Dr. Quanyi Zhang, Ph.D.*
Congratulazioni per la 52esima Festa Nazionale di Singapore, e per l’imminente 70esimo Giorno dell’Indipendenza dell’India. La mia prospettiva non è solo cinese, ma globale. Il focus delle mie ricerche è la governance globale, nelle quali ho sostenuto l’evoluzione di uno Stato Mondiale. Potrebbe sembrare che quest’iniziativa, la “Belt and Road” (la nuova via della seta), non abbia molto a che fare con il mio campo di ricerca, uno Stato Mondiale. Ciononostante, se ci pensate, la “Belt and Road” mette in evidenza i mezzi e i fini dello stato dell’umanità del futuro. Lo Stato Mondiale ha molto a che fare con la governance globale. Quindi, vorrei cominciare con la mia interpretazione di uno Stato Mondiale, promuovendo la visione, la mentalità e il potere che questo stato dovrebbe avere.
Qual è l’essenza, o la caratteristica principale di uno Stato Mondiale, potreste chiedervi? Lo Stato Mondiale è l’evoluzione verso un futuro stato sovrano concorde su un miglior management della comunità umana o della società internazionale, mettendo in rilievo una prosperità e uno sviluppo globali sostenibili.
Lo Stato Mondiale non è un monopolio di governo come gli imperi del passato, che erano limitati a un’unica cultura, razza o identità, anche se guidata da un capo considerato sovrannaturale o divino.
In realtà, uno Stato Mondiale del genere rimarrebbe incompleto, soprattutto perché ci sarebbero molte altre prospettive da includere, e molto da costruire.
È un dato di fatto che stiamo sperimentando uno Stato Mondiale. Tutto ciò è inevitabile, perché stiamo vivendo un’era di interdipendenza che coinvolge quasi tutte le società umane, nei campi della politica, dell’economia, della sicurezza e dell’ambiente. Una tale interconnessione non è solamente animata dal progresso della tecnologia, ma anche dallo sviluppo della coscienza, dell’organizzazione e della società umana.
È stato scoperto che una qualche coscienza di società è comune a tutti i gruppi di animali e insetti. Noi esseri umani non siamo esclusi, ma siamo totalmente diversi. La saggezza degli esseri umani permette ai suoi membri di comunicare e imparare gli uni dagli altri, e di trasformare e migliorare la propria organizzazione o il proprio ambiente.
Dalla nascita dei nostri antenati, gli esseri umani hanno continuato intenzionalmente a migliorare l’organizzazione della società. Ne è un esempio il fatto che abbiamo sperimentato diversi periodi o stili di produzione. Per la precisione, abbiamo avuto l’era della caccia e della raccolta, dell’agricoltura, della società industriale e post-industriale, dell’informazione e della bio-industria. Queste trasformazioni nella modalità di produzione sono state anche accompagnate dal progresso della governance umana o da una migliore gestione della nostra società, che definisco come il progresso dell’identità umana in termini di evoluzione organizzativa.
Fin dall’apparizione dell’Homo sapiens, abbiamo praticato o sperimentato diverse forme di identificazione sociale: 1) l’identità del “caos”, circa 20-30.000 anni fa; 2) l’identità primitiva, a partire dai 10.000 anni fa fino a 5.000 anni fa, esemplificata dalle incisioni dei totem, che celebravano le credenze del tempo; 3) l’identità dello stato classico, a partire dall’800 a.C. fino al 17° secolo in Europa, e fino al 20° secolo in Asia e altre parti del mondo; 4) l’identità del moderno stato sovrano, iniziata in seguito alla Guerra dei Trent’Anni (1618-1648) e alla Pace di Vestfalia.
Le caratteristiche simboliche o le concezioni chiave delle quattro identità sociali menzionate sopra, in particolare delle prime tre, erano intrise della mentalità “uccidere o essere ucciso”, soggetta alla legge della giungla. Una scuola di pensiero nota come Realismo spiega che la natura dell’essere umano è malvagia; lo stato può fare uso di qualsiasi mezzo per divenire più potente o ottenere la vittoria. Di conseguenza, i conflitti erano frequenti, e l’idea dell’interdipendenza o del win-win era considerata come una fallacia, o qualcosa di ridicolo.
Ma, in realtà, la realpolitik, il progresso della coscienza umana, il liberalismo, il costruttivismo, così come il buddismo e il confucianesimo concordano sul fatto che gli esseri umani hanno una natura gentile o benigna, e che tale dovrebbe essere l’evoluzione dell’organizzazione o della governance umani.
La quinta era dell’identità umana, detta stato post-sovrano, è un’era che noi esseri umani stiamo sperimentando o praticando ora. Le caratteristiche di quest’era sono le seguenti:
L’interdipendenza, già in crescita, è ulteriormente incoraggiata, tanto che viviamo in una vera società globale, in quanto non c’è stato o individuo immune dalle conseguenze del proprio comportamento, sia esso buono o cattivo. Il mondo diventa una grande famiglia estesa, non sempre armoniosa, con litigi, minacce e persino lotte interne. Questi fenomeni sono normali; ogni famiglia ha i propri dissapori. I litigi positivi fra membri della stessa famiglia possono generare maggiore armonia.
In quest’era dell’identità dello Stato post-sovrano, il soft power è più forte dell’hard power, e le probabilità di una guerra globale su vasta scala diminuiscono, grazie allo sviluppo della saggezza umana nel risolvere le differenze d’opinione. D’altro canto, però abbiamo un dilemma psicologico: non si può negare l’esistenza degli interessi e delle questioni di sicurezza nazionali, alla ricerca dello sviluppo della singola nazione. Per questo motivo, le nazioni aspirano a realizzare i propri sogni. Abbiamo un sogno americano, così come un sogno di Singapore, indiano o cinese.
Perché no? Come lo slogan di Trump, “Make America Great Again”, credo che ogni nazione abbia il desiderio di rendere il proprio paese più forte e prospero.
Perciò, quando la Cina inizia la sua Belt and Road e l’India vuole avere la sua propria alternativa, direi che ciò non è sbagliato, ma che è anzi giusto e razionale. In questo senso, il progetto Belt and Road non è un marchio esclusivo, ma uno strumento, una roadmap, che ogni nazione potrebbe adottare, adattandola ai propri bisogni. Noi incoraggiamo altre iniziative di questo tipo, che saranno la fortuna dello Stato Mondiale, un contributo diretto alla governance globale.
Ciononostante, la messa in pratica di tali iniziative o strategie richiede diligenza e prudenza. Ci sono molti crocevia sulla strada della Belt and Road. Le Belt and Road sono delle roadmap verso pace e sviluppo condivisi, in cui sono garantiti adeguati livelli di occupazione e il welfare dei cittadini. Si potrebbe raggiungere uno sviluppo sostenibile, sia globale che a livello delle singole nazioni.
Signore e signori, in quest’era dello stato post-sovrano, le nazioni più potenti e quelle che stanno emergendo devono tenere a mente la loro missione e responsabilità. Questo mondo interdipendente ci chiede di comprendere l’interconnessione e al tempo stesso la vulnerabilità della sicurezza e dello sviluppo nazionali, in particolare per le nazioni che aspirano a divenire importanti.
Voler essere una nazione potente è razionale e legittimo, ma richiede più qualifiche e responsabilità.
In primo luogo, richiede che queste nazioni importanti cooperino e si coordino nell’affrontare le sfide per i vari popoli e stati, dalla sicurezza in senso tradizionale (militare) e non (es.: cambiamento climatico, scarsità di risorse).
Il modo di concepire il potere è cambiato molto, a partire dal 19° secolo. Quindi, adesso le nazioni non cercano di acquisire solamente potere economico, militare e quello derivante dalle informazioni, ma anche il potere culturale, spirituale e/o filosofico.
In secondo luogo, diventare una potenza mondiale richiede la saggezza o capacità di risolvere i problemi derivanti dai conflitti territoriali, geopolitici e d’interesse. Gli esseri umani non sono dei santi; qualsiasi incidente minore ha il potenziale di causare conflitti, portando facilmente al nazionalismo o a un patriottismo estremo, che non fa altro che deteriorare le relazioni internazionali, fino a portare alle guerre. Dovremmo imparare la lezione: la Prima e la Seconda Guerra Mondiale e i conflitti durante la Guerra Fredda furono guidate da un forte fervore nazionalista.
Il territorio, infatti, è una questione di diritto sovrano, che dovrebbe essere protetto e garantito. Comunque, non siamo né nel 19° né nel 20° secolo, quando i collegamenti e la governance in una nazione rimanevano completamente o parzialmente isolati dall’esterno (persino verso la fine del 20° secolo, certi incidenti domestici potevano rimanere “sigillati” all’interno del paese coinvolto, per alcuni mesi o addirittura un anno).
Pensate alla situazione attuale: ogni angolo di qualsiasi nazione diventa facilmente visibile e rintracciabile grazie alle tecnologie IT, WeChat, Facebook, Twitter e QQ, per non menzionare le moderne armi di distruzione di massa, e gli altri mezzi per accedere virtualmente ovunque, via terra, cielo e mare.
Quindi, non dovremmo esagerare l’importanza del territorio nazionale, ma concentrarci sull’occupazione, il welfare e la felicità dei nostri cittadini; non rimaniamo isolati, ma mettiamoci in gioco; non pensiamo troppo al passato, ma guardiamo al futuro, e aiutiamoci gli uni gli altri a vincere insieme.
Riguardo la crescente tensione al confine tra India e Cina, esiste una strada di saggezza per la pace. Non sono uno stratega, ma uno studioso.
Mi dico: se due paesi a maggioranza buddista non riuscissero a fare tesoro della saggezza del Buddha, per riconciliare le differenze e risolvere le crisi, sarebbe il più grande degli insulti al Buddha. Samuel Huntington ha parlato di scontro tra culture e civiltà diverse, ma non sono d’accordo.
L’India e la Cina hanno più elementi spirituali e culturali, che attrazioni in senso materiale; è qui che c’è la possibile strada per una pace e uno sviluppo perpetui. Dovremmo agire per mettere in pratica la visione, la mentalità e le idee di Buddha, piuttosto che parlare per fare vuote promesse. L’India e la Cina non sono solo buoni vicini, ma anche amici naturali. Dovremmo avere fiducia nel fatto che le diversità nello sviluppo permettono e richiedono che l’elefante e il dragone danzino in armonia, vivendo e sviluppandosi pacificamente…
Il rispetto delle regole è fondamentale per gestire la società internazionale, per coordinare l’economia globale, l’ambiente e la cultura, per non menzionare le questioni territoriali…
Infine, è necessario che le ONG e gli attori internazionali si impegnino per raffreddare le tensioni, risolvere le crisi e riconciliare le differenze. Facciamolo!
Vorrei concludere sottolineando il termine “identità”, che ho usato spesso in questo discorso. A prescindere dal fatto che siate asiatici, europei, americani o da altre parti del mondo, gialli o bianchi, neri o marroni, noi esseri umani siamo un’unica grande famiglia. A prescindere dal nostro credo -e il credere in Dio o meno-, noi esseri umani crediamo nella saggezza dei nostri predecessori, filosofi, studiosi e leader. Potreste essere buddisti, taoisti, confuciani, induisti, ebrei, musulmani o cristiani, ma se classifichiamo gli esseri umani come una singola identità, noi facciamo parte di una famiglia sotto un unico Dio; quindi, come disse Confucio: “Tutto ciò che è sotto il cielo è un’unica famiglia” (jia tiam xia), o, come insegna il Rev. Sun Myung Moon, “un’unica famiglia con Dio al centro”.
Siamo in un mondo quantico; ogni nazione, società e individuo è fisicamente e spiritualmente connesso, in questo mondo interdipendente. Abbiamo una nostra missione, una nostra responsabilità.
Quindi, cominciamo ad agire, andiamo avanti, creiamo la pace. Come scrive l’editoriale dello Strait Times di oggi: “Un cuore, una nazione, una Singapore”, io dichiaro: “Un cuore, un mondo, un’identità!”…
* Professore di Scienze Politiche presso la Zhejiang Wanli University, ricercatore del Centre of non-traditional Security and Peace Development Studies, colonnista per la Zhejiang University, United Press International (Asia)
**Il presente articolo è stato ripreso dalla rivista “dialogue & Alliance” della UPF International
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