11 settembre 2021

AFGHANISTAN. UN PAESE ANCORA NEL CAOS

Emilio Asti

Ancora una volta l’Afghanistan, che più di ogni altro Paese ha conosciuto lotte ed invasioni nel corso della sua travagliata storia, tuttora afflitto da una miseria profonda, pare non conoscere pace. Le attuali vicende afghane, ancora al centro dell’attenzione mediatica, al di là di qualsiasi giudizio che si possa formulare, ci costringono ad una riflessione profonda, tenendo anche presente che dietro le notizie, spesso imprecise, si celano complesse vicende umane e storie dolorose, a volte difficili da capire.

La rapida vittoria dei Talebani, movimento fondamentalista islamico, molti aspetti del quale rimangono tuttora poco conosciuti, che ha conquistato rapidamente il potere senza sparare un colpo, non è stata infatti opposta resistenza alla loro avanzata, ha sorpreso tutti, anche se già da tempo i Talebani avevano il controllo di varie aree del Paese, e diversi analisti avevano previsto il loro ritorno al potere. La bandiera dei Talebani, che hanno promesso una transazione pacifica, sventola ora sul palazzo presidenziale di Kabul, mentre le notizie si susseguono da una parte all’altra del mondo, anche se l’allarmismo, spesso ad uso mediatico appare eccessivo, destinato poi a scivolare nell’oblio, anche se si continuerà a parlare dell’Afghanistan ancora per molto.

I Talebani, che aspirano ad ottenere il riconoscimento internazionale, hanno promesso un’amnistia generale, impegnandosi per un Afghanistan libero dal terrorismo e dal traffico di droga. Nonostante le promesse dei Talebani di voler rispettare i diritti umani, molti, nel timore di ritorsioni e vendette, hanno cercato in tutti i modi di fuggire dal Paese e a tal fine vennero istituiti, pur con grandi difficoltà e pericoli, ponti aerei per mettere in sicurezza gli afghani che avevano collaborato con le forze straniere e le ONG; in questo modo migliaia di persone tra afghani ed occidentali, sono state evacuate dal Paese. Tuttora molti attendono un’occasione per rifugiarsi all’estero ed iniziare una nuova vita, molti anche gli sfollati interni, privi di ogni aiuto. Ciò che è avvenuto ora in Afghanistan ricorda, per diversi aspetti, quanto successo in Vietnam nel 1975, con la conquista del Vietnam del Sud da parte dei Vietcong.

Il mullah Abdul Ghani Baradar, nominato vicepremier, uno dei fondatori del movimento talebano, che aveva ricoperto incarichi importanti all’epoca del Mullah Omar, il cui figlio Mullah Yakoob è ora ministro della Difesa, aveva affermato: “Questa è l’ora della prova. Noi forniremo i servizi alla nostra nazione, daremo serenità alla nazione intera e faremo del nostro meglio per migliorare la vita delle persone”. La dirigenza talebana si è espressa chiaramente a riguardo della forma di governo, dichiarando che il Paese sarà retto dalla Sharya, dichiarando di voler tener fede ai valori della tradizione contro le influenze occidentali, garantendo i diritti di tutti, nell’ambito però della legge islamica, secondo loro unica strada per la pace, in nome della quale non appaiono disposti a tollerare alcune espressioni artistiche, come la musica, e certi svaghi, considerati nocivi alla vita spirituale dei credenti.

Sono iniziate aperture di credito nei confronti del governo talebano, dal quale però si esige il rispetto dei diritti umani, in particolare nei confronti delle donne, nel timore che a loro venga impedito studiare e lavorare. La Cina appare pronta ad intraprendere rapporti amichevoli col nuovo governo afghano. La portavoce del ministero degli Esteri cinese ha infatti dichiarato: “La Cina rispetta il diritto del popolo afghano di determinare in modo indipendente il proprio destino e futuro, ed è disposta a sviluppare relazioni amichevoli e di cooperazione”. È importante non dimenticare che la Cina è molto interessata alle risorse naturali dell’Afghanistan ed aspira a garantirsi il controllo dell’Afghanistan attraverso i Talebani. Il governo russo ha fatto sapere che prenderà una decisione sul riconoscimento del regime talebano a seconda di quanto responsabilmente governerà il Paese.

Come già avvenuto in passato, il Pakistan, che è stato la culla dei Talebani e condivide una lunga frontiera con l’Afghanistan e ha continuato ad ospitare tanti profughi afghani, fornisce appoggio ai Talebani, nonostante diverse questioni non risolte. Un ruolo rilevante può svolgerlo anche l’Iran, sia a motivo della sua posizione di Paese confinante con l’Afghanistan ed anche in base alla sua storia come Stato Islamico di tipo fondamentalista, ma sussiste il notevole problema che l’Iran è a grande maggioranza Sciita, mentre i Talebani sono Sunniti, le due principali correnti dell’Islam da lungo tempo divise da forti contrasti. In questa realtà travagliata e complessa qual è l’Afghanistan le cose non sono mai chiare e il più delle volte si rivelano imprevedibili, le alleanze sono mutevoli e spesso non destinate a durare a lungo; una volta fortemente antirussi, i Talebani paiono ora godere dell’appoggio della Russia, contro la quale avevano combattuto, ma fino a quando?

Il timore principale è che l’Afghanistan possa divenire una base logistica per i fondamentalisti, considerando il fatto che i Talebani mantengono parecchi vincoli di cooperazione con vari movimenti islamisti, i quali lottano in varie parti del mondo per instaurare un governo islamico.

L’autorità dei Talebani non si è ancora completamente consolidata, alcune testimonianze raccontano di scontri con morti e feriti in varie zone. Anche se la dirigenza talebana ha annunciato la vittoria contro i ribelli della valle del Panshir, situata a nord-est di Kabul, guidati dal figlio del comandante Massud, assassinato nel 2001, le notizie a riguardo sono contrastanti. In varie parti del Paese continuano a svolgersi, anche se duramente represse, diverse manifestazioni di protesta contro i nuovi governanti del Paese, anche da parte delle donne, le quali ora temono di venire sottoposte a parecchie restrizioni nella loro vita quotidiana, e a pesanti discriminazioni. Da più parti si teme il rischio di una disintegrazione del Paese, che potrebbe trasformarsi in una polveriera, pronta ad esplodere con conseguenze imprevedibili. Il governo talebano, al cui interno sussistono divergenze di opinione ed incertezze sui provvedimenti da adottare, si trova ora costretto a gestire molte crisi interne, in primo luogo deve lottare contro le formazioni armate islamiste che fanno capo all’ISIS, autore dei recenti attentati all’aeroporto di Kabul, che hanno causato molte vittime. Occorre non dimenticare che l’ISIS, che può contare su un’ingente presenza di suoi miliziani a Kabul, e minaccia di compiere nuovi attentati in Afghanistan, manifesta una forte avversione verso i Talebani, accusandoli di essere strumenti dell’imperialismo occidentale.

Dopo l’attacco occidentale all’Afghanistan dell’Ottobre 2020 molti talebani si erano mimetizzati, aspettando il momento propizio per uscire allo scoperto, riuscendo a trovare poi sostegno tra parecchi afghani che forse vedevano in loro la soluzione a molti problemi, diversi dei quali causati dall’intervento occidentale. La propaganda talebana sosteneva che il governo afghano era considerato illegittimo e fondato solo sulla presenza straniera, invitando la popolazione a combattere le truppe straniere presenti nel Paese, affermando di lottare per liberare il Paese dalle interferenze esterne finalizzate a seminare discordie per poi imporre il loro dominio.

La presenza di migliaia di militari e cooperanti stranieri, sotto diversi aspetti, si è rivelata controproducente, diversi progetti di sviluppo ed investimenti hanno in parte contribuito ad aggravare gli squilibri e agli occhi di molti afghani la presenza occidentale è divenuta sinonimo di occupazione. Quasi ogni giorno si registravano scontri e vittime, sia tra la popolazione che tra i militari stranieri, molti soldati occidentali, tra cui diversi italiani, rimasero uccisi o feriti.

La pretesa di esportare la democrazia in un Paese come l’Afghanistan, caratterizzato da una società tuttora legata a logiche tribali, si è rivelata un grande fallimento. Sono stati avviati vari progetti di ricostruzione del Paese, che, nonostante la buona volontà di varie organizzazioni umanitarie, si rivelarono inadatti per l’Afghanistan, di cui non hanno saputo cogliere le reali esigenze. La democrazia di tipo occidentale non era infatti confacente alle condizioni sociali del Paese, profondamente permeato di modelli culturali arcaici radicati nell’Islam, radicalmente diversi da quelli occidentali.

20 anni di presenza occidentale hanno lasciato grossi problemi irrisolti oltre ad innescare processi disgregatori in un Paese che aveva sofferto profondi traumi e lacerazioni. Le elezioni sono sempre state contestate e i vari governi eletti, appoggiati poi dalle truppe della NATO, non sono stati in grado di assicurare stabilità al Paese. Il governo del presidente Ashraf Ghani, che all’arrivo dei Talebani lasciò il Paese per evitare il rischio di una guerra civile, era debole e, al pari dei precedenti, molto corrotto, aveva perso credibilità e non è stato capace o, come diversi analisti sostengono, non ha voluto esercitare un’azione efficace per contrastare i produttori di oppio e i trafficanti di droga e di armi, che hanno potuto continuare indisturbati la loro attività, arricchendosi enormemente, con l’evidente complicità di vari funzionari governativi. In 20 anni le forze occidentali non sono riuscite ad addestrare un esercito, le stime del Pentagono, ancora una volta si sono rivelate sbagliate; l’esercito afghano, addestrato dalle truppe occidentali, ma fiaccato dalle continue diserzioni, all’arrivo dei Talebani si è liquefatto. La complessa vicenda afghana, che presenta ancora molti punti oscuri, pone tanti interrogativi che fanno discutere. Alcuni analisti ipotizzano che dietro il ritorno dei Talebani al potere possa esserci un accordo segreto atto a garantire notevoli vantaggi ad alcuni Stati, tra i quali si sarebbe verificata una coincidenza di interessi. Gli USA infatti avevano intavolato colloqui con i leader talebani a Doha, capitale del Qatar, dove i Talebani avevano una loro rappresentanza. Era stato stipulato un accordo tra i dirigenti talebani e l’amministrazione americana, col tacito assenso di Cina e Russia, che ora sperano di trarre profitto da ciò. Zalmay Khalizad, inviato americano avrebbe sottoscritto un’intesa in base alla quale era previsto il ritiro delle truppe statunitensi in cambio dell’impegno da parte dei Talebani a non attaccare obbiettivi americani. Comunque, la vicenda non è chiara e al riguardo circolano voci contrastanti.

I Talebani, che si sforzano ora di offrire un’immagine conciliante, e con i quali i governi saranno poi costretti ad intavolare trattative, sono attesi alla prova dei fatti. Si spera che le loro scelte future non siano simili a quelle del Mullah Omar, quando il Paese era totalmente dominato dalla legge coranica, interpretata rigidamente, ed era divenuto un rifugio sicuro per Bin Laden e i suoi miliziani, in quanto ora deve fare i conti con una società molto cambiata e, probabilmente, non più disposta ad accettare passivamente qualsiasi decisione presa in nome della religione. I Talebani faranno fatica ad imporre le loro norme in un Paese che si è modernizzato e dove si sono diffuse nuove abitudini moderne. Il nuovo governo dovrà dare prova di un impegno sincero e costante di fronte ai gravi ed urgenti problemi che affliggono il Paese, che rischia una catastrofe umanitaria, aggravata dalla pandemia di Covid, in quanto le scorte di cibo stanno finendo e le riserve del governo afghano sono state congelate e si prevedono sanzioni internazionali contro il governo talebano, che però colpirebbero tutta la popolazione, aggravandone la già precaria situazione. L’Afghanistan è ormai uno Stato in bancarotta, ma la disponibilità degli aiuti umanitari verrà probabilmente condizionata al rispetto dei diritti umani da parte del governo. Il segretario generale dell’ONU, Antonio Gutierres in un’intervista si è espresso così: “Il nostro dovere è quello di estendere la nostra solidarietà a un popolo che soffre enormemente, dove milioni e milioni di persone rischiano di morire di fame. Bisogna mantenere un dialogo con i Talebani, in cui noi riaffermiamo i nostri principi in maniera diretta”. È altamente auspicabile che la dirigenza talebana, che, secondo quanto affermato, intende riportare il popolo afghano sulla retta via dopo averlo liberato dall’occupazione straniera, da loro ritenuta deleteria, non rimanga legata a modelli ormai superati che hanno causato grossi problemi, con l’auspicio che possa compiere scelte responsabili per il bene del Paese e nel loro stesso interesse, sappiano dare soluzioni adeguate ai gravi problemi, garantendo il benessere spirituale e il progresso materiale. La storia ha più volte dimostrato che la pace può essere realizzata solo sulla base di un sincero impegno ad aprire spazi di dialogo, promuovendo uno sviluppo equilibrato, che coinvolga tutti gli strati della società, in un contesto di reciproca fiducia e di continui sforzi volti a superare le barriere.

È difficile ora dire come si evolverà la situazione in Afghanistan, la cui stabilità è determinante per l’equilibrio di tutta la regione, già di per sé teatro di vari conflitti. Il fatto certo è che in quel Paese, che riserva spesso sorprese e di cui appare difficile valutare le dinamiche politiche in modo corretto, si sta giocando una partita decisiva per il futuro di tutta l’Asia e dell’Occidente nel suo complesso.

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