3 marzo 2015

Siamo tutti Charlie?

di Giuseppe Calì
Si è appena concluso il “Giorno della Memoria”, durante il quale si è riflettuto sugli orrori del fenomeno nazista. Molte sono state le voci che si sono alzate a invocare “mai più!”, come dire che mai più dovremo assistere a campi di concentramento, torture e persecuzioni simili nei confronti di un popolo. Come non essere d’accordo? Io stesso ho visitato lo Yad Vashem di Gerusalemme, il museo dell’olocausto e la mia vita è cambiata. Non potrò mai dimenticare il senso di annichilimento che ho provato in quelle sale, leggendo quei nomi, guardando quei volti. Anch’io mi sono trovato a dire “Mai più!” con la determinazione di essere pronto a dare la mia vita purché tutto ciò non potesse ripetersi.
Eppure, nonostante tutta questa commozione generale e la conseguente inevitabile retorica, tutto ciò, purtroppo, sta avvenendo ancora sotto i nostri occhi. Ovviamente, mi riferisco agli ultimi avvenimenti che riguardano l’ISIS, Boko Haram, i continui attentati dalla Libia a Israele, all’Europa, all’Africa, al Medio Oriente, all’America e persino all’Australia. Oggi qualcuno sta tentando di fare di nazioni intere dei veri e propri campi di concentramento. Addirittura di costruire nazioni che siano una sorta di campo di sterminio, ripulendole da tutto ciò che non è sacro ai loro occhi, massacrando chi non sente nello stesso modo, anche se appartenenti alla stessa fede. E tutto questo in nome di Dio, il “Compassionevole e Misericordioso”, come recitano gli stessi libri sacri, che diventa però il “Vendicatore senza pietà, lo sterminatore di masse”. Ricorda il “Gott mit uns”.
Io non vedo la differenza e chiedo scusa per questo, tra i criminali nazisti con il loro obbrobrio senza fine, e chi imbottisce di tritolo bambine e le mandano a esplodere per uccidere altri innocenti. Tra le camere a gas e i rapimenti di massa di bambini e bambine, che vengono strappati alle loro famiglie, per farne soldati di una guerra al servizio di dittatori da incubo o precoci prostitute. Come si può distinguere tra terrore e terrore, tra oscuramento dell’anima e trionfo del nulla? Il male, quando raggiunge abissi simili, non ha razza, colore politico, religione, così come il bene supremo. È l’anti Dio, l’anti uomo, l’anti tutto. Allora, dove sono finiti tutti i nostri, pur legittimi “mai più”?
Viviamo costantemente sotto choc per tutti questi eventi, mentre i fantasmi di una storia senza fine di conflitti e massacri, entrano nelle nostre case con violenza inaudita. Molti parlano di guerra di religione, ma è veramente così? Non è semplice dirlo. È il termine “religione” che prima di tutto va chiarito.
Religione si può definire, da dizionario, “il rapporto, variamente identificabile in regole di vita, sentimenti e manifestazioni di omaggio, venerazione e adorazione, che lega l'uomo a quanto egli, ritiene sacro o divino”. Una pratica di vita, quindi, derivata dall’attenta lettura dei testi sacri, che ci porti a ricollegarci al Creatore, comunque lo vogliamo definire, e a tutto ciò che è sacro, in primo luogo la vita, che proviene da Lui. Di conseguenza tutti i valori che rispettano, sostengono, promuovono la vita stessa, dovrebbero essere la base e il punto di riferimento per qualsiasi “religioso”. Ecco il senso dei dieci comandamenti, la regola d’oro “non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, il perdono, la carità, l’amore universale, la pace interiore e con il prossimo e così via. Sono tutti precetti volti a preservare, promuovere ed elevare la vita, conseguenza del rapporto con il sacro.
Non c’è dubbio, quindi, che gli orrori che le recenti imprese d’individui, gruppi, supposte nazioni hanno perpetrato, nulla hanno di religioso, né di umano né di santo.
Che fare? Basterà organizzarsi “contro”, militarmente? Probabilmente sarà inevitabile, ma io credo proprio che dovremmo percorrere anche altre strade.
È assolutamente necessaria una riflessione più profonda sulle cause che generano tali fenomeni e, tale riflessione, non deve limitarsi ad analizzare l’evidente malvagità altrui, ma anche e soprattutto l’iniquità nostra, giacché occidentali, parte di nazioni cosiddette avanzate. Dovremmo imparare dalla storia, dalla quale si evince un principio costante: il male prende il sopravvento con tutta la sua violenza, ideologica prima e fisica poi, quando il bene declina.
Perché migliaia di nostri ragazzi corrono in Siria per combattere al fianco di chi genera tali mostruosità? È ovvio che ai loro occhi, almeno inizialmente, le cose non appaiano così perché la loro mente è deviata dalla rabbia, dall’impotenza e dal senso d’ingiustizia che pervade la nostra società. I giovani sono stanchi dei nostri retroscena nascosti, delle nostre manovre oscure, al servizio di poteri non chiari. Sono stanchi della nostra mancanza ormai cronica d’ideali e d’idealismo, di assenza di prospettive e di una visione positiva proiettata verso un futuro migliore. Tutto sembra andare sempre peggio, mentre i furbi, gli sfruttatori e i potenti sembrano trionfare ovunque. E non sono soltanto i nostri giovani a sentirsi così. Qualsiasi persona che abbia dignità e un minimo di libertà interiore, sente nello stesso modo. Questo è il mondo nel quale viviamo oggi. Ed ecco perché vedono, pur erroneamente, in questa lotta ideale per costruire una nazione con dei principi, fuori dalle logiche corrotte dell’occidente, una battaglia per affermare la propria sete di verità e giustizia. Troveranno un deserto dell’anima, dove tale sete non potrà che aumentare a dismisura, ma come rispondiamo noi? Che cosa offriamo loro? Come prevenire una tale deviazione delle coscienze?
Ciò che ci limitiamo a fare è invocare una supposta superiorità del mondo occidentale giacché “libero”. Ma siamo veramente così liberi? La libertà è la cosa più bella e importante, perché senza di essa non potrebbero esserci amore, felicità e pace, ma noi, come usiamo la nostra libertà? Molti hanno manifestato in nome della libertà di stampa, specie dopo i fatti più recenti. Mentre tutti scrivevano cartelli sostenendo di identificarsi con il direttore del giornale Charlie Hebdo, ma a me è venuto spontaneo di dire “No, io non sono Charlie, non posso sentirmi come lui”. Rispetto il cordoglio nei confronti di questi giornalisti che sono morti ingiustamente, uccisi dalla barbarie di una falsa ideologia, ma non posso identificarmi con chi disprezza, ridicolizza i sentimenti più profondi dell’essere, in nome di una libertà fasulla che non libera l’uomo, ma ne distorce la coscienza. Può la satira essere considerata intoccabile e superiore alla fede o a qualsiasi altro valore sacro? Questo è un laicismo che non mi piace perché è distruttivo. Libertà non può essere poter dire qualsiasi cosa di chiunque, giusto per farsi quattro risate ridicolizzando principi e valori sacri a moltitudini di altre persone che hanno diritto di essere rispettate nei loro sentimenti più profondi. La satira può essere un grande strumento di civiltà, quando porta verso il rispetto d’ideali più grandi, verso la liberazione da pregiudizi e conformismi, ma non può passare attraverso la denigrazione senza limiti e l’insulto fine a se stesso. Nella libertà di un’umanità evoluta, civile, dovrebbero essere inclusi rispetto e responsabilità. Altrimenti questa falsa idea di libertà, in nome di un razionalismo esasperato, diventa essa stessa fonte di dittatura ideologica.
In fine, credo che una soluzione vera debba partire da una rivoluzione culturale che ci riporti ai principi e ai valori fondamentali della nostra esistenza. Dobbiamo conquistare il rispetto, sia delle civiltà altrui, sia delle nuove generazioni, per vincere il disprezzo da cui origina questa violenza. Un grande impegno educativo e formativo va intrapreso, coinvolgendo famiglie, scuole, istituzioni. Cito, e concludo, due grandi personaggi che di queste tematiche hanno fatto loro scopo di vita:
“Per l'educazione di un bambino che deve diventare uomo, è bene che sia, di volta in volta, messo a contatto con i versetti appassionati dei profeti d'Israele e con i filosofi greci, che abbia conosciuto e sentito qualcosa della Città antica. Sarà bene che gli si facciano conoscere e ascoltare le più belle pagine del Vangelo, come pure quelle di Marco Aurelio, che abbia sfogliato tutte le Bibbie dell'umanità, che gli si faccia attraversare, non con pregiudizi e con spirito critico, ma con calorosa simpatia, tutte le forme di civiltà che si sono succedute. Ciò che risulterà da questo studio non sarà il disprezzo, l'odio, l'intolleranza, al contrario sarà una profonda simpatia, un'ammirazione rispettosa per tutte le manifestazioni del pensiero incessantemente in cammino verso un ideale incessantemente in crescita”.
Ferdinand Buisson, Pedagogista, Filosofo, fondatore e presidente della Lega per i diritti dell'uomo e Premio Nobel per la pace nel 1927.
"Le filosofie e i metodi dell'educazione devono essere migliorati, perché possano contribuire al raggiungimento delle mete comuni dell'umanità. Il ruolo dei religiosi è ancora più importante. Piuttosto che esporre teorie complicate e affermare la superiorità della propria fede, essi devono infondere nei propri studenti la saggezza che li porti ad amare l'umanità e a edificare un mondo di pace. Devono insegnare il principio della negazione di sé. Non possiamo aspettarci un futuro di felicità per il genere umano, se non s’impegneranno in prima linea nell'insegnare ai nostri discendenti i principi della pace. L'umanità è fatta tutta di fratelli e sorelle e il mondo è un'unica famiglia."
Rev. Moon – Autobiografia

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