5 maggio 2020

VIRUS E AMBIENTE. UN APPROCCIO OLISTICO

di Giuseppe Rossi
“L’unità della natura si è smarrita nella solitudine di un laboratorio”. Questa frase lapidaria che, se non ricordo male, fu pronunciata da Claude Bernard, ci potrebbe aiutare a capire la confusione delle lingue in medicina. È infatti ricomparsa un’altra torre di Babele, un fenomeno ciclico nei “corsi e ricorsi” della storia umana. Oggi ad esempio, ci siamo persi nei labirinti della biochimica, e dello specialismo. Ma la chimica, pur utilissima, quando non combina guai, è per certi versi una fisica grossolana. Continua però a conquistare spazi nelle terapie mediche ignorando gli apporti delle altre scienze e della biofisica in particolare. Un certo Einstein disse che “il campo è l’unica forza dominante della particella”. Il campo è un’entità di pertinenza della fisica, non della chimica. Le particelle che formano la nostra cosiddetta materia sono solo la cima dell’iceberg, burattini trascinati da forze che conosciamo molto poco. Tutte le reazioni vitali, incluse quelle del nostro microbiota, sono assemblate, controllate, manifestate da un intreccio di campi (“campi morfogenetici”, “life fields” ecc.). Uno dei problemi è che questi campi, luogo dei punti dove appunto si esercitano le forze, hanno confini indefinibili, anzi addirittura non li hanno: “ogni entità definibile del nostro universo è considerata radiare un’energia di tipo ondulatorio che è infinitamente interconnessa con le forme ondulatorie di tutte le altre parti dell’universo...” (E. Wigner). 
Tutto l’universo sembra infatti una rete continua e interconnessa di radiazioni, e questo ha delle implicazioni meravigliose, e tragiche, che l’establishment scientifico non ha ancora davvero digerito. Senza entrare nei dettagli della nuova fisica sappiamo oggi che esiste un medium, un retroscena in grado di veicolare questi intrecci (effetto Lamb, Casimir ecc.). È un problema complesso che ha a che fare, tra l’altro, con l’illusorietà del tempo, e ve lo risparmio. Comunque abbiamo scoperto questo retroscena e lo abbiamo chiamato vuoto. Vuoto? “Natura abhorret vacuum”. Con un po’ di...ritardo abbiamo riscoperto questo vuoto che però è strapieno, ha molta ma molta più energia della dimensione fenomenica, ed è denso, compatto, conduttivo, un retroscena fatto di continue oscillazioni quantiche. Eppure non ha massa calcolabile, non rispetta le leggi naturali, che conoscevamo. Sia pure con riluttanza e perplessità, i fisici continuano comunque a giocarci, col teletrasporto ad esempio; oppure parlano di “entanglement”, di “ordine implicito” (D. Bohm), di sincronicità (C. G. Jung), cioè di fenomeni in cui saltano tutti i nessi di spazio e tempo, e con esse la nostra simpatica logica lineare di causa ed effetto. La scienza ammette oggi di conoscere solo il 5% delle forze in gioco nell’universo, studia in sostanza gli epifenomeni, gli effetti, ignora il mondo di causa. La medicina dal canto suo osserva le manifestazioni biochimiche, e ignora le forze a monte, riuscendo appena a sfiorare quegli eventi decisivi che sono di pertinenza della biofisica. Dal vuoto, da un invisibile retroscena, il puparo che modula e alimenta la vita produce un vento fatto di vortici spiraloidi che abbiamo chiamato bosoni, luce, biofotoni, informazione. La loro energia, che è eterna (“non si crea e non si distrugge”) appartiene ad un mondo virtuale, un potenziale immenso e apparentemente slegato dal nostro spazio e dal nostro tempo astronomico. Quando però “collassa” nel visibile, il virtuale crea effetti reali, tridimensionali. La fisica ha etichettato questi impalpabili bosoni tra le “forze elettrodeboli”, in realtà dirigono la fusione nucleare, forgiano gli elementi chimici, ed hanno effetti biologici.
Ma che cavolo centra tutto questo col virus? Centra centra. Le ultime ricerche in microbiologia ribadiscono ad esempio, che tutte le forme viventi, in un modo o nell’altro, sono interdipendenti. Parlano di simbiosi, di coesistenza, di “rete della vita”. Siamo tutti in connessione, e probabilmente c’è una gerarchia che è funzionale alle dinamiche evolutive, ma in pratica ogni pezzo del puzzle sembra influire su questa rete. La vita in sostanza, non vive di lotte ma di interrelazioni. Lylian Margulis, biologa, ha parlato ad esempio di SIMBIOGENESI, ma tornerò su questo punto.
Non siamo ancora abituati a pensare alla scienza come co-scienza di questa rete di relazioni, ma sarebbe proprio ora che iniziassimo a farlo, anche perché l’impatto sulle specie viventi di un ambiente sempre più inquinato culturalmente, chimicamente ed elettromagneticamente, è destinato a sfiancare il nostro sistema immunitario, sempre più impegnato a neutralizzare scorie, e danni alle cellule. Si stanno creando perciò sempre nuovi “spazzini”, nuova flora, inclusa quella virale, e spesso non c’è simbiosi ma disbiosi. Micro e macrosistemi tenderanno al solito a riequilibrarsi, ma non è detto che la specie umana possa conservare il suo posto sul pianeta adattandosi a questi transiti.
I sistemi viventi sono piccoli ecosistemi che sopravvivono anche grazie al lavoro incessante e prezioso del microbiota. Il nostro corpo si calcola sia composto da almeno 600.000 miliardi di cellule, ma moriremmo presto senza l’aiuto di almeno 6 milioni di miliardi di altri microorganismi, soprattutto batteri. Poi c’è il nostro virioma le cui funzioni cominciano solo adesso ad essere comprese: si calcola che il loro numero sia almeno 10 volte più alto del numero dei batteri. La loro incidenza è tutt’altro che trascurabile. Il corpo umano è un sistema aperto, e si stima oggi che circa il 7-8% di tutto il nostro genoma contenga circa 100.000 frammenti di DNA proveniente da retrovirus, noti come retrovirus endogeni. Di recente si sono accumulate prove che dimostrano che si possa trattare di una sottostima. Sappiamo da un secolo che questi microscopici “commensali” non vivono a sbafo dentro di noi, essendo invece attivi in una miriade di funzioni che non riusciremmo da soli ad assolvere. È un po’ quello che fanno gli insetti nell’ecosistema planetario, anch’essi ottimi “spazzini”, riciclatori. Il supporto di questi adiuvanti diventa poi particolarmente prezioso nelle situazioni acute: i tempi del metabolismo cellulare sono fulminei, il tempo medio delle reazioni enzimatiche è calcolato in micro frazioni di secondo. Se si inceppa per un qualche motivo un solo anello della catena metabolica, la cellula può ingolfarsi di metaboliti, più o meno rapidamente e rovinosamente. In tali circostanze prova a reagire espellendo, ad esempio, materiale nucleare e citoplasmatico denaturato per effetto di radicali liberi o di altre situazioni patogene. Alcuni ricercatori austriaci hanno identificato queste estrusioni, classificandole in sostanza come “spore” virali.
Una dieta sbilanciata, veleni, smog ed elettrosmog possono entrare in gioco. Naturalmente, anzi innaturalmente, i nostri virologi, specie quelli “politicamente corretti” o con conflitti d’interesse, si guardano bene dal parlare di antiossidanti, di dieta, di “esotiche” radiazioni, tipo 5G. Noo, si limitano ad una guerra più “raffinata”, fatta in sostanza con antivirali, antinfiammatori o vaccini. Vaccini che quando vengono somministrati, al solito, trovano virus, specie quelli ad RNA, che hanno avuto ormai tutto il tempo di mutare. Per carità, nessuno osi parlare della vitamina D3, o della vitamina C, di lisozima o altri presidi che rinforzino la globalità della risposta immunitaria, il presidio primario che abbiamo, quello decisivo. Quando si ha a che fare col virioma, cioè con un esercito mille volte più numeroso delle nostre stesse cellule, il problema si complica ancora di più. Ci sono in effetti altri “problemini”: i virus che crediamo di conoscere e fotografare, dopo aver subito trattamenti e bombardamenti finali con fasci di elettroni, sono in sostanza artefatti di laboratorio, oltre ad avere un’identità, diciamo così, molto fluida. Questo altro aspetto complica ulteriormente le cose: “Virus, batteri e funghi non esistono semplicemente, ma seguono uno sviluppo ciclico (ciclogenia). Il ciclo obbedisce ad un ritmo cosmico...” (W. Gruger, 1991). Gruger riprende l’ipotesi di G. Enderlein e di altri illustri studiosi. Detto in termini più ampi, la continuità filogenetica che lega l’evoluzione delle forme, che lega cioè il mondo minerale a quello microbico, a quello vegetale, a quello animale ed umano, è un processo che non può non succedere, non può non ripetersi anche nel microcosmo cellulare. D’altronde, perdonatemi questo altro breve inciso, se è vero che il linguaggio della natura è quello ripetitivo, frattalico, è ragionevole pensare che questa continuità di eventi ci permetta di poter risalire a più semplici unità vibratorie e strutturali. In altre parole virus e batteri sono parte di noi, pezzi della nostra storia, ingranati solitamente nei nostri stessi meccanismi di sopravvivenza, manipolazioni genetiche a parte. Un secolo fa ne diede conferma e testimonianza diretta il “piccolo grande clinico” (come lo chiamavano i francesi) e cioè Achille De Giovanni:” Osservando al microscopio quello che avviene di molte cellule...durante 48-72 ore e più, ho veduto fenomeni di disgregamento cellulare, sciogliersi, per così dire, la cellula nei suoi bioblasti... ed ho pure veduto evolversi da questi la cellula-bacterio ed altre forme vegetali.” (“Morfologia del corpo umano” Hoepli 1904, pag. 129) De Giovanni era convinto che la ricerca dovesse approfondire l’osservazione “per sorprenderne le modificazioni secondo l’ambiente e le possibili trasformazioni” (ibid.), capire ad esempio, come il diplococco della saliva possa diventare lo pneumococco della polmomite o invece, in altre situazioni, un meningococco. P.N. Gregoraci ripropose vent’anni dopo questa linea di ricerca in una sintesi più ampia: “Il circolo cosmogonico della vita - evoluzione ed involuzione – consiste e si perpetua nell’eterno contrasto, lento o violento...tra il macrocosmo (organismi policellulari) e il microcosmo (organismi monocellulari) ... Dalla proporzione reciproca tra queste due forze nasce la vita, dal disquilibrio la morte”. “Nell’ordine normale della natura non è il microbo (monocellula) che attenta alla vita cellulare bensì è la cellula organizzata la quale disorganizzandosi, decomponendosi...dà modo alla monocellula di compiere la sua funzione cosmica.” In un impeto finale di onestà pare che quell’imbroglione geniale di Pasteur abbia avallato questo concetto sussurrando sul letto di morte che “il batterio è niente, il terreno è tutto.”
“Negli ultimi 2 decenni uno dei maggiori vanti della medicina è stato la vittoria sulle malattie infettive... L’avvento dei retrovirus (e il moltiplicarsi dei batteri resistenti agli antibiotici, aggiungo io) ha messo in luce la scarsa fondatezza di quel vanto. La natura non viene mai veramente conquistata... forse la vittoria sulla natura non è che la metafora sbagliata per descrivere il nostro rapporto con la natura, la quale non solo ci circonda, ma nel senso più profondo fa parte di noi.” R. Gallo (“Le scienze” marzo 1987)
“Il vero è l’intero” diceva Hegel, la scienza moderna comincia finalmente a capire che deve essere scienza delle relazioni, che il nostro universo è un intreccio dove la vita si fa strada grazie alla sinfonia dei suoi ologrammi, dei suoi sistemi aperti. Questo lo sottolineo perché le variabili in gioco negli equilibri tra micro e macrocosmo, sono tantissime e precise al tempo stesso, nei loro spettri frequenziali, nei loro ritmi, nell’intensità dei segnali. Questa sinfonia necessita pertanto di un formidabile direttore d’orchestra, e di una serie gerarchizzata fatta di tanti “professori d’orchestra”. E questi sono nient’altro che i campi magnetici, i “campi morfogenetici”, le uniche forze dominanti di quelle singolarità particellari che chiamiamo materia, fermioni. Come questo avviene, come cioè la biofisica possa sposare felicemente la biochimica, ce lo potrebbe spiegare oggi l’Elettrodinamica Quantistica Coerente. La ricerca ufficiale continua però a pensare ai processi metabolici con la vecchia ipotesi di incontri più o meno casuali tra enzimi e substrati, tra “chiavi e serrature”. Questa ipotesi è verosimile, ma solo a distanze minime. Se pensiamo che in ogni singola cellula avvengono circa 100.00 reazioni al secondo, in mezzo a lenti moti colloidali, non ci sarebbero i tempi tecnici per assolvere alle necessità dei fulminei eventi metabolici intra ed extracellulari. L’unica forza che permette alla cellula di sopravvivere è la forza ponderomotrice, cioè una forza non lineare che è in grado di operare con la necessaria rapidità su ioni e molecole cariche, grazie appunto al suo campo. Quando due atomi, o due molecole oscillano con frequenze più o meno vicine a quelle del campo dove dovrà avvenire la reazione, verrà esercitata su di loro una forza attrattiva che li porterà rapidamente a reagire. Lo scenario è reso possibile anche grazie allo speciale solvente acquoso che fa da necessaria cornice. Questa speciale acqua biologica aggrega le sue molecole vibrando all’unisono con la frequenza del campo. Queste molecole, come uno speciale corpo di ballo che danza in perfetta sincronia (“dominio di coerenza”), sono guidate e intrappolate dal campo. I nuovi reagenti a loro volta mutano però le condizioni, la frequenza del campo stesso. In questo modo il nuovo campo attrarrà allora due reagenti diversi, risonanti appunto a questa nuova frequenza. Questa ipotesi può spiegare ad esempio come sia possibile metabolizzare il glucosio così da attivare le dieci reazioni della sua glicolisi in meno di un decimo di secondo. Insomma il nostro sistema biochimico sembra poter funzionare solo grazie alle onde elettromagnetiche. La ricerca biomedica invece ha finora ignorato proprio questi due attori fondamentali: il campo magnetico e l’acqua. “Senz’acqua non c’è vita”: abbiamo oggi scoperto che le reazioni vitali, ossido-riduttive, passano per l’acqua biologica. E’ grazie a quest’acqua e agli elettroni “quasi liberi” alla periferia dei suoi domini di coerenza, che diventa possibile, cimentando solo frazioni di eV, che la cellula possa recepire debolissimi segnali esterni, di poco superiori al rumore termico di fondo (G. Masiero 04/14, www.enzopennetta).
Le specie viventi, inclusi i microrganismi, sono ricetrasmittenti sofisticate, plasmate e sintonizzate da sempre con le radiazioni cosmiche e telluriche. Queste, con le loro afferenze cicliche, ci innestano in bioritmi particolari. Il vivente è una “quasi-macchina” elettromagnetica che ospita un continuum conduttivo di acqua ed elettroliti, di ioni cioè carichi elettricamente, e quindi magneticamente. Le biomolecole sono oscillatorie con una propria frequenza caratteristica. Anch’esse irradiano, come del resto fa tutta la materia, virus inclusi, naturalmente. Per milioni di anni gli esseri viventi sono stati nutriti e sorretti da campi sostanzialmente costanti (campo gravitazionale, campo magnetico terrestre, campo elettrico solare). La specie umana per millenni si era dunque abituata a vivere senza altri campi. C’era un unico campo elettromagnetico, non costante, costituito dal pulsare delle risonanze di Schumann. La risonanza Schumann genera, o forse meglio, generava un piccolo campo EM di 2 microTesla. In questo ambiente siamo nati e cresciuti. La sua frequenza fondamentale (7,83 Hz) è molto vicina a quella del nostro ippocampo, dell’epifisi, del timo, del ritmo con cui comunicano gli emisferi cerebrali. Un campo di piccola ma indispensabile potenza, tanto che abbiamo dovuto riprodurlo nelle navicelle spaziali per limitare i danni agli astronauti. In genere la forza dei campi elettromagnetici è milioni di volte più forte di quella prodotta dai singoli gruppi chimici. Le forze di legame più comuni in gioco nel nostro metabolismo sono invece estremamente labili e cangianti: legami idrogeno, idrofilici, idrofobici, forze di Van der Walls. D’altro canto molte nostre cellule sono fornite di cristalli di natura piezo-elettrica (calcite, magnetosomi) che fungono in effetti da sensori formidabili, sincronizzati da sempre con i segnali ambientali. Lo stesso DNA è in pratica un circuito oscillante che vibra di continuo, ma solo grazie all’azione mirata di deboli forze interne ed esterne ad esso (effetto Zhadin). La frequenza della radiazione cosmica di fondo ha un picco di circa 160 GHz. La stiamo intaccando? Secondo dati del 2010 il fondo di radiazioni artificiali è arrivato oggi ad essere un miliardo di miliardi di volte più forte di quello naturale. E la cosa non diventa più simpatica con migliaia di satelliti che continuano ad aggiungersi gironzolando nell’atmosfera. E’ verosimile che uno scudo naturale come la ionosfera, possa risentirne. Grazie al fenomeno della risonanza radiazioni minime, anche non ionizzanti, possono avere effetti biologici. Agendo ad esempio ai confini dei domini di coerenza dove c’è un plasma di elettroni “quasi liberi”, questi minimi stimoli possono liberarli del tutto, con relativo trasferimento elettronico da una specie chimica all’altra (reazioni ossido-riduttive). Stimolazioni ambientali cosiddette “elettrodeboli” possono ad esempio attivare i canali del calcio delle membrane cellulari, far aumentare così l’ossido nitrico, lo stress ossidativo, e produrre perciò un aumento dei radicali liberi e della risposta citochinica, despiralizzazione delle eliche del DNA, alterazioni della barriera emato-encefalica, aggressione della bilancia ormonale, del sistema nervoso, della psiche ecc.


Facciamo l’esempio di quello che sembra l’ultimo tentativo di suicidio planetario: il 5G. Queste microonde entrano per 1cm nella pelle, interagiscono cioè con tessuti di natura piezoelettrica. Inserendosi nella rete elettrica del corpo avranno effetti locali e sistemici. Si sono già ampiamente osservati danni alla vegetazione, agli animali, alle api, che tra l’altro condividono tanta parte del nostro genoma, e, ultima ciliegina sulla torta: tuttora (2020) non siamo forniti di dispositivi in grado di misurare i campi EM generati dal 5G. Gli effetti osservati sono solo quelli termici, per giunta prodotti su manichini che hanno una percentuale di acqua risibile, acqua che è il vero target, come sappiamo, dei forni a microonde. Nessuna attenzione per gli effetti cronici. Fonti: l’ICNIRP, l’NTP americano e una ONG privata, l’Istituto Ramazzini.


In conclusione, se il nostro universo vive in un complesso equilibrio dinamico, se tutto, nelle dovute proporzioni, è parte del gioco, è utile al gioco, allora una vera prevenzione, e una vera terapia di fondo dovrà prendere in considerazione i parametri di questo gioco. Durante la crisi del covid19 si è parlato di guerra, ma possiamo davvero entrare in guerra con la natura? Abbiamo imparato a intervenire per imitare o sedare i suoi automatismi ma quanto ne sappiamo davvero di quello che stiamo facendo. Madre natura è troppo scaltra, troppo perfetta, troppo possente per cedere ai nostri artifici, a meno che non impariamo davvero a penetrarla cavalcandone le leggi, incarnandole. Pensate davvero che un minuscolo virus, in mezzo a miliardi di altri virus normalmente presenti nell’aria, e che ha bisogno di tutto per agire, possa abiurare alla sua funzione cosmica? Non può farlo, a meno che la cellula non diventi adatto terreno di coltura donandogli anzitutto una strada per penetrare e poi il nutrimento necessario per sopravvivere, moltiplicarsi o insidiarsi pericolosamente nel suo stesso genoma. Strano davvero. Certo, il contagio è una realtà, almeno statistica, e va evitato poiché i virus sono anch’essi ricetrasmittenti che irradiano segnali che possono trovare risonanze feconde e tragiche in un corpo malandato. Non a caso nelle epidemie influenzali le vittime si contano soprattutto tra vecchi e malati. Perché il virus può essere importante, ma il terreno è tutto. Quello che mi sorprende e mi amareggia è che il delirio di onnipotenza della chimica ha invaso le menti di molti miei colleghi, “macchine da prescrizione” molto più brave di me, ma troppo spesso ignari di dietetica, del microbiota, dello psichismo, delle nuove terapie di risonanza in grado di penetrare e trasmutare gli spettri molecolari. Nel frattempo l’ecosistema naturale e quello umano, oltre all’elettrosmog e a ingerenze socio-economiche più o meno occulte alle masse ignare, sono fattori che aumentano, forse però di pari passo con una migliore coscienza collettiva. La battaglia è in atto.

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