28 febbraio 2013

Albert Schweitzer: una vita per l’Africa

E’ importante ogni tanto ripercorrere e riflettere sui personaggi che hanno segnato un tratto indelebile nella storia. Albert Schweitzer comprese la profonda separazione fra le parole e i fatti della religione cristiana e fu questa separazione che egli cercò di sfidare nella sua vita.
Divenne sempre più conosciuto e fu considerato come la coscienza dell'Europa. Si teneva al di sopra di tutti gli interessi nazionali e confessionali e sostenne con la sua voce chiunque non poteva esprimersi. Quanto mai attuale il suo messaggio!

di Giorgio Gasperoni

Albert Schweitzer era un uomo dotato di numerosi talenti naturali. Divenne un esperto anche brillante in campi molto diversi come la teologia, la filosofia, la musica, la letteratura e la medicina. Si potrebbe pensare che una tale diversità di doni possa essere, in fin dei conti, nociva per la personalità, ma questo non fu mai il caso di Albert Schweitzer.
Attraverso l'esempio ha saputo mostrare che, con ognuna delle sue qualità, egli poteva aiutare gli altri; ha saputo mostrare che la generosità di cuore, la sensibilità artistica completavano mirabilmente la sua volontà di ferro, il suo spirito indipendente e avventuroso e la sua grande capacità di comprensione. E in lui tutto questo era messo al servizio di un forte impegno di lavoro sia si trattasse di lavoro fisico o di concentrazione intellettuale. Ancora molto giovane Albert Schweitzer sentì che la sua vocazione era diretta verso la filantropia, verso l'amore disinteressato per gli altri.
Era nato il 14 gennaio 1875 a Kaysersberg (Alsazia). Suo padre era pastore e insegnante in una piccola comunità protestante, in un villaggio che era in gran parte cattolico. Aveva solo sei mesi quando i suoi genitori si stabilirono a Gunsbach, il paese natale di sua madre.
Già da piccolo aveva dimostrato di possedere un forte carattere. Era sensibile a tutte le sofferenze e miserie di questo mondo e sentiva sempre di più il desiderio pressante di porvi rimedio. Ciò che lo sorprendeva e lo scandalizzava era l'attitudine di tanta gente che non sembrava preoccuparsi per niente della sofferenza dei propri simili. Giurò a se stesso di non diventare mai come loro, di non essere mai partecipe della loro vigliaccheria.

Molto presto Albert Schweitzer prese in mano la sua vita e lavorò risolutamente per purificare e rafforzare il suo carattere. Divenne per lui sempre più chiaro che non aveva il diritto di vivere solo per se stesso, ma che doveva assumersi la responsabilità della sua vita di fronte a Dio.
Nel 1901 si laureò in teologia e nel 1903 fu scelto come direttore del collegio teologico di Strasburgo. In quegli anni pubblicò il suo libro su Gesù: "Il Mistero del Regno di Dio" che fu accolto con un significativo silenzio da parte degli studiosi. Le opinioni espresse da Schweitzer erano molto chiare e decise, e il libro non lasciava spazio ad alcun compromesso. Già a diciannove anni era arrivato alla conclusione, espressa poi nel suo libro, che Gesù era un uomo del suo tempo, un ebreo che credeva molte cose cui ogni ebreo credeva; egli sapeva di esser stato chiamato da Dio a essere il Messia, ma ciò non sarebbe stato noto fino all'avvento del regno.
Secondo Schweitzer Gesù si aspettava che il regno sarebbe giunto in breve tempo, ma in realtà non venne mai. In un suo successivo libro "La ricerca del Gesù storico" Schweitzer espresse le sue convinzioni su Gesù nel seguente modo: "... nella consapevolezza di essere il Figlio dell'Uomo, egli regge la ruota del mondo per farla muovere in quell'ultima rivoluzione che deve portare a una conclusione tutta la storia". Ma la ruota si rifiuta di girare ed egli allora vi si avvinghia. In quel momento la ruota gira e lo schiaccia. Invece di portare alle condizioni escatologiche essa le ha distrutte. La ruota si muove in avanti e ancora, appeso, vi è il corpo straziato di un uomo incommensurabilmente grande, che fu così forte da pensare a se stesso come alla guida spirituale dell'umanità, in grado di piegare la storia al suo scopo. Questa è la sua vittoria e il suo regno.
In tutta la sua vita Schweitzer non cambiò mai il suo punto di vista su Gesù.
L'incoerenza fra il credo e la pratica cristiana lo turbò sempre profondamente e in una lettera a un suo amico scrisse: "Secondo me l'intera essenza della religione è in pericolo. Per me la religione significa essere umani, chiaramente umani nel senso in cui Gesù lo era. Nelle colonie tutto sembra essere senza speranza e non vi è nulla di confortevole. Noi, le nazioni cristiane, non mandiamo che gli scarti al nostro popolo; pensiamo solo a ciò che possiamo ottenere dagli indigeni... in breve ciò che sta accadendo la è una farsa di umanità e cristianesimo. Dobbiamo aiutare i bisognosi come devono essere aiutati, se le parole di Gesù nel sermone della montagna sono valide e giuste. Ora noi siamo qui seduti a studiare teologia e poi lottiamo per ottenere i migliori posti ecclesiastici, scriviamo ponderosi libri per diventare professori di teologia… e quel che sta succedendo là fuori dove l'onore e il nome di Gesù sono in pericolo, sembra non riguardarci per nulla. E si pensa che io debba dedicare la mia vita alla scoperta di nuove idee, che io possa diventare un famoso teologo per istruire dei pastori che a loro volta se ne staranno seduti a casa, ma io non posso fare questo".
Questa lettera è rivelatrice del carattere di Schweitzer. Egli comprese la profonda separazione fra le parole e i fatti della religione cristiana e fu questa separazione che egli cercò di sfidare nella sua vita.
Sentiva che tutto ciò che aveva ricevuto come doni spirituali e fisici lo rendevano debitore nei confronti dei suoi fratelli molto più sfortunati. Sentiva che il suo dovere era di aiutare coloro la cui vita era sofferenza senza preoccuparsi della sua felicità e del suo benessere personale.

Chi verrà ad aiutarci in Congo?
Avvicinandosi ai 30 anni, gli capitò di avere fra le mani un opuscolo della società missionaria di Parigi. Il titolo di quest’opuscolo era: "Chi verrà ad aiutarci in Congo?" In quel momento ebbe la certezza che la sua ricerca stava per finire. Divenne chiara per lui la necessità di intraprendere degli studi di medicina e partire quindi per aiutare i popoli dell'Africa centrale.
I suoi genitori e amici non lo compresero e cercarono di fargli abbandonare il suo progetto, ma Schweitzer non ebbe mai dubbi su quella sua decisione. Uno degli aspetti della sua personalità era anche quello di decidere rapidamente qualcosa e di portarla a termine con la sicurezza che egli era stato scelto da Dio per quel compito.
E' così che nell'ottobre del 1905 Schweitzer cominciò i suoi studi in medicina. Dovette sacrificare molte notti allo studio fino a che nel 1911 sostenne con successo la tesi per il dottorato.
Il 18 giugno 1912 sposò Hélène Breslan che era stata fino a quel momento la sua assistente efficiente ed entusiasta. Poco dopo si preparò a partire per l'Africa. A Lambarené, nella provincia dell'Ogoué in Gabon, si era stabilita da qualche anno la missione protestante di Parigi. Fu promesso a Schweitzer che gli sarebbe stata fornita una casa così come la terra necessaria per costruire un ospedale, ma il compito di costruirla fu lasciato a lui. Egli era particolarmente inorridito di fronte allo spettacolo di ciò che i bianchi "civilizzati" avevano inflitto ai loro fratelli di colore, nei secoli passati: oppressioni, sfruttamento, schiavitù... arrivando fino a distruggere la loro vita. "Noi non siamo per nulla liberi - scrisse Schweitzer in un suo libro - di voler o non volere fare del bene ai popoli d'Oltre Mare, noi siamo tenuti a fare il bene. Questo bene non lo dobbiamo considerare con una generosità da parte nostra, ma piuttosto come un’espiazione o un ripagamento per tutto il male che noi abbiamo fatto loro. Non molto tempo fa qualcuno è venuto con l'intenzione di farli soffrire, è tempo che qualcuno venga ora per aiutarli".
E' animato da questo spirito che Schweitzer andò in Africa. Egli conosceva bene il sentimento di disperazione degli africani. Senza chiedere l'aiuto di nessuna organizzazione, cominciò molto semplicemente con i mezzi che aveva a disposizione: la sua testa, le sue mani, il suo cuore, la sua profonda determinazione e la sua fede in Dio.
La sua prima intenzione non era solo quella di curare i corpi di questi uomini che soffrivano, ma anche e soprattutto di trasmettere tutto ciò che poteva migliorare il loro modo di vivere, così come il loro modo di pensare. Fu sempre lontana da lui l'idea di imporre loro la sua fede; ciò che gli sembrava più importante come prima cosa era stabilire con loro una base comune di comprensione o d'amore.

Dio mi ha chiesto di venire qui
Un negro intelligente e devoto, Joseph, fu accanto a Schweitzer come assistente e traduttore, mentre sua moglie Hélène, che aveva continuato gli studi d'infermiera, l'aiutava nelle operazioni, sorvegliando il lavaggio e la pulizia degli strumenti così come il materiale necessario per le medicazioni. Fu in questo modo che egli poté curare malattie come la malattia del sonno, la dissenteria, la malaria e la lebbra. Curò anche spesso delle fratture che, senza il suo intervento avrebbero condotto delle persone a una morte orribile.
Schweitzer descrisse una volta la situazione dopo un'operazione: 
"Dopo che ha ripreso conoscenza, il paziente guarda, meravigliato intorno a lui e ripete più volte: "Non ho più male, non ho più male! Poi mi afferra la mano e non la vuole più lasciare. Allora approfitto dell'occasione per dirgli, come a tutti quelli che sono là, che Dio ha domandato a me e a mia moglie di venire qua a guarire i malati, mentre ha chiesto ai bianchi in Europa di fornire i mezzi di cui Lui ha bisogno qui. Allora, in quel momento, io devo rispondere a molte domande. Così c'è dato, a noi negri e bianchi, di sedere insieme gli uni vicino agli altri e di vivere a fianco a fianco. Come desidererei che i nostri amici in Europa, avessero la possibilità di vivere un tale momento".
Presto l'ospedale fu pronto. Era composto da una stanza riservata alle ricerche mediche, da un'altra per gli interventi chirurgici e due più piccole per la farmacia e la sterilizzazione. Inoltre furono costruiti degli alloggi per i malati e le loro famiglie. Più tardi ancora altri locali ospitarono i malati mentali e infine ne fu eretto un altro per i colpiti da malattie contagiose. Mentre Albert Schweitzer si dedicava alla sua opera per la pace, in Europa scoppiava la guerra. Generi quali il tabacco, lo zucchero, il riso divennero sempre più cari e dopo qualche tempo non fu più possibile riceverli. L'ultimo battello arrivato in tempo di pace gli aveva portato ancora delle casse piene di medicinali e bende, ma dopo qualche mese, tutto fu esaurito. Il cibo stesso venne a mancare.

Priorità al rispetto della vita
Albert Schweitzer fu anche colpito da una malattia tropicale che lo rese molto debole, ma egli non permise alla malattia di sottrargli il suo vigore spirituale. Nel settembre 1917 gli fu chiesto di recarsi con sua moglie in Francia dove furono impiegati come interni civili. La guerra aveva sfoltito le fila del personale qualificato.
Durante la sua permanenza in Europa, Schweitzer contrasse anche un male molto serio causato da una dissenteria che aveva trascurato. Fu sottoposto per questo a due operazioni e dovette abbandonare il suo lavoro. Gli furono necessari più di due anni per ritrovare la sua completa salute e il suo vigore.
Nel 1919, ritornò a Strasburgo, dove lavorò come assistente medico nella clinica per malattie della pelle all'ospedale pubblico. Rifletté molto in quel periodo sulle relazioni fra le culture e le religioni del mondo.
Trovò una conferma alla sua teoria secondo la quale la cultura nasce da un mondo etico e dovrebbe condurre a un'affermazione della vita. Scoprì in questa nozione dì rispetto della vita la risposta da dare alle domande: "Da dove veniamo?" e "dove andiamo?" Nel corso degli anni seguenti, tenne numerosi discorsi e conferenze e pubblicò anche delle opere che sono state tradotte in diverse lingue.
Il 4 febbraio 1924, intraprese il suo secondo viaggio in Africa. Sua moglie, che non stava bene di salute, e sua figlia rimasero in Europa.
Si stabilì per la seconda volta sulle rive del fiume Ogooué. Là dovette ben presto fare uno sforzo considerevole per organizzare il lavoro di ricostruzione degli edifici. Una carestia, unita a una grande epidemia di dissenteria, lo obbligarono a costruire un secondo ospedale perché il primo era ormai troppo piccolo.

Premio Nobel per la pace
Dopo quattro anni il lavoro era così avanzato che Albert Schweitzer poté intraprendere un viaggio in Europa. Celebrò là il suo cinquantesimo compleanno.
Nell'autunno del 1929, ritornò ancora con sua moglie in Africa. Rientrato in Europa all'inizio del 1932, lanciò un avvertimento in uno dei suoi numerosi discorsi: "Il destino personale e l'ideale di un solo individuo non hanno prezzo! Ogni persona è sola a decidere della sua anima. Ella non può in nessun caso trasformarsi in un robot sottomesso alla volontà di un uomo". Nel marzo del 1933, Albert Schweitzer fece un quarto viaggio in Africa. Da quel momento, ritornò in Europa solo per brevi periodi, poiché il suo cuore e l'oggetto dei suoi pensieri erano a Lambarané.
Divenne sempre più conosciuto e fu considerato come la coscienza dell'Europa. Si teneva al di sopra di tutti gli interessi nazionali e confessionali e sostenne con la sua voce chiunque non poteva esprimersi.
Albert Schweitzer rappresentò ciò che ci dà fede nel valore dell'uomo, una fede che fu scossa una volta ancora, in tutto il mondo, dalla seconda guerra mondiale.
Nel 1952 Schweitzer ottenne il premio Nobel per la pace. Continuò a vivere a Lambarané fino alla sua morte, avvenuta il 4 settembre 1965.
Tutto ciò che faceva nella vita, era basato sulla sua fede; la sua immagine non si è persa, come non si è perso l'esempio che ha portato al mondo.
"Perché - diceva - io ho fede nella forza della verità e nell'avvenire dell'umanità." Lui stesso si considerava come un semplice precursore di un grande rinnovamento spirituale. "Io farò scaturire la fede in un'umanità nuova, come un lampo nell'oscurità".
“Noi non siamo per nulla liberi di voler o non volere fare del bene ai popoli d’Oltre Mare, noi siamo tenuti a fare del bene. Questo bene non lo dobbiamo considerare con una generosità da parte nostra, ma piuttosto come un’espiazione o un ripagamento per tutto il male che noi abbiamo fatto loro. Non molto tempo fa qualcuno è venuto con l’intenzione di farli soffrire, è tempo che qualcuno venga per aiutarli”.
Albert Schweister

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