2 agosto 2013

Cina-Birmania e l'accordo sull'energia

Panorama | 31.07.2013
Il nuovo gasdotto - oleodotto birmano alleggerisce la posizione di Pechino dal controllo americano sullo
stretto di Malacca.Ci sono voluti tre anni di lavori, ma domenica scorsa il gasdotto – oleodotto che collega la Birmania alla Cina è stato inaugurato ufficialmente a Mandalay. Dietro al progetto, in realtà, c’è molto di più della fornitura di energia, perchè le nuove condutture liberano una parte del fabbisogno energetico cinese dal controllo della potenza americana. Salutato come un’operazione che rafforza la “Paukphaw”, ovvero l’amicizia “fraterna” fra Cina e Birmania, il gasdotto e l’oleodotto sono la chiave per aggirare quello che il presidente Hu Jintao aveva definito come il “dilemma della Malacca ”, ovvero, la dipendenza dal canale di Singapore per la fornitura di greggio. Il canale, infatti, è presidiato da navi della Marina Americana, considerate una potenziale minaccia alla fornitura di energia alle economie dell’Asia, dipendenti dall’invio di greggio dal Medio Oriente e dall’Africa.
Il nuovo oleodotto, dunque, mette la Cina in una posizione particolarmente favorevole per quanto riguarda l’approvvigionamento di energia, anche rispetto alle altre economie asiatiche, perchè libera in parte il Paese dalla necessità di dipendere dallo stretto della Malacca. Un vantaggio competitivo non da poco, visto che Giappone, Sud Corea, Taiwan si appoggiano per il 75% del proprio fabbisogno dallo stretto di Singapore. Lo scorso anno la Cina ha importato dallo stretto circa il 37% proprio fabbisogno, con il nuovo oleodotto potrebbe scendere al 30%. Le conduttore birmane sono solo una delle alternative che la Cina ha messo in atto a difesa della propria indipendenza energetica. Dal 2009, infatti, un oleodotto pompa greggio dalla Siberia al Nord della Cina, nello stesso anno inoltre sono iniziate le operazioni di costruzione del gasdotto dal Turkmenistan, mentre al completamento dei lavori dovrebbero raddoppiare le forniture di greggio dal Kazakistan.
Adesso, la città birmana di Kyauk Phyu, dove è stato costruito un porto di profondità, è diventato il punto di raccolta del greggio che arriva dal Medio Oriente e dall’Africa e che sarà inviato in Cina lungo un percorso di quasi ottocento chilometri. Le condutture passano dallo stato occidentale di Rakhine, dove si sono registrate recenti proteste e dalle regioni Magway e Mandaly, dallo stato di Shan ed entrano in territorio cinese a Ruili, nella provincia di Yunnan. Le condotte del greggio sono state progettate per 22 milioni di tonnellate all’anno. Il gasdotto invece porterà annualmente 12 miliardi di metri cubi di gas. Secondo alcune stime , i siti di gas naturale esplorati e inaugurati dalla Cina potrebbero valere fare 37 e 52 miliardi di dollari, in pratica si tratta di alcune fra le riserve più ricche della regione.
Al completamento dei lavori atteso per l’autunno, due milioni di tonnellate di greggio e il 20% della produzione di gas sarà destinato al Myanmar per promuovere lo sviluppo economico del Paese e migliorare gli standard di vita della popolazione. Secondo il Telegraph , nella città di Kyauk Phyu, all’epoca della firma dell’accordo nel gennaio del 2008, l’elettricità era disponibile soltanto per 45 minuti al giorno e circolavano cinque auto in totale, tutte di proprietà di ufficiali. Le autorità cinesi dichiarano  che la costruzione del gasdotto ha dato lavoro a oltre seimila persone e ha coinvolto oltre 220 imprese birmane. Gli sviluppi socio-economici immediati comprendono la costruzione di 45 scuole e di 24 cliniche a vantaggio di 19mila studenti e 800mila persone che abitano nelle località interessate dalle condutture. Al conto si aggiungono donazioni per dieci milioni di dollari e le autorità cinesi magnificano di avere sostenuto con centinaia di migliaia di dollari le famiglie toccate dal terremoto. Insomma, noccioline in confronto al valore reale dell’intera operazione.

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