di Giuseppe Calì
La scorsa campagna elettorale ed ancora di più l'esito delle elezioni di marzo, al di là dei toni caldi, per usare un eufemismo, hanno fatto emergere con chiarezza la drammaticità del momento storico in cui viviamo. Si potrebbero scrivere pagine e pagine, soltanto per elencare le emergenze in atto, ma vorrei focalizzare l'attenzione sul tema che più riguarda gli assetti politici del futuro: la questione europea. Inizio da un breve riepilogo, pensando che a volte serve ricordare gli aspetti basilari per inquadrare un problema.
La dichiarazione Shuman del 1950 può essere considerata l'inizio della costruzione dell'Europa. Rilasciata dall'allora ministro degli Esteri francese Robert Schuman il 9 maggio 1950, proponeva la creazione di una Comunità europea del carbone e dell'acciaio, i cui membri avrebbero messo in comune le rispettive produzioni. La CECA (paesi fondatori: Francia, Germania occidentale, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo) è stata la prima di una serie di istituzioni europee sovranazionali che avrebbero condotto a quella che si chiama oggi "Unione europea". I fondatori furono: Adenauer, Schuman, Monnet e De Gasperi, Churchill. Gli interessi nazionali convergevano verso una visione di insieme allo scopo della pace. Poi questa visione è andata scemando fino a perdersi.
Nella visione iniziale non c'era il parlamento europeo e da 6 si è passati a 28 paesi, includendo, attualmente, circa 508 milioni di abitanti. La partecipazione dei cittadini è declinata, invece, dal 65% al 43%. Nel 1992 e 1993, con il trattato di Mastricht, vengono fissati i criteri per l'adesione all’EU:
Nella visione iniziale non c'era il parlamento europeo e da 6 si è passati a 28 paesi, includendo, attualmente, circa 508 milioni di abitanti. La partecipazione dei cittadini è declinata, invece, dal 65% al 43%. Nel 1992 e 1993, con il trattato di Mastricht, vengono fissati i criteri per l'adesione all’EU:
1. Democrazia e stato di diritto
2. Economia di mercato funzionante
3. Capacità di attuare le norme europee
Non c'è dubbio, che guardando alla sua storia, l'Unione Europea, pur nella differenza delle sue concezioni, federalista di Spinelli, funzionale di Monnet ed intergovernativa (quella che ha preso il sopravvento), non manca di un grande respiro ideale. Possiamo affermare quindi, in questo senso, che l'Unione Europea, è patrimonio dell'umanità e frutto di secoli di errori, guerre, riflessioni, filosofie, rinascimenti, risorgimenti e cultura fondamentalmente cristiana.
Ho partecipato recentemente ad un convegno organizzato a Roma da EURISPES, sul futuro dell'Europa. La partecipazione è stata ampia e di qualità, con rappresentanti della cultura, della politica, accademici ed esperti, tra europeisti convinti e meno convinti, ma comunque tutti alla ricerca di nuovi modi di concepire e gestire una nuova Europa. Elenco qui di seguito le varie posizioni, senza menzionare le fonti, perché sarebbe complicato, naturalmente basandomi sui miei molti appunti.
• Siamo Europeisti ma critici, specie sull'allargamento dell'Europa. Le politiche economiche hanno creato disamoramento, impoverito i cittadini e messo in difficoltà i governi. Molti sono gli errori da riparare. L'Europa deve diventare dei cittadini e per i cittadini, non delle banche. L'Euro deve essere il fine ultimo e non lo strumento principale. Europa deve essere concepita come un luogo di mediazione e non come il mezzo per imporre politiche dall'alto.
• Tutto molto complicato: crisi finanziaria, migratoria, terrorismo, non gestite bene, secondo un progetto insufficiente. Le istituzioni non hanno funzionato. Carenza di leadership, visione a spizzichi e bocconi e a breve termine. Nel 1992 è iniziata una strada senza costituzione, senza disegno strategico. La deriva intergovernativa inizia con Mastricht, dominata da nazioni forti. Non è colpa della Germania ma dell'insufficienza dell'Italia, se noi contiamo poco. In questo sistema il nostro ritardo è stato fatale. Ci sono governi che contano più di altri e noi siamo tra i deboli. Le debolezze dell'Italia vanno risolte in Italia. Spesso non sappiamo quali sono i veri canali attraverso cui si arriva alle decisioni politiche. Spesso non vengono prese dal popolo ma dagli stati più forti. Si vota tutti, ma la volontà di alcuni prevale. Gli stati mandano i loro rappresentanti che poi si confrontano con gli interessi dei governi. Non è il modo migliore per esprimere la volontà dei cittadini. Il consiglio europeo è un mostro burocratico. Il parlamento, a confronto, non ha quasi voce. Non c'è equilibrio tra le istituzioni. Il modo in cui votiamo è sbagliato. Bisognerebbe distaccare il consiglio europeo dalla volontà degli stati.
• La Brexit ci ha fatto capire come stanno cambiando le cose. La divisione in Europa è tra due modelli di integrazione: in uno prevalgono gli stati, nell'altro l'Europa. Ci vuole un'idea del futuro in cui si riconosca la diversità, si consentano prospettive diverse, pur mantenendo la coesione.
• Quando si parla di Europa non si distingue più tra destra e sinistra. Europeista o sovranista? Allargamento frettoloso. Inclusi paesi allo sbando senza offrire una prospettiva. Qual è il valore fondante di questa Europa? I nostri figli si sentono europei e c'è identità di vedute tra giovani europei. Per affermare l'Europa, dobbiamo risistemare la nostra nazione. Sentirci una cosa sola con i cittadini europei. Stabilire una cittadinanza europea con elezioni dirette, per un vero parlamento ed un vero governo europei. Fino a quel momento gli interessi di parte prevarranno sugli ideali. Assunzione di responsabilità e non sovranità nazionali. Alcune scelte che si fanno nel consiglio europeo vengono fatte in poche stanze e tra pochi.
• Il prossimo anno ci saranno le elezioni e sarà un'occasione per una riforma. In molti casi, per aumentare la partecipazione, vengono unite alle elezioni nazionali, ma questo crea confusione. La maggior parte dei cittadini non sa di cosa si discute a Bruxelles. Bisognerebbe migliorare il controllo democratico anche della gestione dell'Euro.
• Con la caduta del muro di Berlino siamo diventati più indipendenti dagli USA che ora trattano con gli stati singoli, a volte creando divisione. In Italia c'è una maggioranza anti europea. Deve crescere la coscienza politica e culturale. L'unione europea è un patrimonio dell'umanità.
• Si parlava di Stati Uniti d'Europa dai tempi di Garibaldi. Oggi, invece, parliamo di 3za guerra mondiale. Bisogna educare gli studenti nelle scuole a capire l'unione europea. In Italia, stiamo attraversando uno dei momenti peggiori ed è necessaria una riforma in chiave europeista. Nessuno si fida più delle istituzioni e quelle europee sono inaffidabili, detto dai tedeschi stessi. La corte di giustizia è composta da 28 membri che quasi nessuno conosce. Negli USA sono 9 e tutti sanno chi sono.
• La rivoluzione tecnologica crea i presupposti per la globalizzazione e sfugge alle sovranità nazionali. L'immigrazione stessa nasce dalla globalizzazione e non siamo in grado di governarla. I cittadini vorrebbero tornare indietro ma non si può. Bisogna governare la globalizzazione e di conseguenza l'immigrazione, tenendo conto dei nuovi confini che sono quelli europei, non quelli nazionali, ma non lo stiamo facendo e lasciamo le nazioni a se stesse. I fenomeni vanno governati, non si possono reprimere. Con le politiche fiscali nazionali non si possono governare fenomeni globali. Ci vuole coerenza tra politica monetaria e politica fiscale. Costruire il "sovrano europeo" diventa la chiave per affrontare gli squilibri e proteggere la parte più debole della popolazione. La gente non capisce più questo linguaggio e percepisce soltanto le conseguenze e la propria sofferenza. Ci vorrebbe un voto europeo che stabilisca una vera leadership nel parlamento europeo, anche per dare struttura politica all'Europa.
• Il tema della trasformazione dell'Europa non si può più ignorare. Imprenditori, agricoltori, disoccupati, giovani. Le colpe del nostro paese sono da dare a tutti noi, così come quelle dell'Europa vanno date alle istituzioni europee. Debito pubblico comune? Titoli di stato comuni? Difesa comune? Di questo bisogna discutere, ma gli stati, al momento, non vogliono. Allora come possiamo parlare di "unione europea"?
• Cosa vuol dire essere europei? Insieme di valori in termini di civiltà comune. Abbiamo la moneta unica, senza però avere un'economia unica e nemmeno una politica unica. Si tende a creare una tecnocrazia piuttosto che applicare i principi della democrazia. Tre problemi fondamentali:
o Struttura dei mercati carente e non trasparente. Confusione e opacità tra istituzioni.
o Governance. Non c'è sufficiente democraticità e la Banca Centrale domina. Vigilanza complicatissima. Composizione dei supervisori in mano alla BCE.
o Obiettivi. Regolamentazione e de-regolamentazione schizofrenica. Dimenticato il ruolo della finanza come sostegno all'economia reale. Le banche hanno potere molto limitato nel sostenere l'imprenditoria. La società civile non è rappresentata. Infine, coordinamento tra politiche finanziarie e politiche sociali mancante. Ci vorrebbe una finanza inclusiva e di impatto ambientale.
• Gap tra mondo della finanza ed economia reale. Il 70% delle acquisizioni avvengono attraverso operazioni al millesimo di secondo, slegate dall'economia. La tecnologia ci permette questo, la speculazione. A chi opera, non importa l'impatto, ma il guadagno. I prodotti derivati ammontano a 500 mila miliardi mentre il PIL globale a 70 mila miliardi. Tutto si gioca sul breve, brevissimo periodo, mentre l'economia si basa sul lungo periodo. Abbiamo così perso miliardi e miliardi. L'OCSE sta studiando il problema su mandato del G20. Come si fa a riavvicinare le due realtà? È stato pensato l'ELTIF, "European Long Term Investment Fund, ma il regolamento non è ancora applicato. Questo serve ad investire nelle infrastrutture. "Finance for Growth" attraverso cui creare ricchezza reale. In Canada ed Australia hanno già iniziato a farlo.
In conclusione, vorrei dire che l'Europa accende ancora gli animi e questo, secondo me, è un buon segno. La questione è la solita: trovare l'equilibrio giusto tra spinta ideale ed esigenze concrete della popolazione. Questo non sarà possibile fino a che tutto ruoterà ancora intorno al denaro, inteso come fine ultimo di tutte le politiche. Come è stato detto, la finanza deve servire l'economia reale e l'economia deve servire la politica, la quale, a sua volta, come disse Kant, deve essere orientata alla felicità del popolo. Per attuare questo ribaltamento delle priorità, rimettendo al centro le persone, è necessaria una rivoluzione culturale e direi ancora di più spirituale. Le capacità ci sono, l'esperienza non ci manca, le risorse nemmeno. Manca il cuore, che poi, in fin dei conti, è ciò che conta di più per raggiungere qualsiasi sufficiente grado di giustizia per tutti, prosperità condivisa e vita comunitaria pacifica. Il raggiungimento degli obiettivi primari dell'esistenza, deve essere rimesso sostanzialmente nelle mani di ogni cittadino del mondo, con il sostegno delle istituzioni e non in contrapposizione con esse.
Nessun commento:
Posta un commento