di Franco Previte
Notizie pubblicate dai mass media informano che il Governo
in carica, sull’aggiornamento sui Decreti attuativi del Jobs Act cioè dei nuovi
contratti di lavoro, intende apportare delle norme di adeguamento atte a
garantire una più forte attenzione alla disabilità ed in modo particolare a
quelle di natura intellettiva e psichica.
Sulla disabilità fisica è bene che siano stabilite delle
modifiche con un buon impianto complessivo che possano favorire l’inserimento
lavorativo di questa categoria, fatto salvo a rilevare se queste norme, se sono
vere, non potrebbero essere adatte per una prioritaria attenzione di tutela
delle persone con gravi disabilità di natura intellettiva e psichica.
È quasi superfluo, ma ugualmente necessario rilevare che l’handicappato psichico abbisogna, come ogni paziente malato, di cure mediche, di attrezzature ad alta tecnologia atte alla prevenzione, alla cura ed all’eventuale inserimento sociale ed affettivo per ogni suo periodo di sofferenza, come prescrive la legge 180/1978 e seguenti non di propositi lavorativi, come pare sono i Decreti attuativi del Jobs Act.
Quell’evidente inferiorità psichica non consente
all’individuo di avere quella consapevolezza e responsabilità necessarie per
assolvere qualsivoglia impegno, che può portare a gravi conseguenze alla
famiglia nonché alla società se non si danno misure sanitarie, etico, sociali
specifiche per ridurre i rischi dell’esclusione sociale , come anche giustamente
considera anche la “Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità”
dell’ONU (Sixty-first Session Distr. General 6 dicembre 2006 A/61/611).
Nei successivi articoli della “Convenzione”, gli Stati
aderenti, come l’Italia, dovranno, anche, farsi carico del recupero fisico,
cognitivo e rispetto dell’integrità, sempreché l’ONU sappia imporre
l’applicazione di quelle ottime normative le quali, però, ancora oggi per
quanto riferito al comparto psichico, poco compare nella stesura della
“Convenzione”.
Lo stesso Preambolo della “Convenzione” richiama i principi
proclamati dall’ONU e la piena partecipazione dei disabili senza
discriminazione “che soffrono di deficit di lunga durata” comprensivi di quanto
ha affermato la “Dichiarazione dei Diritti dell’handicappato mentale” del 20
dicembre 1971 dell’ONU, dove si sostiene che “l’handicappato mentale deve
godere in tutta la misura possibile degli stessi diritti degli altri esseri
umani”.
Ora a n/s sommesso avviso quei Decreti attuativi del Jobs
Act nei confronti della disabilità pur considerando specificatamente, pare, una
prioritaria attenzione di tutela delle persone con gravi disabilità anche di
natura intellettiva e psichica, non considerano che l’handicappato mentale è un
malato come persona con disabilità che non è quello promosso anche dalla
“Convenzione” stessa che segna invece un distacco molto chiaro da un approccio
medico assistenziale per un approccio di diritti umani.
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