17 marzo 2015

Diritti dei bambini o il diritto ad avere bambini: chi può regolamentare una materia tanto delicata?

In questo scritto rifletterò sul tema assai complesso dei “diritti dei bambini” fino a lambire il “diritto ai bambini” da parte di genitori senza figli. Soprattutto rifletterò sull'interconnessione tra le due realtà che indicano, a mio avviso, le due facce di una stessa medaglia.

di Pasqua Teora
Un tempo, ma non tanto tempo fa, quando una donna aveva parecchi figli e un'altra, che non ne poteva avere (che però fosse di buona qualità morale ed economica) ma comunque, in qualche modo legata alla famiglia allargata, era considerato normale cedere un figlio o una figlia alla coppia che non ne poteva avere. Generalmente era il legame tra le due donne a rendere possibile questa transazione e il figlio prescelto generalmente andava a stare meglio dei propri fratelli e sorelle: dove c'erano tante bocche era il poco da spartire tra molti. Viceversa, dove c'era quel solo bambino c'era solitamente abbondanza per quell'unica piccola creatura.
Quando il trasferimento del bambino avveniva in età precoce, questo passaggio non generava particolari sofferenze, ma quando il bambino aveva già instaurato legami profondi con nonni, genitori e fratelli, la faccenda poteva complicarsi. Ne abbiamo testimonianze noi che esercitiamo in abito clinico in uno studio di psicoterapia in cui siamo un’equipe che opera, da vari decenni, spaziando dal setting individuale a quello di coppia, di famiglia e di gruppo. E' così che nel tempo abbiamo accolto e indagato insieme alle persone che a noi si sono rivolte, le storie di vita, sofferenza e cambiamento di centinaia di famiglie, talvolta adottive ed anche di ex bambini adottati, nel frattempo divenuti adulti.
Nella realtà familiare pre-industriale, prevalentemente contadina, era altresì normale che se una donna abitava lontano dal luogo di lavoro e aveva partorito un figlio non lo potesse accudire e, più era importante il suo ruolo e più era ovvio che affidasse il neonato ad un'altra donna, la balia che era generalmente una madre con tanti figli e tanto latte che, offrendone al bambino non suo, riceveva in cambio qualcosa che serviva a sostentare i propri.
Erano gli accordi tra donne che non avevano bisogno di leggi istituzionali; le donne sapevano come muoversi all'interno di realtà che erano governate dal buon senso: necessità, possibilità, scambi, centralità della famiglia all'interno del tessuto sociale di allora.
Oggi, al centro purtroppo non c'è più la famiglia con i suoi valori fondanti come l'impegno a rimanere uniti e proteggersi reciprocamente, c'è piuttosto il millantato valore della libertà individuale che ha spalancato le porte all'insaziabile possesso di beni, al profitto senza badare all'espoliazione di risorse umane e ambientali. Intanto, all'insaputa dei semplici, sopra ogni cosa volteggia come condor, lo spirito delle grandi operazioni multinazionali e della finanza internazionale. Pensiamo per esempio anche al divorzio che, al di là della sua indiscutibile necessità, ha reso possibile un incredibile salto speculativo nell'edilizia e tutto il resto a questo collegato: con doppie e triple case, dove ne bastava una, doppio e triplo di tutto ciò che serve a fare casa!
Ora sto riflettendo sui diritti dei bambini o il diritto ad avere bambini e mi domando: chi può regolamentare una materia tanto delicata? E se le famiglie non sono più al centro del tessuto sociale in cui viviamo, chi ci sarà al suo posto, lo Stato Italiano o qualche multinazionale?
Sono molte le segnalazioni sui profitti eccessivi e le manipolazioni che da anni si stanno perpetrando all'interno di organizzazioni laiche o meno, di associazioni italiane o straniere che si occupano di adozioni nazionali e internazionali senza venire a capo dei problemi fondamentali. E' enorme il giro di denaro che si muove attorno al desiderio di genitori senza figli ad avere figli e di figli senza famiglia ad avere genitori. E mi domando, nello specifico della nostra realtà, per le famiglie italiane in cui esistono genitori ed esistono figli, qual è il limite tra diritto del bambino ad essere amato, protetto, rispettato nella sua crescita e il diritto-dovere del genitore ad amare ed educare il bambino lungo la sua crescita?
“Se mi picchi, chiamo telefono azzurro e ti faccio vedere io!” Sempre più numerosi i genitori inebetiti dall'idea generalizzata che un bambino si possa/debba solo viziare e coccolare. E i limiti e i vincoli necessari a fare del bambino in crescita, il futuro adulto capace di pensiero che guidi l'azione e l’autodeterminazione per stare attivamente in una società (come in tanti ci auguriamo) sempre migliore? Ma chi è disposto a prendersi la responsabilità di come e quanto porre o imporre ai bambini di oggi limiti e confini necessari a nutrire in loro fiducia e autostima, oggi, affinché ne possano disporre nel futuro?
Solo un pensiero divergente ci può aiutare a uscire da un conformismo e buonismo strisciante. Propongo di fare un salto nel tempo magari di 10 o 15 anni: di cosa avrà bisogno la società se con i bambini di oggi stiamo programmando gli adulti di domani? A quale progetto siamo asserviti senza saperlo? Forse a progettare persone ego-centrate, incapaci di accettare i limiti e quindi di avere un lavoro? Forse perché i sistemi di produzione e gestione di qualsiasi attività saranno così fortemente automatizzati da produrre un disavanzo altrimenti ingestibile di lavoratori coscienti di diritti e doveri?
Allora meglio che si autoescludano da loro stessi: l'alibi a cui, come società in trasformazione staremmo lavorando inconsapevolmente, potrebbe essere proprio quello di produrre giovani adulti disadattati (ma per questo adattati) ad una società che avrà necessità di inetti da arruolare in un enorme emergenza sociale in cui le famiglie non avranno potere, né giurisdizione. Incapaci di mettere limiti quando erano piccoli come potrebbero avere idee su come arginare e ri-formare masse di giovani adulti disadattati? Sarà un business per le nuove agenzie di formazione e dei riformatori veri e propri per la società di un futuro non troppo lontano? Non si sa.
Il pensiero divergente e non conformista serve ad aprire riflessioni nell'oggi per creare nel presente e nella nostra personale responsabilità, ciò che potrà essere utile domani.
Nell'attuale contemporaneità serve trovare il modo di aiutare, soprattutto i genitori a stare nella responsabilità dei diritti e dei doveri legati al ruolo familiare e parentale, non meno alla partecipazione a quello politico e sociale in alleanza con le varie agenzie educative che non possono ridursi a essere solo quelle legate alla Chiesa Cattolica (sebbene svolgano una funzione importantissima). Scuola, Centri Sociali, Consultori Familiari, spazi e laboratori creativi, sportivi, tutte le agenzie tradizionalmente laiche devono condividere con quelle Cattoliche, diffuse insieme su tutto il territorio per uno sforzo comune con le famiglie: filosofi, psicologi, educatori, ma anche contadini nonni e nonne che portino la testimonianza del mondo che c'era prima. Certo, anch'esso con tante zone d'ombra, ma sicuramente anche grandi abilità da trasmettere e tenere vive nel tempo presente per quello futuro. Tutto questo però già esiste, seppure nelle realtà più fortunate. Allora occorre qualcos'altro. Ed è ancora il pensiero divergente a venirmi in aiuto, legittimandomi a capovolgere una concezione tradizionale. E mi domando: forse occorrerà parlare ai bambini fin dalla scuola materna, o al massimo nel primo ciclo delle elementari, anche di sociologia, economia, finanza, presentando loro i paradossi della realtà in cui siamo tutti coinvolti. Loro compresi! Certo, anche loro che non ne hanno colpa ma ne potrebbero avere in futuro, purtroppo in continuità con l'inconsapevolezza dei loro genitori e della società più diffusa. Coinvolgere l'intelligenza divergente dei bambini, dunque, bambini piccoli e più grandicelli, degli adolescenti, nel diritto-dovere di porre domande, agli specialisti, coinvolgere loro e insieme a loro, genitori, nonni e nonne, disoccupati e occupati, artisti, musicisti, atleti. Con particolare attenzione ai ragazzi e ragazze in percorsi di rieducazione: gli amputati, i resi disabili, i comatosi, gli usciti rinati da stati di grave danno cerebrale con la visione di sé e del mondo, completamente cambiata. Tutti quanti nel desiderio-diritto di contribuire allo svelamento di ciò che, seppur nascosto, è evidente allo sguardo di chi è disposto a vedere o costretto. Insieme e da soli, impegnati nella ricerca creativa e visionaria su come risolvere i problemi e non esservi inconsapevolmente complici, già obbedienti nel presente, figuriamoci nel futuro, sia personale, sia collettivo.
In questa ipotesi un poco visionaria, servirebbe rendere visibile la necessità, soprattutto la bellezza per tutti i partecipanti alla danza, (dunque anche per i bambini e gli adolescenti), del sapersi mettere, oltre che egocentricamente nei propri panni, anche in quelli degli altri, di più ancora, sapersi mettere a un meta-livello per intercettare le vie del bene comune in cui siano salvi diritti e doveri dei piccoli e dei grandi, generando finalmente mediazioni e atti creativi per continuare a inventare soluzioni ai problemi conosciuti oggi, preparandoci a leggere in anticipo e risolvere, quelli di cui ancora non conosciamo i confini.

Nessun commento:

Posta un commento