7 novembre 2021

Dionisio Cumbà - Ministro della Salute in Guinea Bissau

Cosa unisce la italianissima Padova alla Guinea Bissau? Il Ministro della Salute Dionisio Cumbà.

di Flora Grassivaro

La sua è una storia di difficoltà superate con determinazione e coraggio, impegno, amicizia e soprattutto mette in luce la sua grande umanità e competenza. Nato nel piccolo villaggio di Jugudul decide di voler continuare gli studi nella capitale, a Bissau. Per sostenere le spese di trasporto vende una gallina ma arrivato in città scopre che la prova di ammissione è solo l’indomani e, non potendo coprire le spese di pernottamento, con i pochi soldi che aveva racimolato, decide di dormire sui gradini del Liceo dove poi si sarebbe iscritto. La vita a Bissau non è semplice, lontana dagli affetti familiari, ma il giovane ha la fortuna di incontrare Padre Ermanno Battisti, missionario che ha dedicato la sua vita al continente africano, che lo accoglie nella sua casa-famiglia offrendogli sostegno e formazione nella creazione di manufatti artistici. Il missionario intuisce le capacità e il sogno del giovane e lo ammette tra gli studenti che possono beneficiare di una borsa di studio. A maggio del 1991 Dionisio arriva in Italia, a Verona dove frequenta la scuola per infermieri; nel ’94 parte per Lisbona dove trascorrerà un anno alla fine del quale tornerà in Italia per riprendere gli studi universitari. La vita, la lingua, l’integrazione non sono sempre passaggi facilissimi ma il giovane africano riesce ad avere una cerchia di solide e fraterne amicizie che gli permetteranno di sostenere gli studi e di conseguire la laurea in medicina e la specializzazione in Chirurgia Pediatrica nel 2010.

Domanda: Ministro, quando è partito dal suo paese aveva un sogno: diventare medico. Dopo il suo intenso percorso di studi le è arrivata una proposta da Londra che nessun medico avrebbe rifiutato, Cosa l’ha spinta a ritornare in Guinea Bissau?

Risposta: Possiamo parlare di casualità anche se forse c’è sempre un disegno dietro ciò che accade. Avevo ricevuto l’invito a trasferirmi a Londra per lavorare in coppia con un altro chirurgo italiano e avevo già preso visione della città. Era una buonissima occasione e non potevo farmela sfuggire. Decisi allora di tornare a visitare la mia famiglia, in Africa, per salutarla e metterla a conoscenza dei miei progetti futuri. Giunto al termine delle poche settimane che mi ero concesso, mi sottoposero un caso clinico. Una bimba di soli 15 giorni con un addome gonfissimo! Nonostante fosse già stata visitata da molti, nessuno, purtroppo, era riuscito a diagnosticare una

malformazione che le impediva di defecare. Sarebbe morta sicuramente senza un intervento urgente. Normalmente, nei neonati con questa situazione, una fistola permette un’evacuazione intestinale, ma per questa bimba non c’era speranza! Ero molto combattuto perché dopo solo qualche giorno sarei dovuto partire, ma la mia coscienza mi spingeva a tentare l’impossibile. Con l’aiuto di un mio collega italiano oculista, che si trovava con me a Bissau, decidemmo di portare la piccola all’ospedale centrale, ma non essendo fornito di sala operatoria, dovemmo cercare un secondo ospedale che però, purtroppo, non era attrezzato con l’ossigeno. Non restava che ripiegare su una clinica, non in funzione da tempo. Raggiungendola notammo con angoscia che l’edificio era fatiscente e sporco e quindi non aveva le condizioni necessarie per operare. Mi rivolsi alla madre, per avvertirla che, ormai, ogni cura sarebbe stata impossibile. La donna scoppiò in un pianto disperato, come solo una madre che teme per la vita della figlia può fare. Sentii che non potevo abbandonarla a quel crudele destino, dovevo fare qualcosa senza perdere tempo o speranza. Con il mio collega ripulimmo la stanza e pagai del gasolio per azionare il generatore per la luce. Non c’era modo di intubare la bimba, né di poter inserire un ago in vena per l’anestesia, potemmo solo usare dell’etere. Nonostante i nostri sforzi, la corrente elettrica si interruppe appena iniziata la colostomia. Non ci perdemmo d’animo e con la luce dei nostri cellulari, reggendoli con la bocca, finimmo l’operazione. Quella bimba doveva vivere. L’esito positivo non riusciva, però, a darmi quella tranquillità che desideravo. Dentro di me cresceva la consapevolezza che dopo quell’operazione la piccola si sarebbe dovuta sottoporre ad altri interventi di ricostruzione del tratto intestinale e in Guinea Bissau non esisteva alcun chirurgo pediatrico. Nonostante il primario padovano dott. Zanon desiderasse dissuadermi, la mia decisione era presa: avrei annullato il mio incarico a Londra e sarei tornato nella mia terra. E così fu! Con il tempo anche il primario si affezionò a questa missione e trascorse con me intensi periodi di lavoro a Bissau inaugurando anche la sala operatoria dell’ospedale voluto da Padre Battisti.

D: In questo poco tempo dalla sua elezione vi sono stati dei cambiamenti?

R: Sto insistendo perché si possa costruire una fabbrica di ossigeno, non ossigeno liquido bensì gassoso. Questo sarà possibile riutilizzando l’aria dell’atmosfera terrestre. Attualmente non esistono fabbriche di ossigeno in Guinea e siamo obbligati a comprare bombole dal Senegal. Dopo una breve pausa si è innalzato nuovamente il numero dei ricoverati causa Covid. In solo due giorni abbiamo esaurito più di 360 bottiglie di ossigeno. Il Covid ci ha portato via molte vite, tra cui l’Ambasciatore del Senegal come anche il Presidente Supremo del Tribunale. Abbiamo urgente bisogno di questa fabbrica. In due mesi, possiamo, pagandola a Lisbona, riceverla ed inaugurarla. Sono iniziati i lavori di costruzione per implementare l’ospedale centrale con la terapia intensiva e sta partendo un programma di formazione per medici chirurghi, infermieri e ginecologi, in particolare questi per poter anche rinforzare l’area materno-infantile che è attualmente problematica e necessita di grande attenzione. È una sfida molto difficile in cui però ho il sostegno del governo che mi ha permesso di continuare ad esercitare in sala operatoria nonostante l’impegno ministeriale. Ripeto, sono l’unico chirurgo pediatra in Guinea, non posso fermarmi. Nei nostri ospedali mancano l’acqua, l’energia elettrica, la luce, non vi è alcun apparecchio di diagnostica nemmeno per una semplice ecografia.

D: Ho saputo che lei ha deciso di abbinare alla medicina occidentale la medicina tradizionale per un approccio più olistico della cura.

R: Abbiamo visto come la popolazione tardasse troppo nel rivolgersi alla medicina occidentale ed invece seguisse i suggerimenti degli stregoni locali che non sempre con erbe e pozioni giungevano alla guarigione. I malati arrivavano in ospedale quando ormai anche per noi ogni sforzo era vano. Così ho preso spunto da un summit avvenuto in Ghana nel 2018 che promuoveva la sinergia tra le cure e le pratiche degli stregoni con la medicina occidentale. È chiaro che per un carcinoma, un’ernia, un’occlusione si deve passare necessariamente per la chirurgia, ma questa apertura verso il sapere tribale ha creato più fiducia, verso noi medici, da parte della popolazione.

D: Lei e sua moglie vi siete conosciuti a Padova, lei africano mentre sua moglie italiana: siete quindi una bellissima coppia multietnica. Quali sono le problematiche e le opportunità che avete avuto modo di conoscere?

R: Penso che il punto di forza della nostra relazione sia la consapevolezza che ci porta a pensare come il mondo sia un villaggio comune senza differenza per il colore della pelle. La certezza che si possa vivere in un mondo più umano e più condiviso. Per noi l’unico problema è la distanza fisica che non mi permette di essere sempre presente con i figli. Forse la gente potrebbe pensare che due culture così diverse non potrebbero essere in armonia invece la voglia di comprendersi, di andare l’uno verso l’altro, di sostenerci ha fatto sì che le possibili difficoltà si siano appianate con il nostro impegno comune.

D: Cosa si aspetta dall’Italia e dal mondo associativo?

R: L’Italia potrebbe essere un ottimo partner per la Guinea B. Avendo vissuto e studiato in questo paese, ho ottime amicizie e conoscenze e mi piacerebbe sviluppare dei progetti per la sanità. Anche la chiesa cattolica ha un certo rilievo perché molto presente sul territorio guineano con opere di solidarietà. Molti sono anche i volontari italiani che decidono di vivere un’esperienza umanitaria da noi. Il mio desiderio, dunque, è che possa nascere un progetto di cooperazione internazionale capace di porre attenzione sulle esigenze dei volontari e che metta in rete e mobiliti anche tutta la comunità scientifica italiana, aprendo le porte a nuovi orizzonti.

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