parti si sono levate contestazioni nella forma e nella sostanza del provvedimento. Da un lato si discute il tema dell’obbligo vaccinale: della possibilità, secondo la Costituzione, di imporlo solo a norma di legge, quindi tramite approvazione per voto parlamentare. Dall’altro, si trattano i temi della discriminazione legata ad un trattamento sanitario e dei vincoli imposti alle libertà individuali e personali.
A mio modo di vedere, l’accusa di ipocrisia lanciata al Governo, di imporre surrettiziamente un obbligo vaccinale, sottraendosi alle previsioni costituzionali di formulare una legge da sottoporre al voto parlamentare, è mal posta e superficiale. Ad oggi vi sono “zone grigie”, come la somministrazione del vaccino alle donne in gravidanza o a determinati soggetti con allergie o altre patologie, sulle quali la Scienza non ha ancora una posizione netta e conclusiva. Il Governo, alla luce di tali incertezze, con il Green Pass non impone un obbligo vaccinale, lasciando aperta la possibilità, anche se onerosa (il tampone ha un costo benché calmierato), di sottoporsi al tampone molecolare ogni tre giorni, per chi non volesse vaccinarsi.
A coloro i quali, a giudizio della Scienza (immunodepressi, soggetti guariti da Covid19 che abbiano sviluppato un sufficiente livello anticorpale, etc.) oggi non è richiesto di vaccinarsi, è riconosciuta l’emissione del Green Pass. Ne sono invece esclusi quelli che, sempre a giudizio della Scienza, non hanno ragioni se non legate “alle loro scelte personali e ai loro convincimenti”2. Non mi sembra difficile sostenere che non sia un tema di fede o di convinzioni personali, quello del vaccino e della sua efficacia. Se dunque qualcuno intende sottrarsi alle previsioni della Scienza, credo sia lecito che lo faccia, ma pagandone il prezzo, ovvero assumendosi le responsabilità della propria decisione. In questo caso tale prezzo è sottoporsi al tampone o rinunciare alle opportunità e possibilità offerte dalla vita sociale.
Relativamente alle libertà personali: viviamo e conviviamo in spazi di libertà realizzati dalle limitazioni che ciascuno pone alle proprie libertà. Sono le regole, i divieti, gli obblighi, che creano e garantiscono questi spazi, che tutti noi forse diamo ingenuamente per scontati.
Non siamo e non saremo mai “astrattamente, totalmente liberi”, la libertà è un concetto pragmatico e declinabile nella realtà. Vado in macchina per le strade perché mi aspetto che nessuno vada contromano in nome delle proprie scelte personali, così come che a tutti sia imposta la copertura assicurativa RCA a discapito dei propri convincimenti: questi obblighi generano materialmente uno spazio di libera circolazione sulle strade. La questione del vaccino credo sia molto simile: la Scienza, come strumento di comprensione e azione sulla realtà che la società ha deciso di seguire per i suoi molteplici risultati, prescrive l’uso di un vaccino. Tale vaccino ci permette di tornare a certe libertà individuali, in quello spazio di condivisione così importante e necessario. Chi voglia tornare a godere di tale spazio, deve assumersi la responsabilità di vaccinarsi, altrimenti tradirebbe quel patto sociale che è alla base delle nostre comunità. Da illustri docenti universitari mi sarei aspettato un richiamo a vaccinarsi, più che un appello, evocante poco chiari “precedenti storici”3, contro il Green Pass.
Alcuni altri appelli richiamano l’attenzione sulla necessità di non perdere il senso critico nei confronti delle misure che vengono implementate. Infatti, gli automatismi si impongono rapidamente ad una società prostrata ed impaurita, mettendo a rischio libertà consolidate per inseguire l’illusione della sicurezza. Ci auguriamo che un nuovo sentimento di fiducia e di coesione porti coloro che ancora mancano a sottoporsi al vaccino, così come una migliore esposizione delle tematiche da parte dei media, ricostituisca quello spazio di chiarezza che è andato logorandosi nell’ultimo anno e mezzo.
1 Parole rivelatrici di Pier Paolo Pasolini, dalla sua ultima intervista rilasciata a Furio Colombo, nel 1975.
2 APPELLO DEI DOCENTI UNIVERSITARI: “NO AL GREEN PASS”, https://nogreenpassdocenti.wordpress.com/
3 Ibidem.
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