Una donna dal volto gentile, piccola, minuta e all’apparenza fragilissima, ma dallo sguardo fermo e deciso. Una donna di 70 anni che ha trascorso gran parte della vita agli arresti e che oggi, a 67 anni dall’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti umani, incarna la speranza che quei diritti possano davvero farsi largo nel mondo, e senza violenza. Il volto di Aung San Suu Kyi, accanto a quello sorridente di Giuseppe Malpeli, compianto presidente dell’associazione di Amicizia Italia – Birmania mancato lo scorso 29 ottobre, risplende sul manifesto della serata che si è svolta lo scorso giovedì 10 dicembre, all’Urban Center del Binario 7 di Monza. Organizzato dall’UPF Monza in occasione dell’anniversario dell’entrata in vigore del documento che mette nero su bianco i diritti dell’umanità, l’appuntamento aveva per titolo una domanda, ‘Quali diritti umani?’
Il suo spirito di sacrificio è simbolo di quei doveri senza cui non ci sarebbero diritti, sanciti dall’articolo 29 della Dichiarazione ricordato in apertura dall’assessore Francesca Dall’Aquila.
La sua vittoria alle elezioni è simbolo di quella forza del diritto che garantisce la pace, a dispetto del diritto della forza, a cui si richiamano le parole del filosofo Norberto Bobbio, citato da Ettore Fiorina nel suo discorso.
La sua fiducia nella possibilità di cambiare le persone e quindi la storia è il simbolo di quel riconoscimento dell’uomo come essere spirituale individuato da Carlo Chierico come punto fondamentale perché i diritti umani possano essere affermati. E anche di quel lavoro continuo per il dialogo rivendicato dalla giovane Wesam El Husseiny che viene costruito un mattone dopo l’altro con fatica e pazienza, che eventi come quelli di Parigi rischiano di far crollare tutto insieme all’improvviso e che nonostante tutto deve essere portato avanti, per il futuro e le generazioni che verranno.
La vicenda di Aung San Suu Kiy è il simbolo della necessità di diffondere e divulgare i trenta articoli della Dichiarazione del 1948 enunciata e sostenuta da Fiorella Cerchiara, presidente dell’Associazione per i Diritti Umani e la Tolleranza Onlus impegnata in questo senso in iniziative e progetti educativi, anche e soprattutto nelle scuole.
Ma la figura della leader birmana richiama tante altre figure di uomini e donne impegnate tutti i giorni e su più livelli a lavorare per la costruzione di qualcosa, come Nawal, la protagonista del libro-biografia scritto dal giornalista Daniele Biella, che ha voluto raccontare la storia di questa ‘angelo dei profughi’ per contribuire ad accendere un’altra ‘luce di speranza nel mondo’.
Un impegno a cui si è richiamato, in conclusione anche Fabrizio Annaro, direttore de Il Dialogo di Monza, che ha sottolineato come l’esempio di Aung San dimostri che il cambiamento è possibile, e soprattutto che il bene va raccontato, anche e soprattutto dai media, perché il mondo e la storia possono volgersi al bene. Aung San Suu Kyi ci indica, insomma, una direzione. Perché quei 30 diritti definiti ‘umani’ al termine dell’ultima grande guerra mondiale abbiano davvero una chance di diventare realtà, tutto in fondo dipende proprio dall’uomo. Cioè da ciascuno di noi. Tutti, in fondo, possiamo accendere la speranza. E oggi più che mai siamo chiamati a farlo.
Ripreso da "l Dialogo di Monza" di Francesca Radaelli . Articolo originale
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