Otto mesi dopo il colpo di stato dei militari che ha rovesciato il governo di Aung San Suu Kyi, la resistenza di un intero popolo è tuttora attiva.
di Albertina Soliani
Dopo le elezioni del 2020, stravinte dalla leader dell'NLD, il Myanmar è precipitato nel caos. Il NUG, il Governo di Unità Nazionale, nato dai parlamentari eletti e esautorati, dalla società civile e dai gruppi etnici, ha invitato il popolo, il 7 settembre scorso, all'insurrezione difensiva. I gruppi di difesa del popolo, People's Defence Force (PDF), continuano, sia pure con gradualità e cautela, ad attaccare i militari e a liberare parte del territorio. Si sono uniti ai gruppi etnici armati. Parecchi giovani lasciano le città per addestrarsi nella giungla; essi sanno che ogni loro azione è a difesa del popolo, a tutela delle vite dei civili inermi. Il Tatmadaw, composto di 400.000 militari, tiene prigioniero un popolo di 54 milioni di persone. Tra i militari cominciano a manifestarsi defezioni nonostante il controllo e i ricatti, anche sulle loro famiglie. La ferocia dei militari, alimentata anche dalla droga, ricorda la disumanità delle epoche più buie della storia.
La crisi umanitaria è crescente, mancano cibo, lavoro, medicine. La pandemia è incontrollata, non sono ancora stati attivati canali stabili per gli aiuti umanitari e la distribuzione dei vaccini. È questa la principale preoccupazione del NUG, che cerca di dialogare con le organizzazioni internazionali, e anche con la Cina, per introdurre medicinali e vaccini fuori dal controllo dei militari. L'irruzione del Tatmadaw nella vita del Paese, dopo alcuni anni di esercizio del governo civile, ha piombato il Myanmar nell'insicurezza, nella precarietà della vita, nella povertà, nella paralisi dell'economia, dei servizi pubblici e bancari, nella crescente tendenza della popolazione a lasciare i villaggi, specialmente dei confini, sottoposti all'aggressione dei militari per trovare rifugio nella foresta. Perfino i bombardamenti non hanno piegato la resistenza del popolo, il suo rifiuto del golpe. La giunta militare continua la repressione, le uccisioni, gli arresti, le devastazioni, il prosciugamento dei conti in banca dei cittadini, i ladrocini sistematici e ogni genere di atrocità contro famiglie intere, bambini, religiosi. Ad oggi sono 1120 le vittime, 6698 gli arrestati (dati della Assistance Association for Political Prisoners, aggiornati al 22 settembre 2021: https://aappb.org). La presenza dei militari negli ospedali scoraggia le persone a ricercare le cure, anche per il Covid. Sono molte le persone che preferiscono rimanere a casa e morire. Eppure la giunta militare, nonostante il sistematico impiego della violenza, non riesce ad avere in mano il Paese. Negli ultimi tempi la giunta ha intensificato la vendita del legname tek allo scopo di incrementare l'incasso di valuta forte. Fra gli acquirenti alcune imprese italiane, nonostante le sanzioni imposte dall'Unione Europea. Stanno anche cercando di mettere in vendita l'Ambasciata del Myanmar a Tokyo, situata in un'area vasta.
È impressionante la determinazione di milioni di persone nella resistenza ai militari! Non sopportano che il loro futuro venga rubato: andranno fino alla fine. Di Aung San Suu Kyi non si sa dove sia detenuta, neppure lei lo sa, come hanno riferito i suoi avvocati. Essi sono il solo tramite del suo contatto con l'esterno. È in corso un processo a lei, al Presidente della Repubblica U Win Myint e ad altri esponenti dell'NLD, con imputazioni del tutto infondate, con gravi vizi di forma dalle indagini in poi. Lei è stata privata di tutto, anche della casa a Naypyidaw dove viveva. Si è costituito, su nostro impulso, un team internazionale di avvocati di fama, guidati dall'Associazione Internazionale degli Avvocati, che riferirà alla comunità internazionale dell'andamento del processo con report periodici, pur in assenza della documentazione che la Corte del Myanmar non fornisce. Si tratta, come è evidente, di un processo tutto politico, dell'uso spregiudicato da parte dei dittatori degli stessi procedimenti giudiziari.
La comunità internazionale, gli Stati, l'ONU, l'UE, l'ASEAN hanno manifestato indignazione, preoccupazione, talvolta con lentezze del tutto inadeguate alla crudeltà della situazione. Gli USA, l'UE, la Gran Bretagna hanno inflitto sanzioni ai militari, ma non si è resa ancora evidente una strategia politica di sostegno al popolo del Myanmar come era nell'attesa dei resistenti e dell'opinione pubblica mondiale.
Eppure qualcosa si muove. La Cina, che stipula accordi commerciali con la giunta del Myanmar, dialoga anche con l'NLD, specialmente per gli aiuti umanitari.
Non solo. D'intesa con gli USA, la Cina ha consentito, alla recente riunione dell'Assemblea Generale dell'ONU, che fosse confermata la titolarità del seggio del Myanmar a U Kyaw Moe Tun, l'Ambasciatore designato da Aung San Suu Kyi, contrario al golpe. Almeno fino a novembre, quando i militari di nuovo cercheranno di essere accreditati all'ONU.
In questi primi anni del XXI secolo, mentre le democrazie sono sempre più sotto pressione, e dilagano nel mondo l'autoritarismo e la violenza, diventa urgente la presa di parola e di responsabilità da parte dei cittadini che possono fare pressione sul piano internazionale.
Abbiamo costituito un network internazionale, la “Alliance for a democratic Myanmar”, per stimolare la comunità mondiale affinché il Myanmar non venga dimenticato. Il suo popolo, così martoriato, merita di essere riconosciuto nel suo valore e nella sua dignità. Nel tempo che vede le dittature delle armi, della forza militare, degli interessi economici conquistare terreno, le coscienze dei cittadini debbono entrare in campo con gli strumenti della democrazia. Il network “Alliance for a democratic Myanmar” ha lanciato una petizione (che può essere letta e firmata qui: https://tinyurl.com/29s8mmx6 ) per sostenere la permanenza di U Kyaw Moe Tun all'ONU in rappresentanza del Myanmar e per aprire canali urgenti di aiuti umanitari. Analoga pressione sarà fatta sul G20 che si tiene in Italia in queste settimane. Il perdurare della crisi aperta dal golpe può costringere i militari a un dialogo interno, inclusivo, che arresti la violenza e apra prospettive di ripristino della democrazia.
I più recenti avvenimenti in Afghanistan e nell'area indo-pacifica ci fanno comprendere che tutto si tiene, e che il dialogo planetario è l'unica strada per una convivenza di pace. Il grande confronto tra USA e Cina deve comprendere questa fondamentale opzione per il futuro. Dobbiamo tutti scommettere sull'azione della politica, dell'intelligenza, dei valori umani fondamentali. È qui che l'Unione Europea può svolgere un ruolo cruciale. L'Europa, consapevole degli orrori della disumanità che ha vissuto nella sua storia recente, può portare nel mondo le ragioni dell'umanesimo, della solidarietà, del diritto.
A Parma, Città Capitale Italiana della Cultura, dal 15 al 20 novembre si terrà una settimana di attenzione al Myanmar con eventi, dibattiti, laboratori per le scuole. La cultura è democrazia, e oggi la democrazia è globale. Alle nuove generazioni dobbiamo consegnare l'alfabeto della nuova storia dell'umanità. Essi ne saranno i protagonisti. Le nostre generazioni non possono che essere dei testimoni, interiormente liberi e responsabili.
Parliamo del Myanmar, e parliamo di noi. Dei valori umani che oggi sono in gioco, ovunque, mentre la disumanità si estende. Dei conflitti, delle migrazioni, delle ingiustizie che devastano i popoli, mentre dall'umanità sale il desiderio, il grido di un cammino di giustizia e di pace, di cura del creato. Nel grande gioco geopolitico che sta ridisegnando il mondo, specialmente in Asia, la società civile, le organizzazioni per i diritti umani e la cooperazione internazionale, le religioni, i luoghi dell'educazione, l'informazione hanno un grande ruolo. Il Myanmar, il popolo del Myanmar, ha bisogno della comunità internazionale, ha bisogno dell'Europa e delle Nazioni Unite. Dal silenzio degli arresti che l'ha di nuovo avvolta, dal suo isolamento, nella sua totale spoliazione, Aung San Suu Kyi ci ripete: “Usate la vostra libertà per promuovere la nostra”. Non vi è premio, neppure il Nobel, che possa riconoscere il valore della vita di una donna che si è totalmente identificata con il destino del suo popolo.
La sua scelta per la libertà ha già sconfitto la paura. Oggi è la resistenza del popolo del Myanmar che offre la grande lezione della democrazia al mondo intero.
Siamo tutti cittadini del Myanmar, oggi.
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