27 marzo 2014

L'italiano nel mondo

di Carlo Alberto Tabacchi

Molteplici sono i motivi che spingono ad imparare l'italiano: culturali, turistici, commerciali, familiari.
La lingua italiana (oltre che in Italia, Città del Vaticano e Repubblica di San Marino) è parlata in Svizzera, Libia, Eritrea, Etiopia. Esistono poi comunità in Australia (Sydney e Melbourne), Canada (Montreal e Toronto), Stati Uniti (New York, Boston, Filadelfia, Chicago e Miami), Venezuela (Caracas), Brasile (San Paolo e Porto Alegre), Montevideo (Uruguay), Argentina (Buenos Aires).
Perché una persona dovrebbe imparare questa lingua? I motivi possono essere numerosi, a seconda dell'età, della professione e dello status sociale del discente. Uno di questi è il ricchissimo patrimonio artistico e culturale, nonostante l'abbandono cui è condannato da classe dirigente italiana e popolazione civile: quindi, ragioni culturali e turistiche possono essere annoverate tra le spinte motivazionali per l'apprendimento della nostra lingua.
Il punto fondamentale è che la cultura italiana nel corso dei secoli si è diffusa in Europa e nel resto del mondo, portando con sé le proprie conoscenze e i propri modelli e lasciando considerevoli tracce nelle culture con cui è venuta in contatto; è cosi che la terminologia si è imposta in diversi settori, come musica, architettura, cucina.
L'italiano viaggia sulle ali di un prestigio che non ha mai avuto le caratteristiche delle altre lingue di koinè (dialetto comune): mentre le parlate dei grandi imperi coloniali avevano come unico presupposto la subalternità dei popoli che le imparavano e la conseguente superiorità dei colonizzatori, la nostra lingua ha sempre goduto di uno status particolare, caratterizzato dalla curiosità, dal desiderio, dall'ammirazione di chi la studiava; mentre alcune grandi potenze europee conquistavano il mondo e imponevano le loro parlate come mezzo di colonizzazione, la cultura italiana si faceva strada per tutto il continente grazie alla straordinario prestigio delle sue arti, dei suoi saperi e delle persone che li testimoniavano.
All'estero si trovano diverse istituzioni che promuovono ed offrono corsi di lingua e cultura italiana: università, istituti di cultura, ambasciate e consolati, associazioni di italiani emigrati.
Un altro canale di ampia diffusione rimane la Chiesa cattolica: il latino, lingua ufficiale della Chiesa, è ancora la lingua dei testi religiosi fondamentali. Sembra paradossale, ma il Papa che ha dato un'accelerazione al processo di italianizzazione della Chiesa è stato Giovanni Paolo secondo, primo Papa non italiano dal 1523: egli usò tale lingua proprio nel giorno del suo insediamento e in maniera preponderante durante le celebrazioni liturgiche del Giubileo nel 2000, nonostante non fosse la lingua madre della gran parte dei pellegrini. Papa Benedetto sedicesimo ha proseguito nella stessa direzione, privilegiando l'italiano nei suoi viaggi apostolici. Papa Francesco sembra continuare in questo percorso.
Ricordo che l'Osservatore Romano viene pubblicato quotidianamente solo in italiano, settimanalmente in francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco e in italiano. Negli atenei pontifici l'italiano resta la lingua privilegiata e spesso la sua conoscenza è requisito obbligatorio per l'iscrizione.
La nostra lingua, formatasi oltre otto secoli fa, si è infatti affermata nel corso degli anni come strumento di cultura e in quanto tale le si schiudono oggi ampie possibilità di sviluppo.
Le opportunità dovrebbero far riflettere: una politica linguistica e culturale più organica, efficiente ed adeguata avrebbe positive e crescenti ricadute culturali ed economiche anche all'interno del nostro paese e lo renderebbe meno marginale nello scacchiere internazionale.

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