2 maggio 2025

L’incarnazione per affinità: oltre la reincarnazione, verso un’etica della cooperazione spirituale

Desideriamo dedicare uno spazio di riflessione a una visione poco conosciuta ma intensamente attuale del rapporto tra spirito e identità personale. L’articolo proposto esplora una lettura alternativa della reincarnazione, ispirata a una conversazione registrata nel 1965 tra il celebre medium Arthur Ford e Sun Myung Moon, fondatore del movimento dell’Unificazione.

Attraverso una prosa filosofica ma accessibile, l’autore ci guida in una comprensione non meccanicistica della vita spirituale: non ritorni forzati, ma collaborazioni per affinità; non sostituzioni d’anima, ma cooperazione tra spiriti e individui che condividono una stessa vibrazione etica e una medesima missione.


In un tempo in cui l’umanità cerca nuove sintesi tra spiritualità e coscienza storica, questa visione offre uno spunto prezioso per pensare una “civiltà dello Spirito” non come utopia religiosa, ma come progetto etico universale.


Questo testo si inserisce nel nostro percorso di dialogo interreligioso e interculturale, offrendo un contributo originale al dibattito sul senso della vita, dell’identità e della missione dell’uomo nel mondo.

 

di Giorgio Gasperoni


Vi sono momenti nella vita in cui, improvvisamente, ci si sente abitati da qualcosa che ci supera. Non si tratta di una voce esterna, né di un pensiero propriamente nostro: è un impulso silenzioso, una chiarezza che non ci appartiene, eppure ci attraversa. È forse in quei momenti che si manifesta ciò che potremmo chiamare una incarnazione spirituale: un incontro fra il visibile e l’invisibile, fra ciò che siamo e ciò che potremmo essere.

Nel 1965, il noto medium americano Arthur Ford raccolse — in un’opera oggi quasi dimenticata — una conversazione con Sun Myung Moon, fondatore della Chiesa dell’Unificazione. In quel dialogo profondo, Moon offre una spiegazione alternativa, e sorprendentemente coerente, del concetto di reincarnazione, non più come ritorno ciclico di anime, ma come processo dinamico di corrispondenza spirituale. Una legge di affinità, diremmo oggi, che unisce spiriti e individui, generando non ripetizioni, ma cooperazioni.


Oltre la reincarnazione: la legge di affinità


La reincarnazione, nelle sue formulazioni classiche (induismo, buddhismo), si basa su una legge impersonale: l’anima trasmigra da un corpo all’altro in funzione del proprio karma, finché non giunge alla liberazione. Ma questa visione, pur potente, rischia di imprigionare lo spirito in una catena senza senso. Moon la supera con intuizione mistica:


«La reincarnazione non esiste nel senso che ci sia una legge che rimandi la gente sulla Terra continuamente: esiste invece una legge di corrispondenza, o meglio, di affinità.»


Ogni spirito — dice — cerca non un corpo qualsiasi, ma un’anima affine, con cui collaborare per manifestare un aspetto della verità. Non c’è ritorno automatico, ma un incontro scelto, una chiamata interiore che genera trasformazione.


Lo Spirito si individualizza, ma non si separa


Nel cuore di questa visione, troviamo un’idea teologica di grande profondità: lo Spirito divino si frammenta senza dividersi, si individualizza in noi senza perdere la propria unità. Come la luce che attraversa vetri diversi senza mai spezzarsi, così lo Spirito può fluire attraverso più esseri umani, in modi diversi e complementari.


«È una specie di energia universale, come la corrente elettrica. […] Ogni individuo è come una lampada, che riflette quella corrente in base alla propria capacità.»


Siamo dunque veicoli spirituali, non contenitori. Non siamo “occupati” da uno spirito estraneo, ma illuminati da una presenza che ci riconosce, ci affina, ci eleva. L’incarnazione non è sostituzione, ma trasparenza.


Diventare canali: la morte dell’ego come nascita dello Spirito


Perché questo avvenga, però, è necessario morire. Non nel senso fisico, ma nel senso interiore e mistico di cui parlava San Paolo:


«Io sono morto affinché Cristo fosse vivo».


Morire al proprio ego, ai propri desideri, ai propri attaccamenti: questa è la condizione per diventare conduttori di verità spirituale. Non si tratta di annullarsi, ma di lasciare spazio a una presenza più grande, impersonale ma vivente, che può parlare attraverso di noi, agire attraverso di noi.


Così, l’individuo altamente sensibile può arrivare a rispecchiare uno spirito elevato, e in taluni casi identificarsi con esso. Non per illusione o presunzione, ma per reale integrazione spirituale.


Memoria di vite precedenti o eco di una Presenza viva?


Quando qualcuno dice: “So di aver vissuto prima”, è forse davvero l’eco di una vita propria? O è piuttosto l’emergere di una coscienza spirituale che ci guida da altrove?


La visione di Moon ci suggerisce che non siamo il ritorno di altri, ma la continuazione di una storia più grande, che cerca strumenti nuovi per manifestarsi. Noi siamo strumenti, non repliche; siamo figli spirituali, non reincarnazioni meccaniche.


Verso una civiltà dello Spirito


Alla fine, questa visione porta con sé un’esigenza escatologica, una tensione verso una civiltà spirituale nuova, in cui lo Spirito Totale possa abitare nei molti, non nei pochi. Una civiltà in cui ogni essere umano venga riconosciuto non per il suo passato, ma per la luce che è pronto a riflettere.


Il Regno di Dio — in questa prospettiva — non viene dal cielo come evento catastrofico, ma si costruisce nella misura in cui accogliamo lo Spirito di Verità, lasciandolo operare attraverso di noi. È un progetto di comunione cosmica, che unisce vivi e spiriti, passato e presente, terra e cielo.


Conclusione: incarnarsi è cooperare


In definitiva, Moon ci propone una metafisica della cooperazione spirituale, non del ritorno obbligato. Ogni essere umano è chiamato a incarnare non un’altra vita, ma una missione spirituale che corrisponde alla propria natura più profonda.


E se questa visione fosse non un’alternativa esoterica, ma una chiave per riscoprire ciò che le grandi religioni cercano di esprimere — ciascuna a modo suo — da millenni?

Forse non dobbiamo più chiederci chi eravamo, ma piuttosto chi siamo chiamati a manifestare.

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