26 settembre 2019

Inevitabilità dell’Impresa per l’occupazione e del lavoratore-cittadino imprenditore

di Antonio Saccà

Tutti o molti si preoccupano della disoccupazione, perfino di una crisi planetaria, molti accusano la globalizzazione, l’immigrazione, le multinazionali, la speculazione finanziaria, le banche e quant’altro, aggiungiamo lo spostamento delle imprese dove si pagano meno tasse, dove il lavoro è meno costoso... Ma quando si tratta di suscitare soluzioni, tenendo ulteriormente conto della robotica, dell’intelligenza artificiale, queste presunte soluzioni si riducono a spezzoni di interventi, interventi a spezzoni, privi di una visione generale. E la visione generale consiste nel dover riconoscere che il capitalismo del profitto massimizzato ormai inevitabilmente crea sotto occupazione e disoccupazione e che non è concepibile che il detentore del capitale non corra dove ha opportunità di maggior profitto in ogni parte del mondo. Accusare la globalizzazione e credere che il ritorno alla sovranità statale possa impedire la circolazione di persone e capitali contrasta con lo scopo del profitto quindi finché regge il profitto come scopo il capitale o nazionale o globalizzato non si comporterà diversamente.
Non c’è da illudersi che uno stato sovranista corregga lo scopo del profitto, significherebbe abolire il capitalismo. Si dovrebbe avere il coraggio di andare in fondo al problema: la questione non sta nella globalizzazione a cui porrebbe rimedio il sovranismo, la questione sta nel fatto che oggi il capitale ha a disposizione tecnologie iperproduttive, diminuisce la mano d’opera e produce di più ed è impossibile impedirgli di spostare l’impresa e di utilizzare i lavoratori in ogni parte del mondo. Se lo si volesse fare occorrerebbe eliminare il capitalismo e statalizzare l’economia. Né bastano le tasse diminuite per risolvere l’occupazione, secondo la facile idea che a tasse diminuite il cittadino consuma maggiormente e quindi le imprese guadagnano maggiormente e si reggono. Bisogna sperimentare questa idea non soltanto teorizzarla anche perché si troverà uno stato che produce a più basso costo e fa pagare meno tasse. Comunque la ipotesi della diminuzione delle tasse va sperimentata. Ma vi sono altri rimedi e il rimedio essenziale storico consiste nel generare imprese di lavoratori proprietari i quali lavorano quanto necessario per reggere la concorrenza e mantenere l’occupazione, imprese di lavoratori che hanno per scopo non il profitto contro l’occupazione ma il profitto per l’occupazione, vale a dire un profitto che viene reinvestito nell’impresa e distribuito tra i lavoratori perché l’impresa resista articolando gli orari, i salari a tal fine: l’occupazione, la sussistenza dell’impresa. Dato questo fine di autotutela al lavoratore non dispiacerebbe, tutt’altro, lavorare di più o di meno ai fini della autotutela occupazionale e della salvezza dell’impresa, sgombrato dal profitto del capitalista che può anche licenziare per massimizzarlo i lavoratori si impegneranno allo stremo per lavorare appunto e salvare l’occupazione e l’impresa ed il profitto non sarà contro l’occupazione. Le imprese oggi in via di chiusura o di trasferimento devono essere gestite dai lavoratori. Basta cassa integrazione, salario di cittadinanza, salario minimo, detassazioni: occorre l’autoregolazione dei lavoratori ai fini dell’auto occupazione e della salvezza dell’impresa. Se i lavoratori non saranno capaci di costituire una alternativa al capitalismo privato e al profitto privato soccomberanno e sarà inutile questo invocare misure rappezzate qua e là occorre proporre l’Era del lavoratore imprenditore, anzi, del cittadino imprenditore in ogni campo, autotutela in ogni campo, medicina, trasporti... una modificazione radicale degli scopi delle imprese, del sistema produttivo. L’uso delle nuove tecnologie non per il profitto privato ma per l'impresa dell'autotutela dei lavoratori-cittadini.   

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