La visione unificazionista vuole promuovere, in campo economico, gli ideali dell'interdipendenza, della prosperità comune e dei valori universalmente riconosciuti
di Enzo De Concilio
Per presentarvi la visione del Fondatore dell’UPF(Universal Peace Federation), Sun Myung Moon, quella che chiamiamo la visione unificazionista, dell'economia, penso che sia necessario fare una breve premessa. Nel pensiero unificazionista in generale il concetto della famiglia, e delle relazioni che in essa s'intrecciano, ha una posizione assolutamente centrale. Queste relazioni familiari sono fondamentalmente di tre tipi ben differenziati tra loro: quella tra genitori e figli, quella tra i coniugi, quella tra fratelli e sorelle.
Tutte le altre relazioni che intratteniamo nella società e nel mondo, a tutti i livelli sino addirittura a quello macroscopico dei rapporti tra le nazioni, costituiscono in un modo o nell'altro estensioni, specificazioni o applicazioni dell'uno o l'altro dei tre rapporti fondamentali che abbiamo appena menzionato. Deriva, da ciò, che le strutture sociali sono tanto più sane e funzionali, quanto più esse elaborano in modo coerente i contenuti fondamentali dell'una o dell'altra di queste tre relazioni primarie.
Ciò chiarito, possiamo affermare che, in questa prospettiva, i rapporti economici sono caratterizzati dalla logica del rapporto tra fratelli. Così come nell'individuo, attraverso la relazione con i fratelli e le sorelle nella famiglia, si matura la prima fase della crescita della personalità, così anche, nella società, il raggiungimento di determinati obiettivi economici, da parte di un'aggregazione umana, sia essa una famiglia, un'impresa, una nazione, etc., è la premessa necessaria per la crescita della politica, della cultura e della scienza.
I rapporti economici, perciò, si giocano su un piano assolutamente orizzontale e paritario. In essi si esprime quella sana competitività, che è una caratteristica originale e insopprimibile dalla natura umana. Il giusto desiderio di migliorare la qualità materiale della propria vita, dapprima nelle esigenze essenziali di cibo, abbigliamento e abitazione, per poi estendersi a tutto il "di più" (definiamolo pure il "superfluo") che il progresso tecnologico e culturale può mettere a disposizione delle persone, motiva queste ultime a confrontarsi tra loro, mosse da uno spirito di emulazione costruttivo, in cui il successo dell'uno non è ricercato a detrimento di quello dell'altro, ma al contrario si colloca nel quadro più ampio del benessere dell'intera famiglia.
È positivo e normale, perciò, nel rapporto tra fratelli, il desiderio di primeggiare, di contendersi il ruolo del "primus inter pares" giocando la partita con lealtà, nel contesto di regole chiare e condivise. Le distorsioni si verificano, invece, quando si vuole forzare un'innaturale uguaglianza in termini di proprietà e non in termini di opportunità, disincentivando l'impegno e frustrando il merito. Per questo motivo, una politica economica di estesa redistribuzione dei redditi, attuata in modo più o meno palese o occulto attraverso la modulazione della leva fiscale e le modalità di prestazione dei servizi pubblici, non realizza una vera uguaglianza, capace di soddisfare l'anelito di giustizia sociale insito nelle persone, ed è, invece, inumana e deleteria.
Un altro tipo di distorsione si riscontra quando la competizione economica è basata, invece che sull'inventiva e sulla creatività di ognuno, applicate nella ricerca, nell'innovazione e nell'investimento, sull'ostacolo - se non addirittura sulla demolizione - del lavoro degli altri.
Così come, nella famiglia, i genitori vigilano sull'andamento delle relazioni tra i fratelli, così anche nell'economia ci sono degli enti sovraordinati, quali gli stati e i diversi organismi internazionali, che elaborano e fanno rispettare le regole della contesa e prevengono processi distorsivi. E tuttavia è essenziale che questi enti non partecipino essi stessi, avvantaggiandosi della loro posizione, alla competizione economica.
Queste prime osservazioni ci forniscono degli spunti per criticare la teoria economica che maggiormente ha permeato e influenzato, con effetti assolutamente negativi, la società moderna, e cioè quella marxista.
Agli esatti antipodi del pensiero unificazionista, quello di Marx è totalmente ostile all'istituzione familiare, che esso reputa innaturale e artefatta, e ovviamente prescinde dal quadro di relazioni che abbiamo fin qui descritto. Nel comunismo, il carattere umano nei suoi vari aspetti, e tra questi la naturale competitività in ambito economico, è represso e lo stato (ovvero, a seconda dei punti di vista, il partito unico) è l'unico operatore di una finta e sterile economia.
Il collettivismo è basato, inoltre, su una visione deformata della solidarietà. La solidarietà è una caratteristica naturale del rapporto di fratellanza, mentre il pensiero di Marx, ingannevolmente, denuncia le ingiustizie ma, alimentando il senso di sfiducia e disseminando la reciproca ostilità, non fa altro che condurre alla condivisione dell'inerzia e della miseria.
Anche la funzione stessa dello stato, in quel sistema ideologico che pur lo esalta, è priva di punti di riferimento ideali. Nello schema dei rapporti familiari, dal quale abbiamo preso le mosse per questa discussione, i rapporti politici dovrebbero essere ispirati dalla logica del rapporto tra genitori e figli. Il ruolo del governo dovrebbe corrispondere, perciò, a quello dei genitori nella famiglia. La presenza dei genitori assicura la protezione di tutti i figli ed è garanzia dell'osservanza delle regole fondamentali e assolute.
Ma, come abbiamo osservato nella pratica delle società ispirate al socialismo reale, il ruolo e la figura dei genitori sono - semmai - ancor più sviliti di quelli dei fratelli e delle sorelle. In quel modello di società, non c'è spazio per la relazione genitori / figli e l'apparato statalista è, nelle relazioni economiche, al tempo stesso padrone, arbitro e unico giocatore.
Un risultato solo apparentemente contraddittorio di questa impostazione ideologica, che rifiuta la presenza di un'autorità di tipo genitoriale, di mediazione ed equilibrio, nel campo dell'economia, lo vediamo nella politica delle cosiddette "liberalizzazioni", che in questi ultimi tempi sono il cavallo di battaglia, soprattutto, degli economisti impegnati politicamente a sinistra. Le liberalizzazioni, propagandate come misure a favore dei consumatori, in realtà attribuiscono ancor più estesi vantaggi a quelle parti che, proprio negli specifici settori oggetto di tali misure, già in precedenza godevano di ingiustificati privilegi, determinati dagli sbilanciati rapporti di forza contrattuale e dalle asimmetrie informative.
Il gravissimo errore di quella politica sta nel fatto che, affinché e prima che lo stato possa rimuovere determinate, tradizionali regole di comportamento e specifici requisiti per l'accesso, nel campo economico, è necessario che prima si siano consolidate - e vengano applicate in modo generalizzato alle relazioni commerciali - delle etiche condivise.
Fondamentalmente, l'etica condivisa necessaria per assicurare il superamento dei problemi, delle inefficienze e delle sperequazioni che affliggono i rapporti economici è quella basata sul vivere ricercando l'interesse comune generale, interesse comune nel quale, sicuramente, trova la migliore soddisfazione anche l'interesse del singolo individuo.
Per constatare quanto l'interesse generale sia oggi subordinato a quello particolare, e vengano perseguite strategie economiche fondamentalmente distruttive e parassitarie, basta considerare il ruolo quasi egemone che si è assicurata la cosiddetta "finanza". In linea di principio, difetterebbero persino i presupposti per inquadrare, ad esempio, le transazioni di borsa tra le attività economiche. Nei mercati azionari, infatti, non si produce alcunché. L'arricchimento degli operatori che speculano sui cambi è semplicemente la contropartita delle perdite subite da altri soggetti, le cui attività imprenditoriali scompaiono dal mercato e sono divorate da fallimenti che, evidentemente, non sempre corrispondono a comportamenti fraudolenti o a scarsa attitudine commerciale.
Il nostro ideale economico è molto diverso. Per dirla con le parole di un testo unificazionista tra i più noti, "lo scopo supremo delle attività economiche, fino ad oggi, è stato quello di accumulare denaro. Nel mondo originale, invece, chi dovesse trovarsi a vivere un'opulenza solitaria, con gli altri intorno afflitti dalla povertà, non potrebbe non provare una sofferenza insopportabile nel cuore. Chiunque guadagnasse tanto denaro, desidererebbe naturalmente offrirne una parte ai propri prossimi o alla società. In altre parole, le persone s'impegnerebbero a concretizzare l'amore di Dio attraverso le proprie attività economiche. In tutti i campi, non soltanto nell'economia, le persone vorrebbero concretizzare l'amore di Dio: in questo modo si stabilirebbe la cultura del Cuore" (Fondamenti del Pensiero dell'Unificazione, ed. ital., 2003, pagg. 102-103).
In controtendenza con un'interpretazione divenuta ormai abitudinaria, che vede nell'economia l'ambito di applicazione del mero egoismo, ed è fonte di diffidenza, di contrasto distruttivo, di dispersione di risorse ed energie, occorre ripensare i rapporti economici in un'ottica di tipo familiare, come quella che abbiamo descritto all'inizio. In un'unica, come tale riconosciuta, famiglia umana, la quale riesca a riunire insieme gli "estranei" dell'odierno villaggio globale, è naturale che fratelli e sorelle integrino, gli uni con gli altri, e rendano disponibili, gli uni agli altri, le rispettive abilità, competenze, risorse, disponibilità, conoscenze ed esperienze, con ovvio beneficio per tutti.
In definitiva, il pensiero unificazionista vuole promuovere, in campo economico, gli ideali dell'interdipendenza, della prosperità comune e dei valori universalmente riconosciuti. Con questi ideali come suo fondamento, la struttura economica della società rassomiglierà a quella di un corpo umano in buona salute: "produzione, distribuzione e consumo debbono avere una relazione interdipendente e organica simile a quella che esiste tra apparato digestivo, circolatorio e metabolico. Non dovrebbe esserci competizione distruttiva dovuta ad iperproduzione, né eccessivo accumulo e iperconsumo dovuto a una distribuzione ingiusta, contraria al benessere della collettività. Dovrebbe esserci adeguata produzione di beni necessari e utili, equa distribuzione che assicuri disponibilità sufficienti ai bisogni della gente e ragionevole consumo, in armonia con lo scopo generale" (Esposizione del Principio Divino, 1997, pag. 329).
Per concludere, vorrei fare un breve accenno alla teoria della storia dei rapporti economici, elaborata nel pensiero unificazionista, che è alquanto diversa da quella oggi prevalente. Questa idea prevalente, cui mi riferisco, si fonda su una visione dualista, che individua una contrapposizione conflittuale tra due dottrine economiche divergenti e inconciliabili, l'una capitalista, l'altra comunista.
Questo modo di vedere le cose rigidamente orientato al dualismo è condizionato dalla logica dialettica, d'ispirazione materialistica, che ha fatto la parte del leone nella cultura del ventesimo secolo. Ritenendo questa logica del tutto arbitraria e superata, la nostra analisi storica intende prescinderne e partire da basi nuove e diverse.
Omettendo di considerare le società primitive, in cui è virtualmente assente ogni connotazione economica, lungo quasi tutto il corso della storia i rapporti economici sono stati confinati nell'ambito di minuscole entità autosufficienti, facenti riferimento a territori piccoli e isolati. A seconda dei diversi ambienti, definiamo questa struttura economica come tribale o feudale.
Soltanto in epoche relativamente recenti quel tipo di struttura economica è stata soppiantata. L'affermazione delle grandi monarchie nazionali prima, e le rivoluzioni francese e americana poi, hanno stabilito solidi ed estesi sistemi di sovranità, che hanno prodotto economie forti e dinamiche. Lo sviluppo di queste economie ha portato in breve volgere di tempo all'accumulazione dei capitali e alla centralizzazione dei poteri decisionali.
In questo frangente, con il concorso dell'accelerazione esponenziale, che frattanto è stata impressa agli eventi dallo stupefacente progresso tecnologico e scientifico dell'età contemporanea, gli uomini hanno creduto di poter realizzare il mondo ideale che era stato soltanto agognato dalle generazioni passate. Questa aspirazione a un mondo ideale di benessere e felicità è stata però basata su una concezione errata, materialista ed egoista, dell'uomo, del mondo e della storia.
Da queste premesse sbagliate, sono nate tre correnti economiche, che si sono rapidamente affermate in successione temporale una rispetto all'altra, ma che a tutt'oggi in qualche misura ancora coesistono. Si tratta di tre sistemi che hanno, da una parte, la motivazione comune dello sfruttamento delle masse dei più deboli e dei meno provveduti, da parte di ristrette élites di potenti e, dall'altra parte, il comune vizio di un'inumana, aberrante ingiustizia. I tre sistemi si chiamano, nell'ordine, capitalismo, imperialismo, comunismo.
Nella realtà, i tre sistemi non sono affatto alternativi tra loro, perché costituiscono soltanto tre tentativi, il secondo un po' più elaborato rispetto al primo e il terzo decisamente più raffinato e persuasivo dei due precedenti, di imporre un modello di società radicalmente malvagio. Tutti e tre i sistemi sono portatori d'istanze meramente utilitaristiche, e sono privi di riferimenti etici: quando affermano dei loro valori, questi sono irrimediabilmente falsi. Queste tre teorie economiche considerano l'essere umano intrinsecamente egoista, e per questo motivo non possono creare le condizioni per la sua felicità, neppure in presenza del più abbondante benessere materiale.
In particolare, il terzo sistema, il comunismo, è talmente assurdo, disumano e utopico che, a ben vedere, esso non avrebbe neppure mai potuto diffondersi com'è riuscito a fare, se non avesse avuto come rampa di lancio e come propellente gli sciagurati risultati pratici e la diffusa destabilizzazione delle coscienze, causati dalle altre due forme di devianza ideologica, applicata al campo economico, che l'avevano preceduto.
Ma è tutto così sconfortante nella storia della teoria economica? Non c'è stato davvero nessuno che abbia offerto contributi positivi? Io non credo, e voglio citare, a mo' di esempio, alcune apprezzabili figure storiche. Il primo che viene alla mente è Thomas More: nella società utopica da lui disegnata coesistono la struttura di tipo familiare, con il governo degli anziani, e l'elettività democratica delle massime cariche; le leggi sono poche e chiare a tutti; la gente è pacifica, senza risultare imbelle; l'eguaglianza economica cementa tra le persone una forte unità spirituale e politica, da cui promana e si alimenta una spinta espansiva.
In tempi più recenti troviamo Robert Owen, promotore delle istanze delle riforme sociali e delle garanzie legali nel pieno della rivoluzione industriale, il quale ridusse gli orari di lavoro dei suoi operai, allestì presso la sua fabbrica una cooperativa di consumo e una cassa mutua e vi istituì una scuola per l'istruzione dei ragazzi.
Lo stesso socialismo profondamente umano ha ispirato, in tempi più recenti, la particolare esperienza del Villaggio Crespi, realizzato alla confluenza tra i fiumi Adda e Brembo, in Lombardia.
Un altro personaggio interessante è Charles Kingsley, rappresentante del socialismo cristiano (termine coniato da John Frederick Denison Maurice), chiamato anche "muscular christianity", perché individuava nell'attività fisica e lavorativa il viatico per la crescita spirituale.
Vorrei infine ricordare, nel panorama contemporaneo, l'interessantissima figura di Amartya Kumar Sen. Questo economista indiano, motivato da un forte impegno interdisciplinare, sente molto vivo il senso globale del sapere economico. Nel suo pensiero, l'economia politica si caratterizza come scienza sociale, inscindibilmente connessa con la filosofia morale e la metodologia. Sen ha riflettuto a lungo sulle motivazioni delle scelte sociali (collettive), giungendo alla conclusione che esse, ben lungi dall'essere meramente utilitaristiche, risentono invece delle circostanze storiche, sociali e culturali.
Un punto molto interessante nell'analisi di Sen è quello della giustizia distributiva che - per ragioni sia di logica che di etica - dev'essere concentrata all'inizio e non al termine del processo economico. Infatti, la redistribuzione delle risorse al termine del processo economico risolve solamente in parte il problema dell'equo trattamento dei soggetti meno fortunati, e collateralmente priva quei soggetti del diritto di provvedere, individualmente e personalmente, al proprio sostentamento.
La violazione, a livello sociale e politico, di tale specifico diritto mina la dignità e la libertà dell'essere umano. Così, la riflessione di Sen stimola una più ampia discussione, sulle cause della povertà e sui rimedi da adottare, che deve essere estesa oltre le tradizionali sedi, al di là delle mere problematiche produttive o redistributive.
La visione unificazionista conviene anch'essa sulla stretta interazione tra gli aspetti della libertà e della responsabilità. Gli studi di Sen valorizzano, dei due versanti di questa influenza reciproca, quello che forse è meno intuitivo, ma è altrettanto importante da comprendere dell'altro: è sostenendo in prima persona la più ampia responsabilità della propria vita (e ciò indipendentemente dall'inevitabile condivisione con altri di aspetti anche assai importanti di essa), che l'uomo si rende veramente libero.
A conclusione di questa brevissima analisi storica, possiamo rilevare come il seguito che hanno ottenuto, e la notorietà che conservano, le figure che abbiamo ricordato non è certo paragonabile a quella degli esponenti del socialismo più antagonista, come Proudhon, Marx o Lenin.
Comunque, nonostante la rilevanza mondiale ottenuta in passato, il comunismo ateo, che come abbiamo descritto prima è l'ultimo, e più vigoroso dei tre sistemi economici falsi, è oggi oggetto di ampia sconfessione e deciso superamento.
Rimane però ancora molto da fare, prima che siano completamente rimossi tutti i guasti e la confusione che esso ha portato. Ovviamente, una volta che sarà stato debellato il comunismo, non avrà più alcun senso neanche parlare di capitalismo o di imperialismo e si aprirà un capitolo completamente nuovo nelle relazioni economiche.
D'altra parte, la sconfitta definitiva del comunismo sarà procrastinata fino a quando l'umanità non avrà scelto, in piena consapevolezza e determinazione, di abiurare per sempre l'odio, il risentimento, l'invidia, l'egoismo, e di vedere in ciascun individuo un altro membro dell'unica, grande, comune famiglia umana.
La visione di Sun Myung Moon è ottimista sulla possibilità di stabilire, come risultato di una scelta di questo tipo, che sarà adottata in tempi ragionevolmente brevi, un sistema di rapporti economici equi, funzionali e soddisfacenti per tutti.
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