Naypyidaw libera 56 attivisti. Leader cattolica: Non basta
AsiaNews | 24 aprile 2013
Il governo birmano ha ordinato il rilascio di oltre 50 detenuti politici, in risposta alla scelta del Parlamento europeo di sollevare le sanzioni economiche e commerciali al Myanmar. Resta il bando alla vendita di armi. Attivista Kachin critica la mossa di Bruxelles, perché “non vi è ancora un vero desiderio di cambiamento”.
Yangon -- Il governo birmano ha ordinato la liberazione di almeno 56 prigionieri politici, in seguito alla decisione dell'Unione europea di rimuovere tutte le sanzioni economiche, commerciali e individuali al Myanmar; resta confermato, invece, l'embargo alla vendita di armi. La conferma del rilascio dei detenuti arriva proprio da uno di essi: si tratta dell'attivista Zaw Moe, il quale spiega che la scelta di Naypyidaw è vincolata alla votazione di Bruxelles, che spalanca le porte della ex Birmania agli investitori europei. Secondo altri commentatori, invece, la liberazione è legata ai festeggiamenti per il nuovo anno birmano, che si è celebrato nei giorni scorsi in tutto il Paese.
Al contempo l'esecutivo del presidente riformista Thein Sein, salito al potere nel marzo 2011 dopo decenni di dittatura militare, ha annunciato il proposito di favorire l'insegnamento scolastico delle lingue appartenenti alle minoranze etniche. Ora migliaia di alunni di istituti governativi potranno imparare il loro idioma nativo, come seconda lingua nel contesto dei normali curriculum scolastici. Finora le direttive del ministero consideravano l'inglese come seconda lingua nazionale.AsiaNews | 24 aprile 2013
Il governo birmano ha ordinato il rilascio di oltre 50 detenuti politici, in risposta alla scelta del Parlamento europeo di sollevare le sanzioni economiche e commerciali al Myanmar. Resta il bando alla vendita di armi. Attivista Kachin critica la mossa di Bruxelles, perché “non vi è ancora un vero desiderio di cambiamento”.
Yangon -- Il governo birmano ha ordinato la liberazione di almeno 56 prigionieri politici, in seguito alla decisione dell'Unione europea di rimuovere tutte le sanzioni economiche, commerciali e individuali al Myanmar; resta confermato, invece, l'embargo alla vendita di armi. La conferma del rilascio dei detenuti arriva proprio da uno di essi: si tratta dell'attivista Zaw Moe, il quale spiega che la scelta di Naypyidaw è vincolata alla votazione di Bruxelles, che spalanca le porte della ex Birmania agli investitori europei. Secondo altri commentatori, invece, la liberazione è legata ai festeggiamenti per il nuovo anno birmano, che si è celebrato nei giorni scorsi in tutto il Paese.
Attivisti per i diritti umani e organismi internazionali hanno accolto con favore il recente rilascio di prigionieri, che segue provvedimenti analoghi già presi in passato e per i quali Napypyidaw aveva creato una specifica commissione, chiamata a studiare ogni singolo caso. Tuttavia, come sottolinea Bo Kyi dell'Assistance Association for Political Prisoners (Aapp) "più di 200 altri prigionieri politici sono tuttora rinchiusi nelle carceri birmane". Essi vanno "rilasciati senza condizioni" e fra questi vi sono anche 40 ex ribelli Shan, incarcerati con l'accusa di traffico di droga.
Fra le voci critiche vi è anche quella dell'attivista cattolica Khon Ja Labang, già membro del movimento Kachin Peace Network, impegnata nella pacificazione delle aree teatro di conflitti etnici, secondo cui "l'Unione europea non avrebbe dovuto rimuovere le sanzioni". L'attivista di etnia Kachin spiega ad AsiaNews che "è ancora oggi assai necessaria la pressione politica", visto che non vi sono posizioni unanimi nemmeno in tema di cittadinanza. "Aung San Suu Kyi - racconta - ha parlato di revisione della norma del 1982, ma il ministero dell'Immigrazione ha subito precisato che non vi è nulla di sbagliato nella legge". Per l'attivista è evidente che "non c'è un vero desiderio di cambiamento".
Fra le minoranze più colpite vi sono i Rohingya, una minoranza musulmana concentrata nello stato occidentale di Rakhine, teatro dal giugno scorso di violenze etniche e confessionali con la maggioranza buddista che hanno causato centinaia di morti. Nei giorni scorsi un rapporto degli attivisti newyorkesi di Human Rights Watch (Hrw) ha denunciato una "campagna di pulizia etnica" contro i musulmani, testimoniata da "prove di fosse comuni, espropri forzati e cacciata di intere comunità". Protagonisti delle violenze funzionari governativi, leader locali, monaci buddisti, che hanno goduto del sostegno delle forze di sicurezza dello Stato, impotenti - o persino conniventi - nei pogrom anti-islamici, come emerso in un video girato dalla polizia (e rilanciato dalla Bbc) nella cittadina di Meiktila, anch'essa teatro di violenze fra buddisti e musulmani.
Le violenze contro i musulmani, chiarisce l'attivista cattolica Khon Ja, non si limitano "ai Rohingya, ma colpiscono varie fazioni della minoranza islamica birmana". Per dar corso a una "soluzione politica" del problema, bisognerebbe prima di tutto "avviare approfondite indagini per capire chi c'è dietro queste violenze, arrestando tutti i monaci e le persone che soffiano sul fuoco per alimentare lo scontro entico e confessionale. Una iniziativa che devono prendere proprio i Bamar - il principale e più diffuso gruppo etnico del Myanmar, ndr - in prima persona".
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