5 luglio 2013

Delegazione parlamentare italiana incontra Aung San Suu Kyi in Birmania

Il mondo dovrà abituarsi a guardare la Birmania e la stessa Aung San Suu Kyi con un cannocchiale rovesciato: non più quello del Nobel per la Pace, ma quello di una donna impegnata a cambiare il suo Paese.


di Giuseppe Malpeli

Nel mese di febbraio, una delegazione politica guidata dalla Senatrice Albertina Soliani, Presidente dell'Associazione dei Parlamentari amici della Birmania, si è recata in visita ufficiale nel Paese e per la prima volta ha incontrato la leader birmana Aung San Suu Kyi a Naypytaw la nuova capitale, dove si trova anche il Parlamento.
Il viaggio è stato caratterizzato per i numerosi incontri, che la delegazione ha potuto avere con lo scopo di comprendere la difficile e per certi versi complessa fase di passaggio dalla dittatura militare a un sistema compiutamente democratico.

Va subito detto che ciascuno dei partecipanti da tempo insieme a molti amici italiani aveva preso sul serio il grido di Aung San Suu Kyi “Usate la vostra libertà per difendere la nostra”. Abbiamo con grande felicità potuto costatare che attraverso piccoli ma costanti impegni negli anni si è davvero dato un contributo grande alla libertà dalla paura, caratteristica di un regime autoritario e repressivo che ha governato la Birmania per molti anni. Provo a ricordarne alcuni fra quelli più significativi sul piano culturale e politico.
Siamo stati ricevuti ufficialmente da U Thein Oo, Vice Segretario generale della Lega per la democrazia ( Nld), dal rappresentante a Rangoon del gruppo etnico degli Shan, dal Vescovo cattolico Mons Charles Bo vera autorità morale dei cattolici in Birmania, da Ko Ko Gy e Minko Naing della Generazione 88, ora liberi dopo molti anni di dura prigione nelle carceri birmane, dai rappresentanti del Fronte Nazionale per la democrazia. Abbiamo anche visitato un’Ong locale molto importante, fondata da un noto attore del Paese che si è impegnata a organizzare i funerali per tutti i cittadini che non hanno possibilità economiche per dare dignitosa sepoltura ai loro cari. Infine siamo stati in una grande scuola tenuta dai monaci che ospita moltissimi studenti poveri delle zone rurali.
Particolarmente toccanti sono state le visite alla casa di Aung San e al Monumento a lui dedicato.
Incontri intensi, spesso in sedi disagiate e provvisorie, sempre all'insegna della cordialità e della squisita disponibilità ad ascoltare, raccontare, chiedere, prendere aperta e decisa posizione sui vari problemi che ancora affliggono il Paese: la povertà, la disuguaglianza, la richiesta ferma di cambiare la Costituzione che garantisce ai militari di fatto la maggioranza in Parlamento, i progetti per il futuro possibile e auspicabile consapevoli che come per il grande Padre della Patria Aung San, il vero problema resta di grande attualità quello di riuscire a far convivere grandi diversità: religiose, etniche, economiche e politiche. Diversità alimentata dai militari e utilizzata per governare e spartirsi gli affari con i Paesi confinanti e non solo.
Poi, l'incontro tanto atteso a Naypytaw con Aung San Suu Kyi: un viaggio nel viaggio. Ci ha accolto sorridente, disponibile, felice delle nostre premure e attenzioni (per arrivare alla nuova capitale, infatti, è necessario fare quasi 500 Km di strada; deserta, assolata e lontana dai centri abitati.
Siamo stati con lei molto tempo del previsto, quasi un'ora, tempo nel quale ci siamo scambiati doni, ma anche abbiamo consolidato legami di amicizia e stima reciproca.
Quale il messaggio? Quale pensiero siamo riusciti a portare con noi terminato questo straordinario incontro?
Aung San Suu Kyi è stata per lungo tempo un'icona dei Diritti Umani, la sua vita ne è stata testimonianza e forza non solo per il suo popolo. E' arrivato un tempo nuovo, nel quale la difesa di quei diritti s’incrocia con la politica, il ruolo di Segretario generale del NLd, il rapporto anche democratico con i militari e il nuovo Presidente Thein Schein, le prese di posizione sui grandi problemi che a lungo la dittatura ha controllato e tenuto coperto: disuguaglianza, povertà, arretratezza, mancanza di un sistema giudiziario di tutela per tutti, corruzione dilagante, la lotta secolare tra i vari gruppi etnici, desertificazione del sistema d’istruzione, problemi di sfruttamento incontrollato dell'ambiente e non da ultimo tutela per i minori e per le donne lavoratrici.
A tutto questo ora Aung San Suu Kyi deve costruire possibili risposte politiche, facendo leva non solo su quel grande patrimonio di credibilità che ha accumulato con un enorme sacrificio personale nel tempo, ma anche su capacità di stabilire rapporti internazionali, offrire politiche di giustizia sociale e sviluppo sostenibile e compatibile.
Lei è ancora la “grande Madre”, a lei è riposta una fiducia immensa, forse più grande delle sue reali possibilità. I militari, infatti, controllano il territorio, i traffici economici nazionali e internazionali. In molti, dopo la sua liberazione e le libere elezioni, si sono affacciati alle porte del Paese per chiedere il conto: affari, speculazioni, traffici più o meno leciti.
Il mondo intero, dovrà abituarsi a guardare la Birmania e la stessa Aung San Suu Kyi con un cannocchiale rovesciato: non più e solo quello del Nobel per la Pace, ma quello di una donna impegnata con tutte le sue forze a cambiare veramente il suo Paese, a dare un'autentica struttura democratica al suo popolo, a restituire dignità alle persone.
Si fa fatica, quando le si sta vicino per lungo tempo come abbiamo fatto noi nel salotto dove ci ha ricevuto a reggere il suo sguardo: diretto, incisivo, quasi a tenere con forza gli occhi, il cuore e la mente dell'interlocutore.
Al mio grazie per il suo grande impegno ha risposto “Siamo solo agli inizi”; alla nostra richiesta di invitare giovani in Italia “Molto bene, purché tornino nel mio Paese ad aiutarci”. Infine un passaggio veloce ma incisivo sulla vitalità della nostra democrazia parlamentare, come a dire che è nell'attuale Costituzione birmana in mano ai militari che vi è il vero cuore del problema.
Ci siamo lasciati a malincuore. Ci ha accompagnato fino alla porta e salutato, quasi a comunicarci il suo desiderio di ritrovarci e di non lasciarla sola. Ha abbracciato la senatrice Soliani come se la conoscesse da molti anni. Ci ha lasciato senza parole ma con il cuore pieno di riconoscenza e con la volontà di non abbandonarla in questa incredibile impresa nel cuore dell'Asia.
Molti commentatori stranieri negli ultimi tempi avanzano critiche nei suoi confronti, accusandola di calcolati silenzi sulle minoranze perseguitate e su vicinanze troppo strette con gli stessi militari. Non sono mancati momenti di contestazione aperta per le sue prese di posizione su controversie, sorte in zone di lavori e di terre rubate ai poveri contadini.
Se c'è una cosa che abbiamo imparato in questo viaggio, è quella che ogni lettura decontestualizzata risulta essere deformata e parziale.
Solo chi come noi ha avuto la fortuna di andare nel Paese occupando tutto il tempo a disposizione per incontrare le parti in causa, può timidamente dire qualche cosa, nel pieno e assoluto rispetto di una donna, oggi leader politica, che ha vissuto e percorso strade dolorose e molto impegnative per qualsiasi essere umano.
Poteva ritirarsi? Non era nel suo progetto di vita. Guardandola da vicino lo si capisce benissimo.
Nel 2015 ci saranno le elezioni generali. Anche per noi amici della Birmania, inizia oggi il grande lavoro di una fruttuosa vicinanza ad Aung San Suu Kyi e al suo Paese.

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