di Antonio Saccà
Apprendo tardivamente che è morto Emanuele Severino, con dispiacere grande, l'ho conosciuto anni passati, abbiamo fatto dei convegni insieme, mi scriveva lettere a proposito dei miei libri e a proposito dei suoi libri, di cui mi occupavo talvolta. Aveva una grafia illeggibile, più che una grafia era un’ondulazione della penna. Amava la musica, suonava il piano, a Palermo durante un convegno, suonò qualcosa, credo di Bach, con mani molto dure e dita forti, minimi errori ma aveva energia, fuori, dopo, passeggiando, vi erano anche Gianni Vattimo, Eugenio Scalfari, Claudio Magris, Sossio Giannetta, io cantai romanze napoletane... Sosteneva concezioni strabilianti, che l'essere è eterno in quanto l'essere non può non essere, non può venire dal nulla e non può annullarsi in quanto, appunto, essere... assurdità totale.
L'essere cambia pur mantenendosi esse, ma Severino riteneva che fossero persistenti tutti gli stati dell’essere, insomma se invecchiamo la gioventù non è scomparsa nel nulla ma esiste nascostamente in quanto ciò che esiste non può diventare inesistente. Un uomo che diventa polvere esisterebbe come polvere e come uomo del passato, esisterebbe sempre tutto di tutti, per il motivo detto, l'essere non può diventare nulla. Mi chiedevo: e dove è nascosto questo passato incancellabile? Io scorgevo dissoluzione e sparizione. Severino credo che avesse un'origine cattolica, in ogni caso il suo “essere” costituiva una copia stinta di Dio. Del resto non credo esista l'essere ma gli esseri. Anche sul dominio della tecnologia che riteneva un atto di violenza e ormai idonea a trasformare il capitalismo quasi che vincesse la tecnologia in quanto tale, non lo condividevo, sebbene forse giusto quanto egli non coglieva esplicitamente, che la tecnologia imporrà nuovi sistemi produttivi...
Aveva una scrittura che tentava l'oracolarità, alla Martin Heidegger, con toni rivelatori, misticheggianti, ma i filosofi poeti sono antichi, poi vi è Leopardi, e Nietzsche, quando lo è. Su Giacomo Leopardi scrisse con verità, anche se lo riteneva il coronamento della filosofia del Nulla alla quale opponeva la sua filosofia dell'essere eterno. Amava la filosofia, amava discutere, non arretrava. Amava la bella consorte, Esterina, quando costei morì, io ne scrissi, e Severino mi chiamò con animo dolente. Racconto di ciò nel mio libro ‘La memoria dei ricordi’, da poco uscito. Glielo avevo inviato, a Brescia. Aspettavo la sua lettera. Un dispiacere senza riparo la morte di Emanuele Severino.
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