Il contenuto degli articoli dei collaboratori, esprimono il pensiero degli autori e non necessariamente rappresentano la linea editoriale che rimane autonoma e indipendente.
di Antonio Saccà
Talvolta,
sentendo la tragica, incomprensibile situazione in cui, senza ragione e
volontà, siamo inabissati in questo microbo del Cosmo che è la Terra, viene da
abbracciare tutti, carnefici e vittime, in una espansione di angoscia
onnicomprendente o di uccidere, uccidersi, impazzire, pur di non fingersi che
vi sia un millesimo di sensatezza in questa assurdità a fondo perduto che è la
vita. E la presenza dell'esistente. E, oggi, pure la Società, così com'è
ridotta, come l'abbiamo ridotta.
Anonimo contemporaneo
Anonimo contemporaneo
Notazioni tematiche
Due
sono i temi dominanti oggi, la situazione economica, l'immigrazione. Vediamoli
entrambi.
Economia:
una premessa
La
situazione economica è disastrosa, nel mondo e per i singoli. Letteralmente,
giriamo a vuoto. Non traiamo alcun utile.
Alcuni, pochi, tirano sangue dai molti. La redistribuzione non basta.
Occorre un diverso criterio di valutazione all'origine del sistema produttivo.
Questo può accadere o con la forza dello Stato o , molto meglio, con una
economia che in partenza stabilisca retribuzioni, profitti, tassazioni, pensioni,
in modo che non vi siano sproporzioni. A tal fine occorre un potere popolare.
Ossia, lo Stato deve appoggiarsi al potere popolare. Meglio, il potere popolare
deve gestire l'economia. Se non la gestisce la distribuzione non ha forza. Non
redistribuzione ma gestione.
Immigrazione e morale: una premessa
La storia dei popoli può fondarsi sulla
prevalenza del loro spirito umanitario?
Se un popolo fa della compassione
il termine essenziale della maniera di esistere avremmo avuto civiltà di
ospizi?
Ciascuno, singolo o popolo,
agisca a sua volontà, se può, consideri, però, gli effetti probabili dei suoi
atti.
Un individuo può impietosirsi di
un altro individuo, ma un popolo di un popolo?
È disumano spesso difendersi, ma
altrettanto disumano non difendersi.
La carità può essere nemica della
civiltà. La civiltà senza carità è bestialità. Allora? È così. Non c'è
soluzione.
Esclusivamente il “Santo” ha
diritto di pronunciare la parola “compassione”, per gli altri è una emissione
di fiato.
Prendessimo sul serio il termine
“pietà” lo useremmo meno e non ce ne faremmo un ammanto verboso.
La pietà è altamente morale. E
può rovinare una civiltà.
Moltissimi proclamano spesso la
parola pietà perché lo sono esclusivamente nella parola.
Meglio impietosi che falsamente
pietosi.
Che civiltà vogliamo erigere?
Secondo la civiltà paghiamo un costo diverso. Ed è impossibile non pagarlo per
giungere alla meta.
L'immigrazione è posta tra la
pietà e la tutela della nostra civiltà.
Perché ingannarci, addirittura
mentire: l'immigrazione in quantità supreme può degradare noi e gli stessi
immigrati!
L'immigrazione non è solo un
fenomeno sociale ed economico, è un mutamento di valori.
Immigrazione ed economia
Discorso di uno straniero
immigrato clandestino a me italiano.
“Siete pazzi, voi italiani, il
popolo pazzo, in tutto il mondo non esiste un popolo pazzo come voi e quanto
voi. E sapete perché siete pazzi? Perché vi credete buoni o scaltri. E siete
pazzi come buoni e come scaltri. Vuole sapere perché? Mi ascolti qualche
minuto. E non mi interrompa. Alla fine dirà quel che le pare. Dunque. Noi
veniamo a fiumi, da ogni vostro lato. Siete una pentola bucata. Non c'è Paese
dove entriamo tanto facilmente come l'Italia. Da ultimo avete inventato di
prenderci, addirittura. Non solo veniamo ma ci venite a prendere, ci venite a
“salvare”. Bravi, bravissimi, buoni, buonissimi; ma dovete decidervi: come fate
a dare una regola ai nostri sbarchi se appena a conoscenza dei nostri barconi
correte ad accoglierci tutti? Non vi capisco. Lo fate perché siete buoni, per i
diritti umani (sorriso amaro e disgustato dello straniero, nota mia)? Tra poco
ne parlerò, di questa leggenda. Lo fate. Senza limiti. Un colabrodo contento di
essere un colabrodo. E noi veniamo, corriamo, ammassati a centinaia di
migliaia, da quasi tutta l'Africa, e dobbiamo pagare per essere da voi, molto,
e poi, poi, ecco, voi non sapete o fingete di non sapere, i più non sanno, ma
quelli che sanno lo sanno benissimo: siamo bestie da fatica, da voi siamo usati
come bestie, subito, molti conoscono già la loro destinazione, un vero e
proprio spaccio di schiavi, un giro enorme di denaro nascosto, di gente
nascosta, di lavoro nascosto, c'è il reparto malavita, il reparto prostitute,
il reparto lavoro dei campi, il reparto muratori, il reparto venditori
ambulanti, nessuno o quasi nessuno secondo legge. Secondo legge. Secondo legge!
Mi fate ridere (ride divertito, nota mia). Secondo legge in Italia c'è solo il
malaffare, la legge del malaffare. Secondo legge in Italia non conosco niente e
nessuno. Camerieri senza contratto, muratori senza legalità, raccoglitori
furtivi, puttane sotto magnaccia, affitti silenziosi, spacciatori alla luce del
sole, e metta chi vuole, non un grammo di legalità. Mi dica lei, chi paga le
tasse in questo Paese, il vostro? Noi, mai. Voi, neanche, dico quelli che ci
divorano. Bello, vero?! Magnifico. Non paghiamo tasse noi e neppure quelli che
ci rodono! Magnifico. Ecco come un Paese si rovina. Perché le tasse le pagate
voi (mi indica con il dito, nota mia), la gente con un impiego, una o due
casette, una pensione. Voi (mi indica ancora, nota mia) non potete sfuggire,
invece noi siamo invisibili, noi e i nostri padroni, li chiamo così perché lo
sono veramente. Sia coloro che ci a amministrano sia coloro che ci danno
lavoro. E dico poco. La maggior parte del denaro lo inviamo ai nostri
disgraziatissimi parenti che crepano nei luoghi che abbiamo lasciato, madre,
fratelli, anziani, e tutti quelli che consideriamo di famiglia (ha un momento
di commozione, nota mia). Questo un primo risultato della vostra bontà o della
vostra astuzia, o di entrambe: arricchiamo mascalzoni che non pagano tasse, noi
non paghiamo tasse, voi pagate più tasse per rimediare la voragine di chi non
le paga”.
Continuazione del discorso dello straniero
A questo punto lo straniero
cominciò a squassarsi da un movimento che non capivo se di pianto o di risate,
si copriva il volto e respirava a scosse. Restai a guardarlo, a momenti credevo
ridesse, a momenti mi sembrava che piangesse. Rideva! Ma come se piangesse... dal
ridere. Continuò, ridacchiando: “Noi siamo come i gatti. Quanto figliano, le
gatte? Cinque, otto, dieci gattolini(!), noi lo stesso in proporzione a voi.
Per un vostro gattino noi ne mettiamo in vita almeno tre o quattro. Mi dica lei
(e mi dirizzò l'indice, nota mia) che ne sarà di voi tra dieci, quindici,
vent'anni!” (si fermò di nuovo, squassato dalle risate, nota mia). “Mi dica se
esiste un Paese così pazzo da mettersi in casa gente che non paga tasse e che
genera assai più figli degli abitanti del luogo?!”. Di colpo, iniziò a tossire
per quanto rideva, sghignazzava, addirittura. “E poi, poi, ah, ah, ecco, poi,
la salute, i medicinali, gli ospedali, incredibile, facciamo figli pagati da
voi, e così un giorno avanzeremo di quantità a spese vostre! Ma c'è popolo
più... più... no, impossibile, dico io, incredibile, ci pagate per farvi
sorpassare...E ci riuscirete, bravi, benissimo, dieci, vent'anni, e dovete fare
i conti con noi per governare... E se qualcuno sogna che saremo riguardosi, da
pari a pari, sogna proprio, non si è mai vista una faccenda del genere, quando
avremo un numero sufficiente vi imporremo le nostre condizioni, è normale, la
cosa più sicura, non riuscirete a controllarci, o con le buone o con le cattive
vi sostituiremo, spartiremo la vostra società.
Bene, dice il solito buono: questo deve essere, siamo tutti uomini! Il
più imbecille degli imbecilli è chi crede all'uguaglianza e alla riconoscenza.
Se saremo i più forti agiremo da più forti. Solo dementi possono credere alla
bontà del povero che riesce a dominare. Non vi domineremo? Illusi! Continuate a
prenderci e a non fare figli, e ve ne accorgerete!”.
Tacque. Non so se riteneva io
volessi parlare. Non parlai. Mi interessava molto ascoltare. E continuò. “Non
meno pazzi sono i cattivi, quelli che credono di succhiarci il sangue. Noi
fatichiamo, ci spezziamo le ossa, dobbiamo ripagare i traghettatori, stiamo in
dieci in una stanza, intanto sopravviviamo, figliamo, chiamiamo i parenti, gli
amici, qualcuno studia o fa studiare i figli, qualcuno mette bottega, con amici
e parenti paga quasi niente salari, gli orari non esistono, capite o no che vi
diamo guerra in casa vostra e voi ce la consentite! E questo, perché? Perché
credete che vi facciamo risparmiare nelle nostre botteghe o che trovate
lavoratori a minor costo. Questo il grande scopo della vostra bontà e della
vostra astuzia. Vi mangeremo crudi. Se credete di salvare la vostra economia
sfruttando noi siete incoscienti, se credete di salvare la vostra economia
trattando con parità noi siete incoscienti lo stesso. Nessun paese è salvato da
stranieri che generano di più. Fate figli, pazzi! E soprattutto, mettete in
regola ogni straniero e garantitegli i diritti: non ne verranno che meno della
metà perché non li prenderà nessuno. Li prendono in quanto fuorilegge. Ma in un
modo o nell'altro vi rovineremo”.
Ancora il portentoso discorso
dello straniero
Tacque di nuovo, e si carezzava
nervosamente i nerissimi capelli. Sentii che preparava qualche considerazione
peggiore delle precedenti. Poi, calmissimo, come parlando a se stesso, disse: “Che
vantaggio arrechiamo alla vostra società? Non lo so. Certo, lavoriamo, certo,
produciamo, di sicuro, riempiamo le vostre mancanze di figli, forse i nostri
figli e i figli dei nostri figli si considereranno italiani, o tedeschi, o
spagnoli, negli Stati Uniti avviene, dicono che avviene, non lo so, dicono, ma
quello è un gran Paese, un Paese grande, e il potere è in mani precise, non le
nostre, no, mani implacabili, i vostri sono paesi fragili, se accresciamo di
numero , non so, non so, io mi preoccuperei, fossi italiano, credete di averci
a poco prezzo, è il risultato della vostra bontà o della vostra astuzia, ma,
alla conclusione, se ci moltiplichiamo come sta avvenendo, altro che il piacere
che riempiamo le vostre penurie di figli, le vostre pensioni, qualcuno lo
suppone, vi procureremo, no, vi sostituiremo, non sarete in condizione di
governarci. Va bene, contenti, avete raggiunto la fratellanza universale! Siete
degli...”. Disse vari termini che non riferisco in quanto immaginabili e
comprensibili. Poi, di colpo: “Ma forse vi salveremo noi, noi stranieri vi
salveremo dagli stranieri prepotenti per salvare noi stessi da costoro. Sul
vostro territorio, e non solo sul vostro, la lotta sarà questa: stranieri ormai
padroni del Paese verso stranieri che vogliono impossessarsene!”. Ricominciò a
sghignazzare così irrefrenabilmente che temetti per la sua salute. Scherzava?
Fantasticava? Diceva sul serio? Parlicchiava toccandosi le dita quasi a
numerare: “Non paghiamo tasse, uno, utilizziamo le protezioni sociali, due, non
pagano le tasse quelli che ci fanno lavorare, tre, mandiamo il denaro fuori,
quattro, facciamo figli a palate, cinque, loro
pagano tasse e non fanno figli, sei, mandiamo a studiare i nostri figli,
sette, mettiamo bottega a basso prezzo di lavoro tra noi, otto, prima o dopo
l'avremo vinta, nove, sono pazzi, pazzi
e...”. Riprese a dire parole che non dico, ma chiunque le immagina.
Considerazioni su quanto detto
dallo straniero
Nel suo parlare, io pensavo. Se
uno straniero faceva quelle considerazioni contro di noi, mi pareva ridicolo
giustificare noi perché “buoni”, “umani”, “accoglienti”, egli mostrava a che si
riduceva effettivamente l'immigrazione, una lurida faccenda di sfruttamento, da
parte nostra; una incupita volontà di futuro dominio, da parte loro. E il
dominio, era manifesto, sarebbe accaduto con la forza micidiale dei numeri.
Ricordandomi di essere stato docente di
sociologia, me ne davo una interpretazione, orribile: noi “volevamo” stranieri
e che figliassero loro nel disperato e fallimentare scopo di avere lavoratori a
basso costo per ottenere il mitico profitto. Era il modo di un inetto
capitalismo di salvarsi: importare lavoratori, perfino i loro figli, a basso
costo, presente e futuro. Proprio in quei giorni in cui ascoltavo l'immigrato,
negli Stati Uniti si valutava la regolarizzazione, come si dice, di milioni e
milioni di lavoratori stranieri che venivano occupati in maniera impropria.
Insomma, una tendenza mondiale: ricorrere agli stranieri per scemare il costo
del lavoro e restaurare il profitto. Mi dicevo: vero, ma in ogni caso queste
povere, misere, sofferenti popolazioni hanno un minimo salario, riescono a
sopravvivere. Indirettamente, perseguendo lo sfruttamento, facciamo del bene.
Rispondevo: ma se tutto ciò serve ad avvilire la nostra popolazione, ad avere
in casa milioni e milioni di stranieri che, lo dice il mio dialogante, un
giorno ci metteranno alle strette?! In fondo, continuavo in me stesso, quello
che accade è l'arricchimento dei ricchi che abbassano i salari, l'impoverimento
della massa sociale per la presenza di gente che si offre a poco e fa
concorrenza ai lavoratori nazionali. Per questo siamo accoglienti!
Lo straniero ricomincia l’analisi
dell’immigrazione
“Ha capito?”. Udii la domanda,
era il mio interlocutore che me la faceva. “Sì, ho capito”. “Salvare il
profitto in questa forma rovina la società!”. “Vero, ci rovineremo”. “Vogliono
tornare ai primi anni del capitalismo, salari di fame e lavoratori allo
sbaraglio. Sa che c'è di comico in tutto questo? “. “Me lo dica”.
Che proprio quelli che urlano
“accoglienza”, “umanità” favoriscono l'immiserimento”. Ricominciò a
sghignazzare tanto che il colloquio finì.
L'incontrai giorni successivi. Mi fece una
proposta, che io fingessi di dargli lavoro, lui avrebbe pagato le
contribuzioni, io non lo avrei retribuito fingendo di retribuirlo, egli avrebbe
ottenuto il permesso di soggiorno, desideratissimo, così poteva entrare ed
uscire dal nostro Paese. Disse che innumerevoli agivano in tal modo, che vi erano
organizzazioni a tale scopo, era proprio ostinato a darmi a intendere che da
noi di legale c'è soltanto la illegalità e guai a chi è voleva rispettare la
legge. “Se vuole capire l'immigrazione deve tenere conto della fame, delle
guerre, ma non trascuri la delinquenza, lei deve combinare l'immigrazione anche
al lavoro fuorilegge, a gente disposta ad ogni delitto... Gli dissi che
esistevano tanti immigrati brave persone, laboriose, amiche, i cui figli
sarebbero stati corretti membri e cittadini dell'Italia. Gli venne un attacco,
non saprei come definirlo, se non epilettico, non epilessia, il male oscuro, ma
scuotimenti, strabuzzamento di occhi, cercava di parlare, coglievo a frasi
mozze... “Pazzi, non capite... tutto il contrario… perderete”. Quando riuscì a
contenersi mi precisò: nessun popolo è salvato e tutelato da altri popoli, e
poiché, ne era ossessionato, noi non generiamo saranno i bravi individui, gli
integrati che ci sovrasteranno lentamente, serenamente, senza che ce ne
accorgiamo. Così mi disse. Dovevamo ad un capitalismo infame, che pur di
ottenere e restaurare il profitto dilatava l'ingresso ai morti di fame per
abbassare il costo del lavoro? Gli feci la domanda. Si animò e mi batteva la
mano sul braccio, guardandomi sorridente. Ma se avevo ragione eravamo davvero
alla catastrofe! Se il capitalismo ha voglia di rifarsi il profitto anche con miriadi
di poveracci da mal pagare come contrastare l'immigrazione?! Mi abbracciò. E
capii il suo livore contro l'immigrazione. Quella immigrazione rovinava loro
non meno che noi e un domani avrebbe suscitato una guerra generale, tra
immigrati riusciti e miseri, tra italiani e immigrati, tra italiani. “Se non
cambiate questo capitalismo siamo tutti alla rovina!”. Dunque prendersela
soltanto con l'immigrazione e non con il sistema che la determina è un falso
bersaglio? Mi batté le mani!
L'incontro successivo, l'ultimo,
credevo, se avverranno incontri futuri esuleranno da quanto scrivo adesso, fu
stupefacente, ne dico per segnare che ormai siamo nel delirio, a meno che il
delirio non sia veggenza. Ne riferisco le parole: “Ma dico io, insomma, perché
non consegnate le vostre società a noi!? Avremmo individui che lavorerebbero
notte e giorno, una disciplina con sostegno religioso, salari di sostentamento,
proteste, mai, lasceremmo in una accettabile povertà i lavoratori, altro che
stato sociale e benessere, e non avendo mai avuto né l'uno né l'altro, non li
rimpiegherebbero. Vuol capire perché voi non avete futuro? Glielo spiego? Non
se ne avvede? Perché avete un buon passato! Riadattarvi al peggio sarà un
dramma se non tragico. Fatevi dirigere da noi, si convinca”. Celiava? Forse. O
no?
Una “scoperta” di politica
sociale
Sbagliavo, l'incontrai
nuovamente. E il discorso che mi fece lo trascrivo, considerandolo necessario
per capire questo clamoroso evento dell'invasione. Mi disse: “Sa che potrà
avvenire? Glielo dico: un falso bersaglio! Mi spiego. Voi accuserete noi e
invece dovreste accusare i Signori di casa vostra. Se ci danno lavoro
fuorilegge, se ci fanno abitare nelle vostre case, se ci fanno liberi dopo
furti o altro, pensi lei, è colpa vostra o nostra? Se ci fanno entrare e poi ci
lasciano crepare? Se ci usano per tutto un mondo irregolare, la colpa di chi è?
Ma ci renderanno malvagi, disonesti, rubatori, sporchi, usurpatori ai vostri
occhi e voi crederete che le vostre miserie provengono da noi, ci faremo guerra
e non faremo guerra a chi ci riduce come siamo, noi e voi! Non dobbiamo cadere
nell'inganno. E invece, cadiamo. Invece della guerra comune contro i Signori la
guerra tra poveracci. Capisco, capisco, non c'è bisogno che mi guardi come se
io volessi cambiare opinione e farmi difensore dei miei... No. Lei comprende.
Dico che usano la nostra povertà per renderci sottomessi a ogni lavoro, onesto
e disonesto, e per farci responsabili della vostra povertà, diverremo, lo siamo
già, un bersaglio per la vostra scontentezza... e il poveraccio vostro si
monterà la cresta per avere sotto mano uno da colpire, invece di attaccare chi
ci divora tutti... sì, rubiamo, siamo sporchi, violenti, senza legge, molti di
noi, ci dovreste cacciare, ma ci tengono per offrirvi un bersaglio, e voi ci
cascate...Ma prendetevela con chi vi sta rovinando, vi sta rovinando. E non
siamo noi, non siamo noi...”.
Gli effetti interpretativi del
colloquio sull'immigrazione
Il
colloquio con lo straniero ebbe l'effetto che può avere la lettura di un testo
che svolge argomenti commisti di politica sociale, morale, economia. Non c'è
dubbio, a considerare la sorte di ciascuno e di tutti, insorge una compassione
universale e ogni durezza, ogni condanna spariscono, vorremmo far poggiare la
fronte sul nostro petto all'intera umanità o poggiarla noi, stanchi di
giudicare, di opporci, di cercare, di preferire, di approvare e negare, ma
subito ci rendiamo conto che in tal modo preciperemmo ancora di più nella
miserabilità dell'esistenza, e accogliere
tutti non distinguendo e non rispettando un criterio di qualità ci
degenererebbe, sprofondandoci. Dobbiamo strapparci dalle carni la compassione
universale, considerare che ne verrebbe, non tutto ciò che vive merita
riguardo, né bisogna perdonare proprio tutti, né considerare uguali tutti gli
uomini, né avere compassione e amore solo per il “debole”. Occorre ammirare e
tutelare anche la superiorità, coltivarla con cura, non farle pagare il pregio
del suo valore. Ma sono parole. Il “debole” non ha di certo gli scrupoli morali
che l'uomo che vale si pone nei
confronti del “debole”. Era questo il significato ultimo di quanto avevo
ascoltato o qualcosa di peggiore: che pochi uomini vogliono immiserire e
mettere contro innumerevoli uomini tra di loro per dominarli e spostare il
bersaglio, quasi che il povero fosse la rovina del povero? Un falso bersaglio?
Il
falso bersaglio
Quando
taluni partiti, italiani ed europei, cercando una loro individuazione su
problemi effettivi, ritengono che la immigrazione clandestina sia il male da
combattere e salvati da essa risaneremmo le nostre società, commettono uno
sbaglio dimostrativo di una politica che vive di momentaneità e inidonea ad una
visione prospettica. Scrivevo nel mio libro: “Europa o morte”, 2002, Dino
Editore, che ci debiliterà l'immigrazione regolare, per una ragione
semplicissima, è di gran lunga la più numerosa e prolifica di conseguenza.
Saranno la demografia, la natalità, a condizionarci. Invece di creare
agitazioni certo suscitatrici di consenso facilitato ma irrisorio sarebbe
opportuna l'indicazione di una politica per le nostre famiglie, per la casa,
per gli asili; ma ciò susciterebbe meno rumore e suggestione elettorale. Se noi
non facciamo figli l'immigrazione sarà irrimediabile, e che sia regolare o
meno, cambierà la nostra composizione. Almeno esserne coscienti. Bisogna
spingersi ad una intensissima politica della natalità nazionale, case, sussidi,
asili nido, costo degli alimenti e degli indumenti. Una scarpetta per un
bambino la si paga quanto una scarpa di media qualità per adulto. Insomma, una
politica totale per le nascite. Di tutti, intendiamoci. Ma soprattutto ed anche
le nostre!
Ma
restiamo ancora alla superficie del fenomeno “immigrazione”. La “grande
povertà” si è mossa e sta inondando il pianeta del benessere. Invece di restare
a morire di fame, guerre e malattie il pianeta dei poveri si inoltra, invade,
fugge, perisce, tenta, osa, noi, callidissimi, riteniamo di avvantaggiarci di
queste esplosioni, e sotto ammanto di accoglienza, diritti umani, fraternità,
uguaglianza cerchiamo di restaurare la schiavitù a casa nostra. Venite, venite,
vi daremo un lavoro fuorilegge, diverrete manovalanza del crimine, sarete
occupati in nero si che non pagherete tasse e non le pagherà chi vi impiega,
usufruirete delle protezioni sanitarie, vi metteremo in prima fila agli asili
nido, vi moltiplicherete mentre noi ci denatalizziamo, eventualmente andrete in
galera a nostre spese, metterete su negozietti dove tutto sarà irregolare ma
consentito, faticherete dall'alba alla notte, cinque, otto in una stanza, quel
che guadagnerete lo spedirete ai parenti miserissimi, risarcirete con il vostro
sangue il costo dei trasportatori, ma in questo pandemonio, verniciato di
moralità, si instaura nel ventre di ogni paese gente dolentissima, oppressa,
irata, avida, pronta a far valere la fatica del viaggio, con uno spirito di
impossessamento, di consumo che soltanto chi mentisce finge di non cogliere. La
predicazione della teoria del “sono brave persone, non tutti sono delinquenti,
vogliono e devono essere trattati come noi, un tempo anche noi siamo stati
immigrati, fanno i lavori che noi non facciamo”, è vaniloquio nei possenti
ingranaggi della Storia. Alla Storia, al di là delle frasi, interessa che verrà
fuori da questo pandemonio, ripeto. Che possa venire un rafforzamento delle
nostre civiltà è miraggio. Che un induista, un mussulmano contribuiscano alla
“nostra” civiltà è un azzardo da non rischiare. Forse ancora non comprendiamo
il senso di rivalsa di questi popoli, di antichissima, antica civiltà, i quali
non vivono che per l'occasione della rivalsa. Supporre che, accresciuti di
numero, non si faranno valere con prepotenza, se riescono, è trattare la Storia
e la vicenda delle masse come le relazioni individuali amichevoli. Se
prolificano e noi ci decurtiamo ad ogni generazione, non governeremo gli
stranieri. Al di là di ogni vaniloquio, spesso ben intenzionato, il “fatto”
demografico è apodittico.
Al
dunque, il capitalismo odierno crede di aver trovato la soluzione alla sua
crisi e al suo mutamento con lavoratori preferibilmente stranieri, meno
esigenti, ricattabili, bisognosissimi, e poiché l'occupazione che non falla è
la generica, a parte la qualificatissima, gli stranieri sono acconci. Il
“sistema” si è inventata la soluzione per la restaurazione o l'accrescimento
del profitto, vero incubo del capitalista, disposto a tutto pur di rimpinzarlo.
Con gli stranieri il risanamento del capitalismo appare ottenibile. Milioni di
persone sottopagate, addirittura a casa del capitalista. Gli Stati Uniti sono
esemplari, a proposito. Con effetti
imprevisti o che non si vogliono vedere: la concorrenzialità tra lavoratori
stranieri e lavoratori nazionali; l'afflizione di entrambi; l'immigrazione
sostitutiva e non soltanto integrativa se gli stranieri generano maggiormente.
I “sistemi” produttivi i quali credono di rendersi competitivi anche con
l'abbassamento dei salari mediante gli stranieri si troveranno una marea di
nuovi nati, e, alla lunga, per la legge dei numeri, se i “sistemi” ritengono di
poterli dominare lo potranno esclusivamente con la violenza. Chi crede che sia
missione democratica accogliere (e sfruttare, senza dirlo), si dovrà
apparecchiare ad essere antidemocratico quando il numero degli stranieri sarà
indigeribile e lo sfruttamento insopportabile, specie in tempo di crisi. Anche
in tal caso gli Stati Uniti sono sintomatici. Niente da aggiungere, se non
questo: un sistema è malato quando si cura in modo da aggravare la malattia.
Ritenere di salvarci con stranieri e limiti generalizzati ai salari, resi
concorrenziali, è impoverire le società, arricchire pochi, suscitare una massa
d'urto che soltanto la violenza riuscirà, se riuscirà, a raffrenare. Gli Stati
Democratici si avviano all'Autoritarismo per continuare la farsa delle
immigrazioni, a illusori scopi umanitari ma di fatto per salari sminuiti. Con
fatica, sacrifici, delinquenzialità, eroismo, prepotenza, rapacità, spirito
aggregativo gli stranieri sopravvivranno, avanzeranno, si moltiplicheranno,
vorranno potere. Ciascuno giudichi a suo garbo se ritiene opportuno e
approvabile tale futuro. C'è da concepire che lo si voglia, tanto è
l'entusiasmo dell'accoglienza. Al capitalismo internazionale interessa il
lavoratore a basso costo non il lavoratore nazionale e la Nazione. È fatale,
dobbiamo ripristinare élite patriottiche, pochi ma scelti difensori della
nostra civiltà e dei nostri interessi, tutti possono venire purché non
spezzino, disperdano, degradino la nostra civiltà e non trasformino i nostri
paesi in mercatini e in un terreno di lotta per la sopravvivenza. C'è il
rischio di una immigrazione al ribasso, abbassatrice, l'afflusso dei paria
universali, e che vogliamo tali! Non illudiamoci, decadremmo anche noi. Che
fare? Figli, nostri. E salvare ad ogni costo le nostre élite. Se vi sono. O
ricostruirle. Senza condiscendenza. La qualità è tutto.
La
situazione prospettica dell'economia
Non
tutto il mondo è un solo paese. Quel che accade in una parte non
necessariamente accade altrove. Tuttavia osserviamo un andamento che fa
immaginare situazioni non favorevoli all'umanità. Nel momento in cui gli
strumenti tecnici crescono la loro efficacia in forme non sospettate dai più
fantasticanti utopisti, abbiamo, all'opposto, la catastrofe per masse di
cittadini. Qualcosa deve correre per il verso sbagliato se viviamo questa
antitesi, che mezzi utili alla produzione, potentissimi, invece di giovare, ci
affliggono. Significa che vengono usati in modo storto. Certamente. Invece di
servire alla generalità sociale servono al profitto di pochi, i quali usano
tali mezzi o per sostituire i lavoratori, licenziarli, o pagarli meno. Si che i
lavoratori non traggono vantaggio, tutt'altro. Tali mezzi tecnici consentono,
anche, un'offerta planetaria di impiego, con lo spostamento delle imprese dove
tassazione e salario scemano, e il profitto avanza. Inoltre, l'abbiamo detto,
si cerca di usare immigrati a minor costo. Nell'insieme, tutto questo, se è un
tentativo di salvare il profitto, distrugge la società. La prospettiva che
molti paesi, emergendo, divengano nuovi mercati verso i quali esportare ha un
aspetto contrastato, tali paesi esportano, sovente in modi più che
concorrenziali, vittoriosamente competitivi. Come uscire dalla crisi? L'abbiamo
visto: con gli immigrati, l'abbassamento del costo del lavoro, la
licenziabilità, il rigore, la tassazione, l'economia in nero o persino
criminale, le speculazioni, la disoccupazione, la sottoccupazione, il legalismo
esasperato o le facilitazioni massime, liquidità a fiumane, inondazione di
denaro, acquisto di buoni del tesoro, revisione della distribuzione, ora l'una
ora l'altra misura; ma non ne usciamo. Il profitto ormai lo si ottiene contro l'occupazione,
con la sottoccupazione, al massimo. Dissolvendo le spese per il sociale,
volgendo ogni millesimo al vantaggio del profitto, bancario, speculativo o
imprenditoriale che sia. Immigrati, rigore, sottoccupazione, licenziabilità, anche
l'economia criminale e la tassazione diseguale ha tale fine: risorgere il
profitto. E la domanda? E il consumo? Se milioni brancolano tra povertà,
miseria, declassamento, vendono i gioiellini e persino le case, falliscono, chi
consuma? Ecco il punto suicida del profitto, per esistere deve uccidere il
consumatore ma se uccide il consumatore suicida il profitto. Si vuol salvare un
sistema produttivo che è in contraddizione con se stesso. Potenti mezzi
produttivi che potrebbero favorire la generalità umana sono coartati al
profitto, si che licenziare e sottoccupare divengono essenziali. Ma licenziare
e sottoccupare comportano minori consumi. Dunque, minore profitto. Sembrerebbe
ragionevole mettersi dalla parte dei consumatori. Non c'è da illudersi. Si
tenterà di avere comunque profitto riducendo ulteriormente salari, tutele,
accrescendo le tassazioni sui ceti medi e popolari. Finché scorrerà una goccia
di sangue verrà azzannata. Oggi fiorisce una nuova invenzione sorta in Giappone
e negli Stati Uniti: invece del rigore stampare moneta illimitatamente. Vuoi
fare un ponte? Eccoti milioni di dollari. Una strada, ecco milioni di dollari.
Ma chi può credere che basti stampare moneta per salvare un sistema economico! È
l'illusionismo di chi suppone che con la ritrovata sovranità monetaria e lo
sconfinato afflusso di moneta si sciolgano lo sviluppo e l'occupazione. Anche
l'Europa pare si stia convertendo a tale illusionismo. Non meno velleitario
dell'illusionismo della equa redistribuzione della ricchezza sociale.
Occorrerebbe
un potere sostenuto dal popolo, per quanto generico sia il termine, è
comprensibile,
che
volga i mezzi di produzione, potentissimi, per il vantaggio del... popolo. Al
di là delle limitazioni del profitto come scopo decisivo, non mi stancherò di
dirlo, e che usa i mezzi di produzione contro l’occupazione, fino ad un limite
estremo, quando il lavoro umano sarà minimo. Ma un sistema con meno occupati è
un sistema con meno consumatori. Si porrà la questione essenziale: a chi e come
dare beni a quanti non lavorano, o li lasceremo perire di fame? In entrambi i
casi un'economia che usa i mezzi tecnici contro il lavoro e quindi disoccupa perché
ritiene che senza lavoratori il profitto è maggiore, porta alla catastrofe.
Sembrano prospettive lontanissime, invece è per le avvisaglie di queste
prospettive che stiamo nella crisi odierna, senza uscita. A meno che non si
cominci a svincolare la produzione dal profitto, ad esempio abbassando l'orario
di lavoro. Impensabile. Continueremo nella costrizione, impiegando in modo perverso
i mezzi di produzione, e ne avremo disoccupazione e sottoccupazione…
Ma,
insisto, quando la disoccupazione e soprattutto la disoccupazione
ingigantiranno, perché anche nei paesi che sembra sormontino la crisi la
sottoccupazione è vistosa, Stati Uniti e Germania, o i sistemi sociali, se
vogliono continuare nella difesa del profitto antisociale diverranno autoritari
o in ultimo dovranno volgersi ad una economia che produce al di fuori del
profitto, usando all'estremo le forze produttive per dare all'insieme sociale.
Insisto, sembrano sogni. E del resto sono fenomeni remoti. Ma si potrebbero già
tentare imprese che autotutelano i disoccupati ed i sottoccupati, interessati,
appunto, ad autotutelarsi: fare impresa per la sopravvivenza, privilegiando
l'occupazione sul profitto contro l'occupazione, e questo anche nei servizi.
Nel frattempo la convulsione dei sistemi sociali per difendere ed imporre la
stortura di un profitto contro l'occupazione diverranno cruente e impositive. è
una alternativa del sistema produttivo che può offrirci scampo non la questua
nei confronti dei “padroni”. Se non c'è alternativa subiremo il tallone di
ferro.
Una
sociologia dello “stare in società”
Se la situazione è quella vagliata, che
condizione ha l'individuo nel suo “stare in società”? Oggi l’individuo vive
gravato da una sorta di delitto che non sa se ha commesso e che però lo
invalida e gli toglie la volontà di vivere. Il contratto sociale vale a dire
che ci troviamo nella società vincolati senza nostra scelta, ma esso va inteso in tal modo: che vi sono dei diritti che fanno capo al
nuovo cittadino, sicché in qualche modo egli indirettamente e nascendo ha dei
diritti e dei doveri, un contratto, insomma, ma
del tutto apparente, questo contratto la società può alterarlo e il
nuovo cittadino, il cittadino che viene alla luce, si trova a dover rispettare
un contratto di cittadinanza che lo vincola alla sua propria rovina. In
concreto, un individuo diventa cittadino non per essere protetto dalla società
ma per essere vincolato ad essa e a chi la domina. Il contratto si capovolge,
da protezione del cittadino diventa un modo per non poter sfuggire alla
dominazione: tu sei cittadino e devi obbedire alla nostra società ossia a chi
la padroneggia, e se chi la padroneggia ha la forza e la volontà di infrangere l’aspetto protettivo
della società e valorizza soltanto o soprattutto l’aspetto dominativo
approfittando della circostanza che tu sei cittadino e non ti puoi sottrarre,
ecco che il vincolo sociale da vincolo di tutela diventa vincolo di
sottomissione, a quel punto il soggetto sociale e il rapporto sociale sono
infranti e, dicevo, capovolti, stiamo in una società per essere oppressi, siamo
alle eclissi del contatto sociale. Ma, a questo grado, il cittadino non ha
obblighi. Anche se la forza potrà costringerlo, è la forza, è la forza
travestita da diritto, alla quale il cittadino può replicare con il diritto
della sua forza.
È da schiavi ritenere che le società abbiano
legalità se al termine legalità è associato il termine, e il “fatto”, della
giustizia. Quando si supera un certo livello di sopportazione, quando la
società non rispetta la sopravvivenza dei cittadini, il cittadino deve
insorgere contro la società che non ne rispetta la sopravvivenza. Se una gran
parte della società non trova opportunità di sopravvivenza nello “stare in
società” essa ha il diritto di trovare soluzione in una società diversa e
quindi deve abbattere la società che non le permette di sopravvivere. Il diritto
alla vita me lo do da me, non me lo dà la società, se me lo vuole togliere è
una società mortale, io reagirò per il mio diritto alla vita contro la società affinché
vi sia una società che mi permetta di vivere. Se in una società non ho
possibilità di lavoro, le esazioni a vario titolo mi opprimono, se la
corruzione rende abbiente il depravato e falcidia l’onesto, se miriadi di
rapporti fuori legge tolgono allo Stato dei contributi ed essi gravano su chi
non si sottrae alle leggi, opporsi è un dovere oltre che una necessità. Non
stiamo nella società per essere oppressi e divorati, non è questo l’accordo
sociale. Se taluni lo vogliono trasformare in una situazione in cui hanno a
disposizione moltissimi individui, i quali, per essere cittadini, sono obbligati
all’obbedienza, a questa obbedienza suicida bisogna contrapporre una renitenza
totale. Non è concepibile che alla prepotenza del fuorilegge ammantato di legge
o meno si contrapponga la protesta succube di chi sta nella legge, lo stare
nella legge si trasforma in asservimento. In questo caso protestare secondo
legge perché chi viola la legge è fuorilegge è un modo per confermare la
propria servitù. è prestarsi al gioco dei malfattori che si coprono di legge.
Spesso. Non bisogna divinizzare la legalità essa può rappresentare la copertura
del delitto, un delitto reso legale non è meno delitto di un delitto contro la
legge. Non è la legge in sè che vale, ma
il contenuto della legge. Il burocrate il funzionario l’impiegato, il
malfattore sotto copertura si fanno scudo della legalità, in vari modi. Bisogna
vedere che legalità attuano.
Bisogna conquistare i propri diritti e non
permettere che una legalità sbagliata, una legalità contro i diritti sia di per
sé da rispettare. La propria affermazione non la si chieda solo in nome della
giustizia, essa non avverrà mai per ragioni morali e soltanto morali, è in nome
della forza e con la forza che si attua la giustizia. Si che la voglia di
affermazione di una parte umana che soffre di essere dominata non può essere
un’invocazione alla parte dominante perché non la domini, chiedere a chi domina
di non dominare è un assurdo. Occorre usare la forza di sottrarsi al dominio.
Il povero, gli sbandati, i derelitti non hanno una condizione che impone ai
predatori di renderli felici e soddisfatti. Sta nella capacità di ribellarsi
dei poveri, dei derelitti, dei sottomessi che i rapporti sociali possono essere
mutati. Ogni rivolgimento esige un progetto alternativo al potere. Non è
appellandosi alla generosità dei padroni che gli schiavi vengono liberati. La
pura e semplice sollevazione dei miseri non significa che essi poi stabiliscono
una civiltà superiore, né basta essere miseri per essere superiori e per
meritare di condurre la società. Gli schiavi diventati padroni possono essere
peggiori dei padroni rimasti padroni. la
morale non ha mai sovvertito la società se non si incarna in istituzioni che
riescono a farla funzionare.
La società mortale
Al dunque: se i cosiddetti poveri non sono
capaci di organizzare la forza produttiva resteranno sempre soggiogati, non
basta essere poveri per avere il diritto a vincere, nella società vince chi
realizza una proposta efficiente, oltre la proclamazione della giustizia e del
bene. All’interno della società la lotta può avvenire pacificamente o meno
tuttavia c'è sempre lotta. Al punto in cui siamo, lo accennavo, dobbiamo
riconsiderare lo “stare in società”. Imposte, immigrazione, economia criminale,
il timore di una crisi radicale, predoni, speculatori stanno mettendo a prova
la stessa idea dello stare in società, insisto. Ecco perché dobbiamo punto per
punto riesaminare la sudditanza e il dominio, vagliare l’attualità del
cosiddetto contratto sociale, stabilire una sociologia della società, insomma,
della ragione di stare nella società. E se non sia il caso di forgiare una
società nella società, autoprotettiva nelle imprese che sormontino il profitto
antisociale, e nei servizi, che scemeranno sempre più. Imprese che facciano
ogni sforzo da parte dei lavoratori imprenditori per autoccuparsi, per darsi
occupazione, e così nei servizi.
Una società nella società contro la
società mortale. E bisogna affrettarsi.
Antonio
Saccà
Sociologo
Nota. A proposito di un sistema produttivo
scrive di recente l'economista Pierangelo Dacrema: “Marx & Keynes. Un
romanzo economico”. Jaca Book
Addirittura
taluni studiosi oltre l'uso dei robot, l'automazione, di varie tecnologie
sostitutive del lavoro umano, ipotizzano che l'intelligenza artificiale
potrebbe superare l'uomo, governandolo! Per dire come la disoccupazione di
massa è alle porte.
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