7 luglio 2018

Coinvolgere la società civile nel costruire sicurezza e coesione in Europa

Il ruolo di un’educazione interculturale e interreligiosa – Ricostruire integrità e fiducia 
La cooperazione interreligiosa è spesso vista come una specie di club per gente che parla di Dio. 
Non è ciò di cui il mondo ha bisogno.
Veterani turchi della guerra di Corea
ricevono il saluto dei Little Angels 

di David Fraser Harris* 
Il nostro tempo sembra essere caratterizzato da una preoccupante erosione di fiducia. A partire dallo shock dell’11 settembre 2001, ci siamo abituati a pensarci due volte prima di viaggiare per Londra, o Madrid, o Parigi, o Bruxelles, o Nairobi, o Istanbul, o Il Cairo – giusto per fare qualche esempio. A partire dalla crisi del 2008, ci siamo abituati a pensarci due volte prima di fidarci dei nostri banchieri. Poi abbiamo scoperto che ciclisti e atleti potrebbero essersi dopati per vincere, e che gli organi di governo del calcio potrebbero essere dominati dalla corruzione. Negli ultimi anni, nel Regno Unito, abbiamo scoperto la realtà vergognosa di decenni di abusi sessuali tenuti nascosti nella vita di vari personaggi della TV. Il recente attacco alla parlamentare Jo Cox è stato un vero e proprio attacco al cuore della democrazia. 
Come possiamo rispondere? Gli aeroporti hanno aumentato i controlli di sicurezza; le banche hanno introdotto nuovi standard e sistemi di vigilanza; le istituzioni hanno stabilito vari requisiti per chi deve lavorare con persone vulnerabili. Naturalmente, abbiamo bisogno di tutto questo, e ciò ha un suo valore. Tuttavia, non possiamo negare che non raggiungeremo mai sicurezza e pace con le sole leggi. La chiave per la pace sta nelle persone: in quello che pensano, sentono e vivono. La realtà con cui dobbiamo confrontarci è che il “nemico” non è più “là fuori” – il nemico è all’interno: nei nostri paesi, nella nostra società, nei nostri cuori e nelle nostre menti. Se vogliamo avere sicurezza e coesione qui in Europa, credo che dobbiamo cominciare a ricostruire l’integrità delle persone e la fiducia tra le persone. Di conseguenza, la discussione deve prima affrontare i temi del ruolo della cultura e della religione, e poi il ruolo della cooperazione. 
Cultura e religione
Non penso che la religione da sola possa creare un mondo migliore. Nessun individuo o istituzione ha valore in se stesso. Penso però che la religione abbia il potenziale per migliorare le persone, e che persone migliori possano creare un mondo migliore. Anche le diverse culture hanno grandi risorse per questo scopo: penso al film Il Ponte delle Spie, nel quale il protagonista viene chiamato “standing man” (traducibile con “uomo d’onore”) dal proprio nemico, un classico esempio di integrità. E, come sono certo sia stato già discusso nel dibattito precedente, la famiglia è centrale nel processo di trasmissione dei valori. 
Ciascuna delle fedi del mondo ha prodotto i suoi frutti – nella forma di individui e istituzioni. Sto pensando a individui i cui atteggiamenti e azioni hanno mostrato qualità esemplari; persone come Mahatma Gandhi, Florence Nightingale e Mohammad Ali. Ho detto “frutti” perché il fattore chiave in questi casi non è stato il sistema di idee in sé, ma piuttosto la risposta appassionata alla chiamata della loro coscienza, che ha trasformato queste persone in leader così influenti. È stata la sua coscienza, basata sulla propria fede, che ha ispirato William Wilberforce ad opporsi alle chiese tradizionali e cominciare la campagna per porre fine allo schiavismo. Molte delle nostre moderne istituzioni, come gli ospedali e le università, hanno le loro radici in una religione. Dieci anni fa, in Libano, poco dopo la guerra con Israele, ho accompagnato un gruppo di mussulmani e cristiani americani e mussulmani e cristiani libanesi a visitare Rabab Sadr, dove una fondazione musulmana sciita gestisce 8 ospedali, 2 cliniche e un orfanotrofio che ospita più di 1.100 bambini. 
La religione vissuta in modo sincero è come un pozzo profondo a cui possono attingere i grandi portatori di pace. Spesso, ci preoccupiamo di quello che dobbiamo fare per portare la pace. Un recente evento della UPF a Londra ha visto la presenza di Lord Eames, ex arcivescovo d’Irlanda. Parlando del proprio ruolo nel processo di pacificazione, ha menzionato i lunghi anni di sforzi senza frutti, che in un giorno si sono sbloccati, quando una delle parti si è presentata da lui. “Vogliamo che tu sia coinvolto,” dissero. “Abbiamo fiducia in te.” Perché? Perché aveva ascoltato, ascoltato, ascoltato. L’ex rabbino capo della Gran Bretagna, citando l’antropologo Malinowski, disse che quando ascoltiamo, stiamo dicendo all’altra persona “Sono qui per te.”
Il mondo è pieno di persone la cui identità primaria è di tipo religioso. La religione, al suo massimo potenziale, rafforza l’identità, trasmette valori e dà accesso a una comunità allargata dove è presente fiducia e dove i valori sono riaffermati. Ha la capacità di instillare in una persona l’atteggiamento e il carattere per resistere alla corruzione, rifiutare l’immoralità e rifiutarsi di maltrattare uno sconosciuto. È esattamente perché hanno avuto esperienza di questi lati positivi che molte persone rispondono alle atrocità del giorno d’oggi con quelli che sembrano luoghi comuni banali, come “La nostra è una religione di pace” o “Hanno demonizzato la nostra religione.” Personalmente mi vergogno dei miei connazionali, quando i tifosi inglesi vengono arrestati per comportamento violento in Francia, ma ciò non significa che smetto di seguire il calcio o che condanno l’intera nazione. Come si suole dire, non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca.
Anche le culture sono fondamentali per la pace, la sicurezza e la coesione, soprattutto nella famiglia, nucleare ed estesa. Sapete come ci si rivolge a una persona più anziana nella comunità, in lingua coreana? Ajussi, che significa “zio”. E in lingua araba? Cosa si dice? Aammo, che significa “zio”. Cosa si usava dire in Italia? Papà o Nonno. Nelle campagne scozzesi, secondo la tradizione si dovrebbe accogliere uno straniero “come se fosse il Cristo”. L’ospitalità araba è leggendaria. Ahlen wasahlen, tradotto approssimativamente, significa “Possa la tua via essere spianata”. È questo tipo di tradizioni che ha promosso il senso di fiducia e comunità. La parte migliore di queste tradizioni è spesso preservata nelle performance culturali, che trasmettono i valori migliori alle generazioni a venire e alle altre culture. 
Cooperazione
La cooperazione interreligiosa è spesso vista come una specie di club per gente che parla di Dio. Non è ciò di cui il mondo ha bisogno. Ciò di cui abbiamo bisogno sono persone che possano rivelare e trasmettere la forza delle religioni e delle culture del mondo, in modo che ciascuna possa fiorire e contribuire alla comunità globale. Abbiamo bisogno di vedere e capire il meglio di ciascuna cultura e, come diversi componenti di un’orchestra o di una squadra, giocare il nostro ruolo nell’insieme. Se queste venisse fatto bene, svilupperemmo maggiore fiducia e un più ampio senso di comunità. Un esempio al riguardo è la situazione in Medio Oriente e in Europa. Al mondo arabo purtroppo manca una tradizione di valori civici, che possa permettere a persone di visioni o fazioni differenti di coesistere pacificamente in una nazione; mentre l’Europa, che ha sviluppato la democrazia, sta rapidamente perdendo il senso del valore della famiglia, soprattutto della famiglia estesa, che è uno dei punti di forza del mondo arabo. Dobbiamo imparare gli uni dagli altri!
Alcuni esempi
Lasciate che vi faccia alcuni esempi di progetti che riflettono questo spirito – di promuovere comprensione reciproca tra culture e religioni. 
Avete mai sentito parlare dei Little Angels (Piccoli Angeli, ndt), dalla Corea? Sono un gruppo di bambine che fanno spettacoli di danza coreana tradizionale. Il gruppo è nato negli anni Sessanta, quando la Corea era conosciuta solo come un paese distrutto dalla guerra. L’intento di Padre Moon nel fondarlo era mostrare al mondo la bellezza della cultura tradizionale della Corea. Nel 2010, hanno fatto una tournée internazionale per ringraziare le nazioni che a suo tempo inviarono le proprie truppe per formare il contingente delle Nazioni Unite inviato a proteggere la Corea. Io ero presente a Istanbul quando hanno offerto la loro performance di fronte ai veterani turchi della guerra di Corea, commossi e in lacrime, al ricordo dei 900 colleghi deceduti in quella guerra. Il giorno precedente, avevano danzato presso la residenza privata dell’allora presidente Gül, cantando una canzone tradizionale turca. Il sorriso sul volto del Presidente era eguagliato solo dall’entusiasmo dei giovani turchi che ci hanno aiutato a organizzare l’evento del giorno seguente: facevano parte dell’associazione “Love Korea”. 
Nell’ottobre 2001 ero a New York. La IIFWP (Interreligious and International Federation for World Peace, ndt), predecessora della UPF, aveva organizzato una conferenza, che in seguito agli eventi del mese precedente, era stata confermata con un nuovo titolo: “Violenza Globale: Crisi e Speranza”. In quell’occasione, a colazione con Abdurrahman Wahid, allora presidente dell’Indonesia, il fondatore della UPF Sun Myung Moon propose una conferenza a Giacarta, con lo scopo di mostrare al mondo il vero volto dell’Islam. Questa conferenza, tenutasi immediatamente dopo il Ramadan, costituì il seguito di una lunga serie di iniziative, come gli Youth Seminar of the World’s Religions (Seminari Giovanili sulle Religioni del Mondo, ndt), che hanno portato giovani da diverse fedi del mondo in tournée in vari luoghi sacri del mondo, mentre questi studiavano le varie religioni. Il Religious Youth Service (RYS) ha per più di trent’anni messo a contatto giovani di tutte le fedi per portare il proprio servizio a comunità in bisogno, dallo Sri Lanka alla Giordania e a Tatabanyain Ungheria. Questo progetto pianta semi di rispetto nei cuori dei partecipanti, innanzitutto perché diventano testimoni del loro reciproco servizio; li rende creatori di pace. 
Vorrei allargare il discorso ad altri progetti di cui ho sentito semplicemente parlare. Alcuni di voi potrebbero conoscerli. Dal sito tanebaum.org ho letto dell’imam Muhammad Ashafa e del pastore James Wuye, leader religiosi di Kaduna, una città nel nord della Nigeria. Entrambi hanno subito dolorose perdite durante il conflitto del 1992, ma sono riusciti a superare l’iniziale desiderio di vendetta per fondare un centro di mediazione interreligiosa, che adesso conta 10.000 membri. 
The Feast (Il Banchetto, ndt) è un’iniziativa interreligiosa di Birmingham, nel Regno Unito. Cito la loro presentazione: “Al cuore di The Feast c’è il desiderio di avvicinare teenager di fedi diverse perché stringano amicizia, facciano conoscenza della fede dell’altro e cambino vita. Portiamo avanti questo desiderio invitando i giovani a partecipare a eventi dove possano incontrare coetanei di altre fedi… Incoraggiamo i giovani a portare le lezioni che imparano nella propria vita quotidiana. Siamo fieri di vedere questo gruppo eterogeneo di giovani che portano un cambiamento positivo nelle proprie famiglie, scuole e comunità”.
Near Neighbors (Vicini Stretti, ndt) è un progetto arrivato in varie parti del Regno Unito. “L’idea dietro NearNeighbors è avvicinare i vicini di comunità o quartieri eterogenei dal punto di vista religioso ed etnico, in modo che possano conoscersi meglio, costruire relazioni di fiducia e collaborare a iniziative per migliorare la comunità in cui vivono”.
Questi progetti affrontano in modo diretto i rischi dell’isolamento.
Vi farò ora degli esempi di veri leader interreligiosi. Più di 10 anni fa ho incontrato il Monsignor Batikha, un sacerdote cattolico siriano di Damasco, che mi ha detto: “Spesso chiamo la nostra chiesa Chiesa ‘Islamica’. Non possiamo andare a Dio se non attraverso nostro fratello”. Uno sceicco sunnita siriano che conosco, riconosce Dio nelle altre fedi, e ama ripetere: “Non esiste il monopolio della salvezza”. Circa 3 anni fa, in una conferenza ad Amman, un partecipante dall’Egitto, musulmano, parlò del Papa copto d’Egitto Tawadros, il quale, sentendo parlare delle minacce ricevute dalle chiese, aveva detto: “Se bruceranno le chiese, andremo a pregare nelle moschee. Se bruceranno le moschee, andremo a pregare nelle strade”. Queste parole sciolsero la tensione e gli valsero il rispetto dei musulmani d’Egitto. 
Ci sono tante buone iniziative. La Women’s Federation for World Peace in Giordania ha recentemente portato avanti un programma di educazione al carattere basato sul teatro, con giovani giordani che hanno recitato nei campi profughi per il paese. In seguito all’esperienza precedente di uno spin-off della UPF, “Play Football, Make Peace”, il Peace Club istruisce allenatori di calcio in Giordania, perché insegnino ai giovani calciatori non solo il gioco del calcio, ma anche valori morali. Sempre in Giordania, il Principe Feisal Al Hussein ha stabilito Generation for Peace, “un’organizzazione no-profit globale per costruire la pace, che usa lo sport, l’arte, attività di sostegno, dialogo ed empowerment come strumenti di risoluzione dei conflitti in comunità colpite da conflitto e violenza”.
Vorrei tornare a quello che considero il cuore della questione: le persone, persone buone. Le persone motivate dalle loro convinzioni religiose hanno un impatto non a causa delle loro convinzioni; piuttosto, hanno un impatto semplicemente perché riflettono l’essenza della religione – il vivere per gli altri. Florence Nightingale, che ha riformato l’infermieristica nel Regno Unito, lo ha fatto perché sentiva la chiamata di Dio a servire gli altri. Il mio padrone di casa, in Scozia, è una brava persona. È popolare perché il suo negozio offre un servizio agli altri. Oltretutto, è l’unico musulmano nel paese: un esempio vivente di integrazione. Non sono di Londra, ma sono abbastanza sicuro che il nuovo sindaco non sia stato eletto perché musulmano; è stato eletto perché si prende cura della città. 
Il nostro mondo ha bisogno di persone che si prendano cura degli altri, persone che ascoltino, e che mantengano la loro parola. Abbiamo bisogno di sentirci capiti, inclusi, valorizzati. Recentemente la nostra famiglia ha visitato una famiglia di rifugiati siriani in Scozia. Quando il padre ha sentito mia figlia parlare, si è aperto in un grande sorriso. “Tu sei siriana!” ha detto. Si è sentito capito. Avevano lo stesso accento. (La figlia di David F. Harris è vissuta e studiato in Syria)

* Rappresentante UPF Medio Oriente e Nord Africa 

Nessun commento:

Posta un commento