Direttore del Centro per il dialogo e la spiritualità delle religioni nel mondo, Renison College, Università di Waterloo (Ontario, Canada)
Sono profondamente grato di essere stato invitato dal Venerabile Doboom Tulku, direttore della Tibet House, a tenere questa conferenza sul dialogo tra le religioni1. Il mio interesse nel dialogo tra le religioni risale a quasi vent’anni fa, e Doboom Tulku, insieme ad altri (Dr. S. A. Ali, Dr. Mohinder Singh, Sri Shrivatsa Goswami, etc.) radunati qui ne hanno condiviso il percorso fin dal suo inizio, nei primi anni Ottanta.
La seconda parte di quest’evento si è tenuta a Istanbul, in mezzo alle gloriose moschee che punteggiano l’orizzonte di questo luogo d’incontro tra Oriente e Occidente. Questa conferenza è stato un unicum nella mia esperienza, in quanto ogni giorno i giornali della Turchia ne parlavano. E alle nostre sessioni, specialmente quelle a Urfa, partecipavano centinaia di musulmani del luogo. Durante eventi di questo tipo, mi trovo a imparare nuove cose sulle altre tradizioni e sulla mia. Durante queste conferenze, il dialogo si svolge tra studiosi e leader religiosi di varie tradizioni, quindi l’attenzione è posta sulla fioritura delle idee e delle credenze centrali per ciascuna tradizione, e sui punti di confronto e convergenza. Se da un lato questo tipo di dialogo è importante, dall’altro ha le sue limitazioni.
Come molti di voi sanno, ho anche partecipato al dialogo tra religioni vivendo con diverse comunità religiose. L’ho fatto in India e in Turchia, visitando comunità indù, musulmane, buddiste, giainiste, parsi e cristiane. In un certo senso, questo è quello che sto facendo ora con questo gruppo di studenti dall’università di Waterloo, ora in India per un semestre di studio all’estero. L’ho fatto anche in monasteri coreani, recitando il nembutsu alle 3 del mattino e sedendomi zazen nei monasteri giapponesi. Questo è un modo particolarmente prezioso di ricercare il dialogo religioso, in quanto permette di incontrare pienamente una tradizione e le forme in cui è vissuta.
Infine, sono stato coinvolto nel dialogo religioso grazie alla mia continua ricerca e studio dei diversi percorsi religiosi verso la Causa Ultima. Nel 1998 ho pubblicato un volume intitolato Tessuto dal Telaio del Tempo: Molte Fedi e Uno Scopo Divino, che esplora il tentativo di molte tradizioni religiose di rendere l’umanità adatta all’Ultimo.3
La mia intenzione stasera è evidenziare tre delle principali caratteristiche delle promesse del dialogo religioso, e poi tre delle maggiori sfide sulla strada di questo dialogo.
Ma fatemi cominciare con una storia, una storia che, come molte nella storia delle religioni, è in realtà apocrifa. Durante uno dei miei viaggi in India, sono riuscito a persuadere quattro amici – Doboom Tulku, S. A. Ali, Mohinder Singh e Shrivatsa Goswami – a venire con me a pescare. Eravamo su un bellissimo lago a Garwal, quando improvvisamente Doboom si ricorda di aver dimenticato qualcosa a riva, e, con mio grande stupore, salta giù dalla barca e, saltellando sull’acqua, ritorna a riva. Prende le sue cose, ritorna, e riprende a pescare. Ero stupefatto. Avevo sentito dei poteri dei lama tibetani, ma questo andava al di là della mia comprensione. Poco dopo, Syed Ausaf Ali dice di voler prendere dei samosa per pranzo, salta giù dalla barca e, con il suo fare da gentiluomo, cammina tranquillamente fino a riva, prende alcuni samosa e fa ritorno. “Che razza di magia musulmana è mai questa?” mi sono chiesto. Appena questi ritorna, Shrivatsa Goswami scavalca il bordo dell’imbarcazione, dicendo di aver bisogno di fiori per il puja, e io mi trovo a guardarlo danzare, come una visione di Krishna, sull’acqua – per poi fare ritorno. Ora, mi stavo sentendo sempre più a disagio. Proprio a quel punto il nostro amico Sikh, Mohinder, fa ruotare il suo turbante e si getta in acqua, cantando qualcosa su un certo guru, che non ho veramente capito. Ora mi sentivo veramente sfidato. Era quasi una prova di fede. Potevo io, un Cristiano, camminare sull’acqua a mia volta, come Gesù – e come tutti i miei amici? Ho fatto un respiro profondo e ho chiamato gli angeli in mio soccorso mentre saltavo giù dalla barca. Splash! Quando mi hanno tirato su a bordo, sputacchiando, i miei amici mi hanno detto: “Sei impazzito? Cosa stai facendo? Non sai che non puoi arrivare a riva se non sai dov’è la strada? Devi seguire il percorso!”.
Questa storia “apocrifa” ci introduce al discorso che voglio fare. Le tre rocce che ci permettono di attraversare le acque, dalla “sponda” del monologo delle nostre religioni a quella del dialogo sono: prima di tutto, il rispetto per i doni unici che porta ciascuno; poi, la consapevolezza del fatto che l’incontro di uomini e donne di fedi diverse dev’essere basato su una conoscenza solida della propria fede, e che tale incontro potrà approfondire ed estendere la fede di coloro che partecipano al dialogo; infine: la sponda più lontana (quella del dialogo religioso) è il nostro futuro.
Vorrei cominciare con lo slogan “La sponda più lontana, il nostro futuro interreligioso”. Uno degli sviluppi più significativi nella storia delle religioni, nell’ultimo mezzo secolo di questo millennio, è stato l’emergere del dialogo tra religioni.
[…]
È lo stesso futuro riflesso dei commenti di Sua Santità il Dalai Lama, quando scrisse nell’introduzione alle Quattro Nobili Verità che “ora stiamo diventando consapevoli delle tante tradizioni religiose del mondo” e che “dovremmo mantenere uno spirito di rispetto per le altre religioni”. Rifiuta anche l’idea che tutti dovrebbero essere buddisti, mentre al contrario fa notare come “le varie religioni hanno il potenziale di far sviluppare un buon cuore” e che “abbiamo bisogno di diversi tipi di religione”. Inoltre, dice che “ci sono adesso molti circoli interreligiosi, e l’idea di pluralismo religioso si sta radicando”. Queste affermazioni sono significative, e attraverso di esse, Sua Santità si distingue, tra i vari leader religiosi contemporanei. Abbiamo bisogno di sentire queste parole da tutti i leader religiosi, perché è passato il tempo in cui i fedeli potevano proclamare la verità della propria religione o della propria strada verso la Causa Ultima senza riconoscere la luce che brilla nelle altre tradizioni.
Ciò non significa che tutte le religioni sono uguali - non lo sono. E neanche significa che tutto quanto viene detto o fatto in nome della religione è buono e vero - non lo è. Ciascuna tradizione ha la propria strada verso la Causa Ultima, con le proprie credenze e pratiche. Ed è essenziale che nel dialogo religioso queste differenze siano riconosciute e rispettate. Alcuni presumono che lo scopo del dialogo tra le religioni sia la ricerca dei punti in comune, ma ciò significa confondere il dialogo sincero e una chiacchierata educata. Il vero dialogo tra uomini e donne di tradizioni diverse non vede paura di sfidare l’altro nel nome della verità e della bontà, che sono nel cuore di ciascuna tradizione. È anche importante ricordare che l’obiettivo è il rispetto e la comprensione reciproci: niente di più, niente di meno. E questo implica la comprensione delle differenze, così come dei punti di convergenza.
Un incontro di teologi cristiani in India, nel 1989, dichiarò che “essere una persona religiosa nel nostro tempo significa essere interreligiosi”. Se, da un lato, ciò non è ancora possibile per tutti, dall’altro punta il dito verso quella sponda lontana che, come abbiamo già detto, è il futuro.
Il dialogo tra le religioni richiede il rispetto per i doni e i contributi unici di ciascuna tradizione e persona al dialogo
Ricollegandomi alla precedente storiella apocrifa: io non sono Doboom, né Mohinder, né Sye, né Shrivatsa, e neanche aspiro ad esserlo. Piuttosto, è più importante crescere nella comprensione reciproca attraverso il dialogo. In questo modo, non solo approfondiamo la nostra comprensione della nostra unicità e diversità, ma giungiamo anche a un affetto più profondo tra di noi, e a una compassione più universale. In questo modo otteniamo un futuro condiviso, una comunione.
[…]
Il futuro è ora. Si sta dispiegando, ovunque degli uomini e donne di fedi diverse si incontrano in modi che rispettano il contribuito individuale di ciascuna tradizione al rapporto che l’umanità ha con la Causa Ultima.
Quindi, il mio terzo e ultimo punto è che le rocce, o il sentiero sicuro verso la sponda lontana del futuro è l’integrità delle nostre particolari tradizioni. Alcuni credono, sbagliando, che il dialogo implichi il lasciare da parte le particolarità delle rispettive fedi, per favorire una sorta di (presunta) unità generalizzata. Altri, sempre sbagliando, credono che si possa entrare in un dialogo solo andando al di fuori della propria fede. Ma la mia esperienza è che l’unica strada verso quella riva lontana del futuro passa per le “pietre da guado” delle nostre particolari fedi. È solo quando il Venerabile Rimpoche rimane fedele alla sua Via del Buddismo tibetano, o quando Sri Goswami suona il suo flauto di Krishna, o quando il Dr. Ali sente la Chiamata di Allah, o quando il Dr. Singh presenta la saggezza dei suoi Guru, che un dialogo genuino può avere luogo. È nel parlare e nell’ascoltare, nei silenzi e nei canti condivisi, nella gestualità rituale e nei discorsi morali che possiamo venire a conoscerci e capirci. Tale processo multiforme non sempre porta a un punto di accordo, e in effetti talvolta porta alla consapevolezza di differenze incolmabili, ma porta sempre a una maggiore profondità della comprensione reciproca. Possiamo dirigerci verso un futuro interreligioso solo se riconosciamo e rispettiamo le peculiarità di chi e cosa siamo. E muovendoci in questo pluralismo scopriremo che è il dialogo a portare comunione e comunità.
Ma lasciate che parli ora di alcune difficoltà. Il primo e più ovvio ostacolo al dialogo è la paura dell’Altro. In ognuno di noi -e all’interno di ciascuna tradizione- vi è una profonda mancanza in agguato: la mancanza di chiarezza su quello che è ignoto e alieno a noi. Quando ci si incontra, varchiamo certi limiti: l’Altro ci ferirà o ci abbraccerà? Sfiderà quello che sono e ciò che mi definisce? La differenza porterà ostilità o amicizia? Questa incertezza da un lato ci prepara all’incontro con l’Altro (o gli Altri), ma può anche impedire un incontro genuino. Io so che dentro me stesso vi sono questi elementi di paura che devono essere risolti e superati, se voglio veramente incontrare l’Altro. E posso anche vederlo in molti nella mia tradizione cristiana, che vedono qualsiasi incontro e dialogo con persone di altre fedi come un tradimento di Cristo e del Cristianesimo. È proprio questa paura per l’Altro che porta le persone di tutte le tradizioni a rifiutare il dialogo e la validità delle altre Vie. Come ci sono molti cristiani così intrappolati dalla paura dell’Altro (o Altri) che non entreranno in dialogo con persone di altre fedi, così ci sono indù, musulmani, buddisti, sikh, etc. che rifiutano il dialogo con le altre fedi.
La seconda sfida -connessa alla prima- è il crescente “trinceramento” dietro le nostre tradizioni. Molte persone di varie tradizioni diverse si pongono sulla difensiva verso la secolarizzazione o la modernizzazione, e di conseguenza si trovano a “trincerarsi”, scavando in difesa di nemici (riaffermando i “fondamentali” della propria fede). In questo clima, il dialogo tra fedi diverse è estremamente difficile, spesso impossibile. E ogni volta che parlo di dialogo, mi chiedono di quelli che, all’interno della mia tradizione religiosa -e anche delle altre tradizioni- non sono disposti al dialogo. Questa è davvero una grande sfida, e rende chiara la necessità, per coloro tra noi impegnati nel dialogo, di parlare a quelli delle nostre tradizioni riguardo la necessità e il dono portato dal dialogo. Abbiamo bisogno sia di dialogo nelle nostre stesse tradizioni, con quelli che temono il dialogo, che di dialogo interreligioso. È importante includere altre persone, dalle nostre stesse fedi, nel dialogo interreligioso.
La terza sfida al dialogo interreligioso è l’uso politico delle tradizioni religiose. Spesso troviamo leader politici in tutto il mondo che usano la religione per portare avanti i loro interessi. È una pratica comune ai candidati presidenziali americani vestirsi del manto della religione per portare avanti la propria candidatura. Alcuni politici musulmani abusano dei precetti dell’Islam per mobilitare le persone contro altri, percepiti come nemici della fede. Alcuni politici indù usano la loro fede per guadagnare influenza e potere politico. E alcuni leader politici buddisti in Sri Lanka cercano talvolta di sollevare sentimenti anti Tamil, usando una retorica anti-indù. Questo tipo di abuso è una sfida al dialogo molto diffusa.
Ciononostante -nel mezzo di queste difficoltà- è cominciato un dialogo di vitale importanza. È diventato il nuovo contesto, all’interno del quale persone da diverse tradizioni religiose possono superare secoli di ostilità e antagonismo verso le altre religioni…
1 Questa conferenza si è tenuta presso la Tibet House a Nuova Delhi, India, il 19 ottobre 2000. È stata recentemente posta all’attenzione di Dialogue & Alliance (pubblicazione della UPF) per una eventuale pubblicazione. È stato dato il consenso, e la pubblicazione è stata leggermente rivista per la presente pubblicazione.
2 Questa conferenza è stata organizzata dal Dr. Aydin e la Dialogue Platform Foundation in Turchia. Ho avuto il piacere di incontrare numerosi studiosi ebrei, musulmani e cristiani a quest’evento. Vedi anche M. D. Bryant e S. A. All, Moulins Cbriseian Diakme: Pewnese & Problezu (St. Paul, MN: Paragon Press, 1998).
3Vedi M. DarroI Bryant, Tessuto dal Telaio del Tempo: Molte Fedi e Uno Scopo Divino (New Delhi: Decent Books, 1999) e, più di recente, M. Darrol Bryant, Reksion in a New Kr, 3rd edition (Kitchener, Ontario; Pandora Books, 2015).
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