Dopo anni segnati da conflitti e instabilità, l’Afghanistan sembra attraversare una fase di relativa calma. Tuttavia, le sfide interne e le tensioni geopolitiche restano profonde, mentre il Paese si trova a un bivio tra il desiderio di cambiamento e il radicamento di antiche strutture sociali e religiose.
di Emilio Asti
Finora sull’Afghanistan è stato detto molto, forse troppo, ma ora il mondo sembra dimenticarlo. Un Paese sconvolto da anni di conflitti, ma anche ricco di ideali e speranze, purtroppo ancora in preda a gravi problemi umanitari. Dall’11 settembre in poi non sono mancate accuse e pregiudizi contro l’Afghanistan e il suo popolo, ma nessuno degli attentatori era afgano, e lo stesso Bin Laden, ritenuto l’organizzatore degli attacchi, era saudita.
Da metà agosto 2021, con la ripresa del potere, i Talebani si sono trovati a governare con scarse risorse, isolati politicamente e costretti a fronteggiare le minacce dell’ISIS. Rispetto al primo regime talebano, hanno mostrato un volto più moderato, cercando di smentire le preoccupazioni internazionali. Il loro ritorno al potere ha provocato una fuga precipitosa di migliaia di persone, descritta dai media con immagini drammatiche, paragonate, talvolta con eccessi, alla caduta di Saigon e alla fuga dal Vietnam del Sud.
Dopo tre anni e mezzo di governo, il bilancio in termini di sicurezza è complessivamente positivo, nonostante la comunità internazionale condanni la persecuzione delle donne. Dopo anni di guerra e sofferenze, gli afgani, stanchi di violenze e promesse mancate, non vogliono un nuovo conflitto. Molti vedono nei Talebani una forza capace di garantire la pace ed evitare il ritorno delle faide tribali, a differenza del periodo della presenza americana, segnato da insicurezza e attentati.
Gli Stati Uniti, nonostante le ingenti risorse investite, non hanno saputo guadagnarsi la fiducia della popolazione, essendo percepiti come una forza di occupazione irrispettosa delle tradizioni locali. Durante quegli anni, il Paese ha ricevuto ingenti aiuti dagli USA e da organismi internazionali, e chi ne ha tratto vantaggi oggi rimpiange quella presenza. Circolano voci, difficili da verificare, su un possibile tentativo americano di riprendere il controllo dell’Afghanistan.
Un successo dell’attuale dirigenza talebana è la drastica riduzione del traffico di droga, documentata da Pino Arlacchi, ex vicesegretario generale dell’ONU. Tuttavia, molte promesse restano disattese e le tensioni persistono. I Talebani cercano di migliorare le infrastrutture e incrementare i trasporti interni e i collegamenti internazionali, nonostante la povertà di mezzi e l’embargo. Nel tentativo di ridurre l’isolamento, stanno rafforzando accordi commerciali e politici con Russia e Cina, mettendo da parte le divergenze ideologiche. Cercano inoltre di sviluppare la cooperazione con i Paesi vicini, fondamentale per affrontare questioni aperte come il deficit energetico.
Sul piano economico, assumono rilevanza progetti volti a facilitare gli scambi nella regione, con l’obiettivo di integrare l’Afghanistan e i vicini centroasiatici in un quadro di sviluppo comune.
Ciò può favorire l’integrazione graduale dell’Afghanistan, alla ricerca di un ruolo nello scenario asiatico, nel sistema economico dell’Asia Centrale. Il destino del Paese è stato fortemente influenzato dalla sua posizione geografica, che ha segnato la sua storia, in cui l’etnicità, con posizioni complesse, prevale sull’appartenenza comune all’Islam.
In passato, l’Afghanistan è stato definito un insieme di tribù in lotta, pronte però a coalizzarsi contro un nemico comune, come avvenne alla fine degli anni Settanta, quando il popolo resistette all’invasione sovietica. Rimane il doloroso ricordo delle atrocità sovietiche e dei sacrifici dei patrioti afgani, molti dei quali persero la vita per la patria. Tuttavia, le fazioni islamiche iniziarono presto a combattersi, trasformando il Paese in un campo di battaglia dominato dai signori della guerra, con la popolazione civile vittima dei loro soprusi.
Gli anni dell’occupazione sovietica, della guerra civile, della presa del potere da parte dei Talebani e dell’intervento militare USA hanno lasciato profonde ferite. Le mine antiuomo continuano a mietere vittime, e molte costruzioni portano ancora i segni dei conflitti. Molti afgani hanno subito traumi che hanno compromesso il loro equilibrio mentale, generando disagio psichico, inquietudine e sfiducia verso il mondo esterno.
In una società tribale come quella afgana, le interferenze regionali e internazionali hanno esacerbato le divisioni etniche. Al di fuori del clan, diffidenza e sospetto sono sempre stati prevalenti. Molti afgani, limitati al proprio ambiente, guardano con timore a ciò che viene dall’esterno, conseguenza delle ingiustizie e sofferenze subite.
Signori della guerra e criminali, arricchitisi con il narcotraffico e il commercio d’armi, hanno imposto un clima di terrore su ampie fasce della popolazione, private di ogni possibilità di reazione.
Superare le divisioni etniche e tribali e contrastare le spinte centrifughe è complesso, ma un senso di orgoglio nazionale sembra unire gli afgani, fieri del loro retaggio culturale. I governi sostenuti dagli USA dopo il 2001 hanno cercato di pacificare il Paese e combattere i gruppi fondamentalisti, senza riuscirci, spesso aggravando le fratture esistenti. Molti analisti speravano che l’intervento militare straniero avrebbe posto fine ai conflitti interni, ma la realtà si è rivelata diversa.
Le invasioni e le interferenze di altri Stati non hanno mai permesso agli afgani, molti dei quali costretti a rifugiarsi all’estero, di vivere in pace nella loro terra, da sempre crocevia di popoli e culture su cui molti hanno cercato di esercitare la propria egemonia. Tuttavia, gli afgani, pur a caro prezzo, non si sono mai arresi agli invasori stranieri.
La diaspora afgana è diffusa in molti Paesi, dall’America all’Europa fino all’Australia, senza contare i rifugiati in Iran e Pakistan, spesso costretti a vivere in condizioni miserevoli. Numerosi afgani ricevono aiuti economici da parenti emigrati, che permettono loro di sopravvivere e talvolta avviare un’attività commerciale. Molti giovani, demoralizzati dalla mancanza di lavoro e opportunità, cercano di emigrare con ogni mezzo, sperando di affrancarsi dall’indigenza. L’Occidente esercita una forte attrazione su di loro, e la maggioranza sogna di raggiungere l’Europa, convinta di trovarvi migliori condizioni di vita. Non potendo ottenere un regolare visto, molti finiscono nelle mani dei trafficanti di esseri umani, e numerosi hanno perso la vita lungo il pericoloso viaggio verso l’Europa.
La rigida intransigenza, venata di misticismo, che caratterizzava il primo regime talebano guidato dal Mullah Omar, deciso a sradicare la corruzione e il crimine per fare dell’Afghanistan un bastione dell’Islam più puro, sembra ora lasciare spazio a una visione meno dogmatica. Pur senza rinnegare il passato, alcune norme sono state abolite. Le donne, sebbene ancora escluse dalla vita pubblica, possono uscire di casa senza essere accompagnate da un parente maschio, purché rispettino i rigidi codici di abbigliamento imposti dal Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio.
Il governo sta cercando di promuovere il turismo e attirare investimenti dall’estero, ma l’Afghanistan continua a essere visto con sfiducia dai Paesi occidentali. Anche Pakistan e Iran mantengono un atteggiamento ostile, con contenziosi aperti e antiche diffidenze reciproche. Lo scorso dicembre alcuni raid aerei pakistani hanno provocato una cinquantina di morti, per lo più donne e bambini, nell’est dell’Afghanistan.
La maggior parte della popolazione vive ancora sotto la soglia di povertà, anche a causa dell’alto tasso di crescita demografica. Sebbene molte abitazioni siano prive di elettricità e acqua corrente e gli abitanti esposti alle intemperie, la crisi umanitaria non colpisce tutta la popolazione e non assume le proporzioni descritte in Occidente. Kabul sta conoscendo una certa espansione grazie a un progetto di riqualificazione urbana, con cambiamenti che potrebbero aprire nuove prospettive. Tuttavia, la maggioranza degli afgani soffre per la carenza di strutture sanitarie ed educative adeguate. Sono ancora pochi quelli che possono permettersi un’auto.
Dall’introduzione dell’Islam, influenzato nei secoli dal Sufismo, la società afgana è sempre stata centrata sulla religione, che proclama l’esclusivo possesso della verità ed esige disciplina. Persistono alcune influenze delle tradizioni religiose pre-islamiche, ma la legge coranica, sebbene ora interpretata in modo meno dogmatico, ha l’ultima parola. Vige una giustizia severa, che punisce con crudeltà chi è ritenuto colpevole di atti immorali. Il governo ha dato disposizioni precise in tal senso. La conversione ad altre religioni, considerata un crimine, è punibile con la pena capitale, poiché l’Islam è la religione ufficiale, a cui ogni cittadino deve aderire. Il calendario islamico è ancora in uso e il giorno di festa settimanale, come in altri Stati islamici, è il venerdì.
Molti dirigenti talebani vedono nella modernità un pericolo, poiché introduce abitudini considerate incompatibili con l’Islam. All’interno della leadership, non omogenea come appare, alcuni sostengono una maggiore apertura, mentre altri temono che i cambiamenti indeboliscano la pratica religiosa. Diversi giovani rivendicano il diritto di scegliersi il coniuge indipendentemente dal parere della famiglia.
Sebbene non si possa ancora parlare di vera liberalizzazione, sono in corso cambiamenti, nonostante numerose ambiguità irrisolte. È fondamentale osservare la realtà afghana senza preconcetti. Le ipotesi sul futuro del Paese abbondano, ma la situazione resta imprevedibile: nuove sfide emergono e gli interessi geoeconomici pesano. Un Afghanistan nuovamente destabilizzato sarebbe un pericolo per l’intera regione, già attraversata da profonde tensioni.
I talebani riusciranno a conciliare esigenze diverse, garantendo pace e sviluppo? Il tempo lo dirà. Un vero cambiamento richiederebbe il superamento delle tradizioni di lotta e vendetta, radicate da secoli e rafforzate dalle tragiche vicende storiche. Le conferenze internazionali sotto l’egida dell’ONU non hanno finora trovato soluzioni condivise. L’Occidente dovrà cogliere, senza preconcetti, i segnali di un possibile cambiamento e l’aspirazione afghana a un nuovo inizio.
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