6 marzo 2014

I Millennium Development Goals e l’Italia

di Andrea Valgoi
“Sradicare la povertà estrema continua ad essere una delle sfide più importanti del nostro tempo, e una delle principali mete della comunità internazionale. Sconfiggere questa piaga richiede gli sforzi combinati di tutti, dei governi, della comunità civile e dell’imprenditoria privata, attraverso collaborazioni efficaci. Gli obiettivi del millennio fissano delle scadenze importanti, che permettono di monitorare i progressi raggiunti per sconfiggere la povertà e la fame, per debellare le malattie e le discriminazioni. [..]
Gli obiettivi sono ambiziosi ma raggiungibili e, insieme all’agenda di sviluppo delle Nazioni Unite, stabiliscono il corso mondiale per alleviare
l’estrema povertà entro il 2015”.
Ban Ki-moon , Segretario Generale delle Nazioni Unite
8 Settembre 2000. Una data storica, quella della firma della Dichiarazione del Millennio. 189 paesi, tra cui l’Italia, rappresentati da capi di stato o di governo, si impegnano a realizzare entro il 2015, gli 8 obiettivi del Millennio.
Una manciata di propositi da raggiungersi in un arco temporale ben definito, ognuno dei quali, però, racchiude in sé dinamiche molto complesse, la cui evoluzione porterebbe a cambiamenti di portata globale.
1.    Sradicare la povertà estrema e la fame
2.    Rendere universale l'istruzione primaria
3.    Promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne
4.    Ridurre la mortalità infantile
5.    Migliorare la salute materna
6.    Combattere l'HIV/AIDS, la malaria ed altre malattie
7.    Garantire la sostenibilità ambientale
8.    Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo

Per capire a che punto siamo e cosa ha fatto l’Italia in questi primi 13 anni partiamo dal seguente grafico tratto dai report delle Nazioni Unite elaborati per monitorare il raggiungimento degli obiettivi. (http://www.un.org/millenniumgoals/pdf/report-2013)
In riga sono gli obiettivi, in colonna le regioni del mondo. Ciò che ci interessa sono le caselle verdi, ovvero gli obiettivi raggiunti o raggiungibili se il trend dei paesi coinvolti fosse mantenuto costante.
Dal solo impatto visivo si percepisce che c’è ancora molta strada da fare per rispettare le promesse fatte, sebbene qualche obiettivo sia comunque stato raggiunto. Ed è proprio con quest’ottimismo che dobbiamo guardare avanti.
Ora, veniamo al tema principale di quest’articolo. La domanda a cui vogliamo dare una risposta è questa: come ha contribuito e come sta contribuendo l’Italia al raggiungimento di questi obiettivi? Per fare ciò dobbiamo fare un passo indietro.
Nello storico summit del mese di settembre del 2000, i 189 paesi delle Nazioni Unite  così si espressero all'unanimità: “spare no effort to free our fellow men, women and children from the abject and dehumanizing conditions of extreme poverty”. Decisero, ossia,  di non risparmiare nessuna energia o risorsa per liberare tutti gli uomini, donne e bambini dalle condizioni di povertà disumane che affliggono una grande parte dell’umanità.
Al fine di raggiungere questo grande obiettivo si sarebbero dovute sostenere delle spese importanti, stimate per circa 195 miliardi di dollari l’anno. La collaborazione tra governi,  società civile e imprenditoriale si è ritenuta essere la chiave di volta per raggiungere questo obiettivo.
Così, nel marzo del 2002, durante un altro importante appuntamento delle Nazioni Unite, la conferenza di Monterrey, i 22 paesi più ricchi al mondo (presenti nell’elenco di seguito)  decisero di comune accordo di agire in prima persona per il raggiungimento dell'obiettivo. Lo stanziamento dello 0.7% del PIL di ogni paese, percentuale riconfermata al Summit di Johannesburg, avrebbe consentito il raggiungimento del target di 195 miliardi di dollari l’anno.
Perché lo 0.7% del PIL? I paesi interessati, durante i primi due anni di attività verso il raggiungimento degli obiettivi del millennio, hanno colto le difficoltà derivanti dal donare somme importanti per gli aiuti internazionali. Nonostante le buone intenzioni iniziali queste risorse sarebbero state, infatti, facilmente erose da interessi politici nazionali, come il rispetto di determinati budget, o altre problematiche locali. Per questa ragione hanno  stabilito di comune accordo  un minimo che prescindesse da qualunque vicissitudine politica o economica interna, in grado, comunque, di  raggiungere l'obiettivo prefissato.
L’impegno italiano verso questo 0.7% è stato preso nel 2005, con un po’ di ritardo rispetto a paesi quali Danimarca, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Belgio, Irlanda, Finlandia, Francia, Spagna, Inghilterra e Germania.
Il grafico seguente mostra, tra i 22 paesi più ricchi al mondo, l’avanzamento verso lo 0.7% di contributo rispetto al proprio PIL.
Si potrebbe pensare che l’Italia stia momentaneamente anteponendo i problemi interni a quelli internazionali.
Tuttavia, secondo la mia opinione personale, in assenza di un'abitudine nazionale di natura virtuosa che porti a dedicare il giusto spazio anche al prossimo, emergeranno sempre nuove esigenze nazionali da dover soddisfare prima di poter pensare agli altri.

Nessun commento:

Posta un commento