13 dicembre 2023

I Balcani occidentali: Fra prospettive di integrazione europea e rischi di nuovi conflitti

UPF Italia PEACE FORUM

Antonio Stango è un analista politico ed esperto in particolare nell’ambito dei diritti umani, ma è anche scrittore e editore. Si occupa dei diritti umani da oltre 40 anni a livello internazionale, e nel 1987 ha fondato, insieme a Paolo Ungari, il Comitato Helsinki per i diritti umani. Inoltre, è fondatore e presidente della FIDU (Federazione Italiana Diritti Umani). È ambasciatore di pace per UPF. Il tema dei Balcani è di particolare interesse perché è una delle aree in cui sia UPF International che UPF Europa hanno investito maggiormente.

di Antonio Stango (26 giugno 2023)

Nel 1987 mi occupavo già di diritti umani da almeno 6 anni. Ero uno studente di scienze politiche e fondai un comitato chiamato “Comitato per la difesa dei diritti umani nei Paesi dell’Est”. In seguito, poiché il Comitato stava ottenendo risultati positivi e guadagnando una certa reputazione anche fuori dall’Italia, mi fu chiesto di creare un “Comitato Helsinki” Italiano, denominato dalla Conferenza di Helsinki sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa del 1973-1975 e basato su quello fondato nel 1976 a Mosca da Yuri Orlov e altri dissidenti, che poi mi hanno onorato della loro amicizia. Successivamente, insieme ad altri membri, abbiamo trasformato il Comitato Italiano Helsinki in Federazione Italiana per i Diritti Umani (FIDU). 

Come hai detto, il tema è di grande attualità e credo susciti molto interesse non solo in Europa, ma probabilmente a livello globale. Quando parliamo dei Balcani in generale, intendiamo l’intera penisola e alcuni Paesi adiacenti. Una definizione storica più ampia dei Balcani include anche la Bulgaria. Tuttavia, quando ci riferiamo ai Balcani occidentali, intendiamo l’ex Jugoslavia e l’Albania. La parte che ci interessa di più comprende i Paesi emersi dalla dissoluzione dell’ex Jugoslavia - escludendo due di loro (Slovenia e Croazia) che sono diventati membri dell’Unione Europea. La Serbia e il Kosovo rappresentano la parte più problematica, in quanto il Kosovo (con una popolazione di etnia albanese predominante) è un’ex regione autonoma della Serbia ed è stato riconosciuto come Stato da più di cento membri delle Nazioni Unite, tra cui quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea, ma non fa parte delle Nazioni Unite e non è riconosciuto dalla Serbia, che lo considera ancora una propria provincia. Poi c’è la Bosnia-Erzegovina, che ha una situazione istituzionale e costituzionale complessa; c’è la Macedonia del Nord, che per molti anni ha avuto difficoltà anche a far riconoscere il proprio nome; il Montenegro, che manca da molto tempo di un governo stabile; e l’Albania. L’Albania non faceva parte dell’ex Jugoslavia e ha una storia un po’ diversa. Tuttavia, tutti questi Paesi sono interconnessi, spesso in modo molto complicato, e talvolta le tensioni, in particolare tra Serbia e Kosovo, minacciano di degenerare non solo in una crisi ma anche in un conflitto armato. Dobbiamo menzionare anche le persistenti tensioni in Bosnia-Erzegovina. Dopo i tragici sviluppi del conflitto degli anni Novanta, con atti di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra certificati da tribunali internazionali, la Bosnia-Erzegovina è stata in qualche modo pacificata con un accordo facilitato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e una Costituzione particolare, in cui lo Stato si chiama “Bosnia e Erzegovina”, ma è composto da due entità quasi statali. Queste due entità sono la Republika Srpska, che ha un nome ufficiale in lingua serba e la cui popolazione è per circa l’80 per cento di etnia serba, e la Federazione di Bosnia ed Erzegovina, che – a parte gruppi etnici minori – comprende una popolazione maggioritaria bosgnacca e una minoritaria di etnia croata. Parlano sostanzialmente la stessa lingua (che durante l’esistenza della Jugoslavia era chiamata serbo-croato), ma i bosgnacchi praticano principalmente la religione islamica. Questa immagine ci dà già l’idea di una situazione estremamente complessa e delicata. Il quadro costituzionale è soggetto al controllo della comunità internazionale attraverso un Alto Rappresentante istituito dagli Accordi di Dayton del 1995, che ha il ruolo di essere garante degli Accordi e possibilmente di prevenire ulteriori conflitti armati nella regione, avendo poteri come l’annullamento di leggi o nomine e l’imposizione di riforme costituzionali. Questi poteri molto ampi sono talvolta messi in discussione da alcune componenti dell’assetto istituzionale del Paese, soprattutto dalla Republika Srpska. Pro- prio in questi giorni stavo analizzando il fatto che la Republika Srpska ha varato una legge che afferma di non ricono- scere i provvedimenti dell’Alto Rappre- sentante internazionale. Tralascio alcuni dettagli relativi al funzionamento delle diverse assemblee parlamentari dello Stato, delle due entità e dei dieci cantoni della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, che hanno ciascuno il proprio primo ministro. 

Aggiungo, dato che ho parlato di questioni istituzionali e di diritto costituzionale, che c’è anche una questione politica molto importante. I rappresentanti della Republika Srpska tendono ad avere rapporti molto stretti non solo con Belgrado, il che è già un problema perché la Serbia considera la possibilità che la popolazione di etnia serba della Republika Srpska possa unirsi alla Serbia; ma hanno un rapporto molto stretto con Mosca; tanto che l’attuale presidente di questa entità visita frequentemen- te la Russia, incontra frequentemente il signor Putin ed è pronto a sostenere, ad esempio, le azioni di Putin riguardo all’invasione dell’Ucraina. È chiaro che tutto questo è un problema per la sta- bilità dell’intera regione, per l’Unione Europea e per la pace e la sicurezza internazionale. 

Questi Paesi sono legati da accordi di associazione o partenariato con l’Unio- ne Europea, ma per progredire in questi rapporti e diventare membri effettivi dell’Unione devono dimostrare di rispettare determinati parametri come lo stato di diritto, la tutela delle minoranze, l’indipendenza del sistema giudiziario, la democrazia e la lotta alla corruzione. Questi sono tutti obiettivi stabiliti dalla Commissione Europea. Inoltre, devono adeguarsi alla Politica Estera e di Sicu- rezza Comune (PESC) dell’Unione: ad esempio, se l’Unione Europea impo- ne sanzioni alla Russia per l’invasione massiccia dell’Ucraina, tutti gli Stati che aspirano a entrare nell’Unione Europea dovrebbero conformarsi. Prendiamo ad esempio la Serbia: questo Stato rifiu- ta di aderire alle sanzioni e adotta solo misure di portata marginale rispetto alle ampie sanzioni europee. La stessa cosa accade con la Republika Srpska, che boicotta e blocca misure che potrebbe- ro essere prese dalla Bosnia-Erzegovina nel suo insieme. 

A questo punto vorrei parlare dell’altra grande questione che ho citato, che è il Kosovo. Come ho detto, il Kosovo ha proclamato la sua indipendenza diversi anni fa (nel 2008). L’Italia, come quasi tutti gli Stati dell’Unione Europea, ha riconosciuto questa indipendenza e ha normali rapporti diplomatici con il Kosovo; tuttavia, la Serbia, nella propria Costituzione, considera il Kosovo come facente parte di una propria “provincia di Kosovo e Metohija”. Si tratta quindi di una situazione paradossale: il Kosovo e la Serbia hanno relazioni con l’Unione Europea e molti altri Stati, compresi gli Stati Uniti, ma ufficialmente non si riconoscono. Tuttavia, entrambi hanno bisogno di normalizzare le loro relazioni. Da diversi mesi esiste un piano proposto da Francia e Germania e fatto proprio dall’Unione Europea, che punta proprio ad una normalizzazione dei rapporti tra Serbia e Kosovo. L’obiettivo è ottenere una sorta di quasi riconoscimento, anche se non necessariamente un riconoscimento formale da parte della Serbia, che non è ancora pronta per questo. Il piano, sul quale si sono già incontrati più volte il presidente della Repubblica di Serbia, Aleksandar Vučić, e il primo ministro del Kosovo, Albin Kurti, prevede una serie di misure. Ad esempio, la Serbia non dovrebbe bloccare l’ingresso del Kosovo in organizzazioni internazionali. Il piano non specifica quali organizzazioni internazionali, quindi la Serbia ha escluso categoricamente che ciò significhi che il Kosovo possa entrare nelle Nazioni Unite, e del resto tale ingresso potrebbe essere bloccato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU. La Federazione Russa, infatti, molto vicina al governo di Belgrado, ha già deciso di usare in questo senso il proprio potere di veto in seno al Consiglio di Sicurezza, con il sostegno anche della Repubblica Popolare Cinese. Tuttavia, il Kosovo ha presentato domanda per aderire ad altre organizzazioni internazionali, come l’UNESCO, l’INTERPOL o il Consiglio d’Europa. Per quanto riguarda il Consiglio d’Europa, la questione è all’ordi- ne del giorno e sembra che ci siano già abbastanza voti tra gli Stati membri per superare il deciso “no” della Serbia. La situazione è quindi delicata e diplomaticamente complessa - e si registrano anche tensioni che più volte, nell’ultimo anno, hanno portato a gravi scontri. Ad esempio, nel 2022 c’è stata la cosiddetta “crisi delle targhe”, che ha rischiato più volte di sfociare in un conflitto armato. Prima che il Kosovo dichiarasse la sua indipendenza, le targhe dei veicoli dei residenti del Kosovo erano targhe serbe. Tuttavia, il Kosovo ha iniziato a introdurre targhe della Repubblica del Kosovo, che la Serbia non riconosce. Così la Serbia, almeno fino a poche settimane fa, obbligava gli automobilisti con targa kosovara che si recavano in territorio serbo a utilizzare targhe temporanee, e lo stesso faceva il Kosovo con gli automobilisti con targa serba che entravano in territorio kosovaro. Il problema si è aggravato quando il Kosovo ha ripetutamente tentato di costringere i cittadini di etnia serba del Kosovo, che erano molto attaccati alle loro targhe della Serbia, ad adottare le targhe del Kosovo. Ciò ha scatenato scontri fisici e proteste, e in un paio di occasioni il presidente serbo Vučić ha minacciato di ricorrere alla forza armata se le forze internazionali presenti, in particolare la KFOR o Kosovo Force a guida NATO, non fossero riuscite a tenere sotto controllo la situazione. 

Un altro caso si è verificato in aprile, quando si sono svolte le elezioni amministrative anticipate in sei Comuni del nord del Kosovo dove la popolazione è prevalentemente di etnia serba – in quattro Comuni per i sindaci, in due per i consigli municipali. Poiché i cittadini di etnia serba hanno boicottato le elezioni, sono stati eletti sindaci anche con poche decine di voti, con una partecipazione elettorale di poco più del 3%. Questo è stato considerato illegittimo dalla Serbia e ha scatenato grandi proteste di massa da parte dei cittadini di etnia serba del Kosovo. Il 29 maggio, il Kosovo ha inviato reparti speciali di polizia per imporre l’ingresso dei nuovi sindaci negli edifici comunali, e si sono verificati scontri fisici con molti feriti. Manifestanti di etnia serba hanno colpito con bastoni i militari di interposizione della KFOR, rischiando di scatenare uno scontro armato molto grave. La situazione si è poi calmata nel giro di qualche giorno, ma la tensione è rimasta alta. Un altro punto che potrebbe facilitare la cosiddetta normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina è la creazione di un’associazione o comunità con forte autonomia per dieci Comuni del nord del Kosovo con maggioranza - anche relativa - della popolazione di etnia serba. Albin Kurti, primo ministro del Kosovo, aveva accennato in passato a consentire a questa istituzione; ma poi nella politica kosovara si è temuto che questo potesse preludere al separatismo in quella parte della provincia, con un possibile riavvicinamento alla Serbia, che sarebbe contrario all’assetto costituzionale del Kosovo. Quindi, come si può immaginare, la situazione è estremamente delicata anche da questo punto di vista. Gli altri Paesi dei Balcani occidentali hanno assetti istituzionali e relazioni internazionali meno problematici. Tuttavia, a vari livelli, devono migliorare il proprio sistema di stato di diritto, come giustamente sollecitato dall’Unione Europea. Ciò include l’indipendenza della magistratura, la trasparenza dei meccanismi elettorali, un’efficace lotta alla corruzione e, in generale, l’armonizzazione delle leggi e delle pratiche politiche con l’Unione Europea, anche nelle relazioni internazionali. 

Le situazioni più delicate e potenzialmente conflittuali sono proprio quelle a cui ho dedicato alcuni minuti in questa relazione, ovvero la crisi, direi quasi costante, tra Serbia e Kosovo e il complicatissimo assetto della Bosnia-Erzegovina, in particolare le sfide da parte della Republika Srpska al sistema costituzionale e all’unità dello Stato, sebbene sotto una sorta di protettorato internazionale. 

In conclusione, nel dibattito finale con gli ascoltatori sono emersi diversi argomenti riguardanti i Balcani occidentali e la loro relazione con l’Unione Europea. Si evidenzia la complessità della situazione politica e culturale della regione, concentrandosi sulla dissoluzione dell’ex Jugoslavia e sulle tensioni tra Serbia e Kosovo. Si menziona anche la Bosnia-Erzegovina, con la sua struttura istituzionale complessa e la presen- za dell’entità della Republika Srpska e dell’entità federale. L’ingresso nell’Unione Europea da parte dei Paesi balcanici viene considerato un obiettivo, ma si ricorda che ci sono diversi parametri da soddisfare, come lo stato di diritto e l’adesione alla Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’Unione Europea. Si evidenzia che ogni Paese si trova a un diverso stadio di adempimento di tali parametri e che ci sono ostacoli specifici per alcuni Paesi, come la questione del riconoscimento del Kosovo. Si conclude affermando che è improbabile che tutti i Paesi dei Balcani entrino nell’Unione Europea contemporaneamente, ma che si dovrebbe lavorare per il progresso individuale di ciascun Paese verso l’adesione.

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