6 giugno 2019

Individuo e Universalismo

di Antonio Saccà

L'individuo nasce in un luogo determinato, in una città determinata, in una regione determinata, in un paese determinato, in un continente determinato, nel mondo. Se uno di questi anelli che costituiscono la situazione dell'individuo viene a mancare la mancanza si avverte e accade una privazione che può essere accettata, oppure una reazione alla privazione. Poniamo che l'universalismo voglia spazzare tutti gli anelli precedenti e sostituirsi ad essi. Che sarebbe mai questo individuo universalizzato? Un individuo che potrebbe nutrirsi indifferentemente di carne di maiale e di pane, di verdure e di insetti, di serpenti e di cani, di pasta asciutta e di topi, un individuo che non tiene più conto delle sue tradizioni alimentari e che può egualmente assumere ogni cibo e, dal punto di vista culturale, addirittura teologico, un individuo che crede in un Dio senza connotazioni specifiche, un Dio buono per tutti e non caratterizzato da una religione specifica...
Dal punto di vista demografico che sarebbe un uomo universalizzato? Sarebbe un uomo che permette, immette nel suo Paese ogni altro popolo, addirittura spingendosi alla sostituzione di altri popoli al proprio visto che si tratta di uomini universalizzati non di italiani, spagnoli, cinesi, indiani… Questa situazione, che spingo all’estremo, ha tuttavia verosimiglianza nella percezione sociale. Si è eccessivamente dato spazio a questa figura universalistica sia in economia sia nella cultura e nelle relazioni delle civiltà. Ma altro è negare l’altro, altro è contenere l’altro, rendersi altro. Se questo contenimento non si attua entro margini tollerabili, e sta all’uomo politico avvertire il margine di tollerabilità, abbiamo la ripulsa. Si può discutere, obiettare, esistono reazioni fisiologiche, ciascuno di noi ha formato una sua identità ed ha una istintiva difesa di questa identità, oltre la quale il soggetto si sente sopraffatto dalla estraneità e formula una reazione. Si può discutere anzi si deve discutere sui confini della sopportazione e dell’accettazione ma se una parte della popolazione, della classe dirigente sembra indifferente a questi margini o addirittura fomenta il culto dell’altro a preferenza del cittadino, la reazione può essere violentissima e spropositata. Paradossalmente un certo argine è l’antidoto alla risposta violenta. È quello che sta accadendo in Europa e non solo in Europa. Se non si avvertisse questo segnale di difesa avremmo in futuro segnali molto più rabbiosi. In un certo qual modo l’attuale atteggiamento negativo è una modesta schermaglia in previsione e per evitare future negazioni radicali. È auspicabile che si pervenga ad un dialogo, alla comprensione delle parti, delle differenze a non si esasperi, l’universalismo degli individui, l'essere indifferenziato, il recettore passivo, l'intercambiabile, potremmo fomentare, ripeto, una reazione esasperata di radicamento fanatico. L'Uno non è negazione delle diversità ma coesistenza delle diversità, delle variate identità. E mai perdita radicale dell'identità in un universalismo che vulnera tradizioni, attaccamento, memoria, storia. Civiltà. È come sostituire il niente all'uomo concretizzato in una specifica religione, morale, recidere l'interiorità, ruotare il sangue della storia, costituire un involucro nel quale è possibile ogni passaggio senza un “io”. Ma l'Io prima di rendersi un Io privo di Sé può insorgere rabbiosamente. Non rischiamo di stabilire persone amorfe senza l'Io-Sé, e persone reattive all'estremo in tutela dell'Io-Sé. Ci vuole misura nell'universalizzazione e nella difesa dell'Io. Attualmente l'universalizzazione è irrompente, e ne vediamo i tentativi di contenimento, non sempre moderati. Ma l'Io-Sé teme la sommersione.

Le idee espresse in questo articolo sono le opinioni dell'autore e non necessariamente riflettere le vedute di Voci di Pace.

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