6 novembre 2021

I TALEBANI: IDENTITÀ E VICENDE DI UN MOVIMENTO ISLAMICO FONDAMENTALISTA

Tornati recentemente al potere in Afghanistan i Talebani, protagonisti di esperienze di lotta e di governo, continuano a suscitare interrogativi e timori.

di Emilio Asti

Dopo la rapida presa del potere dei Talebani a Kabul, ai quali non è stata opposta resistenza, uno scenario considerato improbabile solo pochi mesi fa, parecchie sono le domande che molti ora si pongono. Nessuno può negare che per l’Afghanistan ed anche per l’intera regione, che da tempo rappresentano un’area esplosiva, si sia aperta una nuova fase, piena di incognite.

Le reazioni in Occidente sono state allarmistiche e sono molti i governi timorosi nei confronti del nuovo governo afghano che non paiono credere alle promesse dei Talebani, convinti che non sia possibile alcun dialogo con loro. Non si può negare che la loro visione sia incompatibile con la democrazia; tuttavia, non ci si può limitare a qualificarli soltanto come un gruppo di fondamentalisti, chiudendo ogni prospettiva di confronto con loro, ma occorre considerare ulteriori aspetti. Da un certo punto di vista la loro fede profonda, sovente accompagnata da duri sacrifici e continui rischi, può essere anche apprezzata, ma parecchie loro scelte, compiute in nome di princìpi religiosi interpretati in modo unilaterale, risultano incompatibili con il rispetto dei diritti umani fondamentali.

Nel coacervo dei gruppi islamici fondamentalisti, il movimento talebano è stato protagonista di eventi rilevanti che hanno segnato la storia afghana, coinvolgendo anche altri Paesi.

Il sorgere del movimento talebano e la sua espansione furono il frutto di varie circostanze e di un complesso intreccio di fattori. Per comprenderne il carattere occorre risalire all’epoca dell’invasione sovietica dell’Afghanistan quando molti afghani, di ogni classe sociale, in nome dell’Islam, si ribellarono apertamente ed iniziarono a lottare coraggiosamente, anche se privi di mezzi ed addestramento, per la liberazione del Paese. I combattenti afghani, conosciuti come Mujaheddin, a quel tempo appoggiati dall’Occidente, erano portatori di una visione del mondo, già connaturata in molti abitanti dell’Afghanistan, che si contrapponeva sia al materialismo comunista che alla democrazia occidentale, anch’essa ritenuta materialista. 

La vittoria contro l’esercito sovietico, costretto a ritirarsi, assunse ai loro occhi il significato di una vittoria spirituale, oltreché militare, preludio ad ulteriori avvenimenti che avrebbero visto il trionfo dell’Islam e il crollo delle forze ad esso contrarie.

Dopo che i soldati sovietici si ritirarono, il Paese divenne purtroppo un campo di battaglia tra le varie fazioni islamiche che avevano combattuto contro i sovietici, divise da forti rivalità etniche e tribali, alimentate anche da altri fattori. I vari signori della guerra al comando di gruppi armati dettavano legge seminando il terrore tra la popolazione e riempiendo inoltre di mine tutto il territorio, senza contare i trafficanti di droga, che avevano accumulato enormi ricchezze in combutta con altri gruppi criminali. 

Nel clima turbolento di quel periodo apparve sulla scena un gruppo di giovani studenti, formatisi nelle scuole coraniche del Pakistan, chiamati Taliban, che significa appunto studente. Convinti di essere chiamati da Allah a svolgere un’importante missione, lanciavano appelli per la pacificazione del Paese e il ritorno ad una pratica rigorosa dell’Islam, riuscendo poi ad imporsi sulle altre formazioni armate. In quel momento agli occhi di molti i Talebani, sotto la cui bandiera affluivano parecchi giovani delle zone rurali, motivati oltre che da scelte spirituali anche da incentivi economici, impersonavano il ruolo di custodi dell’ordine e della moralità. Il loro progetto aveva trovato molti sostenitori anche nelle aree tribali del Pakistan, situate nei pressi della frontiera afghana.

La parola Talebani viene sempre associata all’Afghanistan, dimenticando che questo movimento ha avuto la sua prima origine in Pakistan, da dove erano giunti migliaia di afghani che avevano ricevuto la loro formazione religiosa in quel Paese, nel quale si era organizzata la resistenza all’invasione sovietica; a loro si unirono anche parecchi giovani pakistani, desiderosi di portare aiuto ai loro fratelli di fede afghani, in lotta contro l’esercito sovietico. Il Pakistan svolse infatti un ruolo fondamentale, ricevendo dagli USA cospicui aiuti finanziari e militari; Peshawar, la città pakistana non lontana dalla frontiera afghana, era divenuta la sede operativa dei vari movimenti di resistenza.

Il Mullah Mohammed Omar, un giovane esponente religioso, che durante la lotta contro le truppe sovietiche si era distinto per il suo coraggio, pur senza particolari conoscenze teologiche, divenne il capo carismatico di questo movimento, da lui ufficialmente fondato a Kandahar nel 1994; il fatto che avesse perso un occhio durante la lotta gli conferiva un’aureola di martire, da lui poi abilmente sfruttata. 

Non è semplice illustrare la visione e il programma di governo dei Talebani, di cui poco trapelava e che riesce difficile comprendere mediante le categorie di pensiero occidentali. Il modello di governo che intendevano realizzare pretendeva di rifarsi all’Islam dei tempi di Maometto, considerato il miglior esempio da seguire.

I Talebani praticavano infatti una versione radicale dell’Islam, che poneva l’accento sul dovere della Jihad non ammetteva compromessi, ed abbracciava ogni aspetto della vita. Parlando dei Talebani non si può assolutamente ignorare tale aspetto, tenendo inoltre presente che l’Islam afghano appare caratterizzato da credenze e pratiche che spesso si discostano dall’Islam tradizionale.

Richiamandosi al dovere della Jihad consideravano la vita come una missione affidatagli da Allah, per portare a termine la quale sono necessarie abnegazione e continua disciplina, pronti a sfidare apertamente i nemici e ad accettare, se necessario, anche il martirio. Nella loro dottrina si può avvertire l’influsso del Wahabismo dell’Arabia Saudita e dell’ideologia della rivoluzione islamica iraniana, rifacendosi anche al Pashtunwali, l’antico codice di comportamento dei Pashtun, l’etnia maggioritaria in Afghanistan, che prevede una serie di obblighi sociali, basati sulla difesa dell’onore della famiglia e della tribù di appartenenza. 

Il loro intento era anche quello di dare vita ad un vasto schieramento di tutti i credenti Islamici, nella fervida attesa di un tempo che vedrebbe il trionfo sui nemici dell’Islam e l’abbattimento di tutti i sistemi che vi si oppongono. Dietro questo loro progetto vi era la convinzione che tutto ciò che fosse contrario all’Islam sarebbe destinato, prima o poi, a crollare. Dure e frequenti erano le critiche da loro rivolte a quei Paesi islamici accusati di aver tradito i princípi dell’Islam per inseguire il successo mondano e compiacere l’Occidente, dimenticando deliberatamente i loro doveri di musulmani. 

Secondo loro la conquista del potere, avvenuta nel 1996, avrebbe rappresentato l’inizio di un progetto spirituale di ampia portata. I Talebani, che inizialmente riscossero l’appoggio degli USA e di altre nazioni che vedevano in loro una garanzia di stabilità, si presentavano come interpreti della volontà divina ed esecutori delle sue leggi. Anche alcune compagnie petrolifere occidentali, che avevano in progetto di costruire un oleodotto attraverso il territorio afghano, avevano intrattenuto relazioni cordiali con loro. Ormai arbitri della vita del Paese vollero fare della nazione, da loro chiamato “Emirato Islamico dell’Afghanistan”, un luogo in cui la legge islamica fosse praticata con rigore, chiuso alle influenze esterne. Sotto il loro governo, nei confronti del quale non veniva tollerata nessuna forma di dissenso, erano in vigore norme rigorose che dominavano ogni aspetto della vita, finalizzate a formare individui totalmente obbedienti alle norme del Corano. Le preghiere giornaliere prescritte dall’islam erano divenute obbligatorie e qualsiasi attività veniva interrotta per permettere la loro recitazione. I funzionari talebani pattugliavano le strade controllando la condotta della popolazione e punendo severamente in pubblico anche le più modeste trasgressioni. Per i reati più gravi, tra cui l’adulterio e l’omosessualità, era prevista la pena capitale, eseguita pubblicamente, al fine di scoraggiare le persone dal commettere tali colpe.

Nell’Afghanistan di quel tempo non c’era posto per divertimenti ritenuti frivoli o considerati dannosi per la vita spirituale, era persino proibito guardare la televisione ed ascoltare musica. Alle donne non era permesso lavorare e neppure uscire di casa da sole, le poche donne che si vedevano in giro erano coperte dal burka e sempre accompagnate dal marito o da un parente maschio della famiglia, il quale doveva vigilare sul loro comportamento in pubblico e in privato. La separazione tra i due sessi in ogni ambito della vita era rigida e non erano ammesse deroghe. Anche gli uomini, obbligati a farsi crescere la barba e ad indossare l’abito tradizionale, dovevano attenersi a norme specifiche di comportamento in ogni momento della giornata. Chi ha avuto modo di visitare l’Afghanistan in quel tempo ha potuto rendersi conto di ciò.

La modernità era vista dalla dirigenza talebana come una minaccia alla purezza spirituale della popolazione e, a loro parere, la crescita spirituale della società rappresentava un obiettivo molto più importante di qualsiasi programma di sviluppo economico. 

In quel tempo i Talebani avevano fornito sostegno a tanti gruppi radicali islamici e alle loro lotte armate. Da semplice ospite Osama Bin Laden, grazie agli ingenti aiuti finanziari da lui elargiti e all’ascendente che esercitava sul mullah Omar, acquisì un grande potere. I suoi miliziani spadroneggiavano per il Paese, che ospitava vari campi di addestramento per diversi movimenti islamici, responsabili di attentati contro obiettivi statunitensi.

Il regime dei Talebani aveva poi perso credibilità tra la popolazione, ormai stanca ed insofferente della loro politica repressiva ed incapace di risolvere i problemi più gravi. Dopo gli attentati dell’11 settembre il governo talebano, considerato una grave minaccia per la sicurezza globale ed accusato di complicità con Bin Laden e i terroristi di Al Qaeda, subì l’attacco degli USA e delle forze NATO, che ne causò la fine.

Durante il massiccio attacco, molti combattenti talebani attendevano un intervento miracoloso di Allah, in grado di salvarli dalla sconfitta, ritenendo che, come erano stati capaci di sconfiggere le truppe sovietiche, allo stesso modo ora avrebbero potuto aver la meglio sulla coalizione guidata dagli USA. Anche dopo la caduta del loro regime i Talebani, molti dei quali si rifugiarono in Pakistan e nelle zone limitrofe, profondamente convinti della superiorità dei loro valori rispetto a quelli occidentali, sono stati una presenza costante, anche se nell’ombra, in varie parti del territorio afghano, aspettando il momento opportuno per uscire allo scoperto. La loro azione, tra fugaci attacchi e comunicati, assumeva agli occhi di molti il carattere di una lotta di liberazione, condotta in nome dell’indipendenza nazionale e della difesa dei valori tradizionali, minacciati dalla presenza delle truppe occidentali. Diverse zone erano rimaste escluse dal controllo del governo di Kabul, divenendo basi operative per i Talebani, che, in tal modo hanno potuto riorganizzarsi e reclutare nuovi sostenitori, avendo dalla loro l’ottima conoscenza del territorio ed approfittando anche del fatto che le forze occidentali avevano commesso gravi errori. Durante questi anni sono riusciti a mettere in piedi una struttura ben organizzata ed efficiente, con ramificazioni in diverse aree, potendo contare su migliaia di combattenti armati e tessendo una fitta rete di contatti anche in diversi Paesi.

Gli occidentali, mossi da interessi economici e strategici, spesso nascosti da motivazioni umanitarie, si erano illusi di poter esportare la democrazia, contrastando le spinte fondamentaliste, senza però tener conto delle esigenze della popolazione. La riconquista dell’Afghanistan e il ritiro delle forze occidentali, al di là degli accordi stipulati a Doha tra i rappresentanti talebani e i funzionari governativi statunitensi, ha segnato la fine di una lotta durata 20 anni, durante i quali gli afghani hanno visto molte volte svanire il sogno della pace.

… Non possiamo certamente aspettarci che i Talebani scelgano la democrazia. Stando ad alcune loro dichiarazioni pare che non abbiano intenzione, almeno a parole, di abbandonare la loro visione fondamentalista, nella convinzione che siano necessarie leggi conformi alla Sharya per rispristinare la sicurezza del Paese. Un importante esponente talebano ha infatti dichiarato: “Non ci sarà alcun sistema democratico perché non ha alcuna base nel nostro Paese”.

Ora il governo talebano, di cui fa parte anche il figlio del mullah Omar, Mohammed Yakoob, deve affrontare anche le minacce di organizzazioni terroristiche come l’ISIS, che, accusando i Talebani di collaborare con gli USA, si è reso responsabile dei gravi attentati compiuti all’aeroporto di Kabul. 

L’Occidente, anche nel proprio interesse, dovrebbe cercare di avviare un dialogo col nuovo governo afghano, nell’intento di alleviare le sofferenze di una popolazione martoriata da tanti anni di guerra e da continue privazioni.

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