10 luglio 2018

VIOLENZA MINORILE

Minorenni che aggrediscono coetanei e perfino adulti 
Ribellione, disagio o solo criminalità: a che cosa si deve il fenomeno e che cosa si può fare


di Luigi Brambani*
Il 3 marzo, a Napoli tre minorenni hanno aggredito una guardia giurata di 51 anni colpendola ripetutamente con la gamba di un tavolo perché volevano rubargli la pistola. L’uomo è morto due giorni dopo all’ospedale.
Il 17 febbraio, due tredicenni di Barberino del Mugello hanno picchiato un sedicenne di colore, adottato da una famiglia toscana, facendolo finire all’ospedale con 5 costole rotte.
Il 16 febbraio, cinque minorenni di Serravalle Pistoiese hanno aggredito un anziano togliendogli il bastone su cui si appoggiava per camminare e facendolo cadere. Hanno filmato la bravata per metterla su Facebook.
A gennaio, a Napoli una quindicina di ragazzini hanno picchiato a sangue un coetaneo e a dicembre un 17enne è stato accoltellato da alcuni minorenni.
Al tristissimo bollettino di cui sopra bisognerebbe aggiungere gli episodi di bullismo nelle scuole, alcuni dei quali con esiti drammatici.
Se gli avvenimenti di Napoli potrebbero trovare una loro spiegazione nella criticità di alcune sue aree in cui la criminalità organizzata ha una forte influenza e gli adolescenti che non hanno prospettive per il futuro aspirano a diventare malviventi per avere un benessere che non pensano di poter ottenere diversamente, come spiegare il resto degli episodi avvenuti in aree dove benessere, buona qualità di vita e prospettive di lavoro non mancano? 
Dove dobbiamo cercare le cause? Nel permissivismo dei genitori? Nella qualità dell’istruzione scolastica forse incapace di fornire un modello educativo adatto ai giovani d’oggi? nell’assenza di valide figure di riferimento? Nella testa stessa dei ragazzi?

Se c’è, qual è il filo conduttore di questa crescita di episodi di violenza minorile? E, soprattutto, che cosa si può fare per prevenirli?
“Non c’è una risposta unica a questi interrogativi” ci dice la dott.ssa Vincenza Palmieri, psicologa clinica e forense, nonché presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare, da anni attenta osservatrice del disagio giovanile.
 “Innanzitutto bisogna riconoscere di volta in volta se il fenomeno si sviluppa in un territorio del sud, del nord, in un particolare contesto deprivato o invece in una zona ricca. 
Perché è sulle cause che scatenano il fenomeno che bisogna intervenire con la giusta soluzione. Non certo con provvedimenti autoritari successivi spesso acuiscono i malesseri che provocano il fenomeno. 
Non possiamo pensare che le famiglie da sole possano arginare il problema. 
Anche la famiglia è portatrice di fragilità, spesso è isolata esattamente quanto lo sono i figli. Quindi, se la famiglia è il contesto all'interno del quale originare una risposta, è altrettanto vero che deve essere supportata e la risposta deve essere a più attori. 

Gli adolescenti sono spesso terra di nessuno perché fino ad una certa fascia della popolazione infantile abbiamo molti interventi (centri ludici, doposcuola, ecc.), ma nella fase successiva dell'età evolutiva da una parte c'è la necessità dei ragazzi di svincolarsi e sperimentare la propria autonomia e curiosità e dall'altra c'è una totale assenza di offerta che intercetti e incontri quei bisogni. 
Da un lato, dunque, c'è bisogno di una scuola che davvero permei la società e che si occupi di coloro che maggiormente esprimono difficoltà anche nella comprensione. Una scuola che non stigmatizzi né “medicalizzi” i comportamenti, ma che svolga la propria funzione naturale, attraverso la divulgazione di una corretta metodologia di studio.
I ragazzi di oggi non sono "i ragazzi del muretto".
Le attività sportive ed artistiche devono essere poste al centro. Le attività sportive hanno un posto importante; nelle aree marginali devono essere promosse e garantite perché spesso è proprio chi ne avrebbe più bisogno a non riuscire a usufruirne. 
Ma soprattutto c'è bisogno di tanta informazione: sui danni dell'isolamento davanti ad un computer, sui danni delle droghe vecchie e nuove, sui danni dovuti all'assenza di comunicazione con gli altri, ma anche all'interno delle famiglie di origine. 
Oggi i ragazzi ricevono stimoli violenti da adulti altrettanto violenti tramite i media e un’informazione troppo concentrata sulla malvagità dell’essere umano. 
Ciò va contrastato insegnando buoni principi e non dobbiamo aver paura di farlo! Spesso le persone delinquono perché non sanno di avere dei diritti, che sono anche i diritti degli altri.
I diritti umani sono educativi, spesso basta solo conoscerli per ottenere il cambiamento di un punto di vista. Se c’è qualcosa che deve essere trasversale a tutti gli esseri umani – grandi e piccoli che siano – è la consapevolezza dei diritti umani.
Possiamo educare ai diritti umani fin da piccoli, perché sono i diritti che rendono uguali agli altri.
Insegnare solo i doveri spesso crea una mentalità da schiavo e da schiavista; ed è proprio questo che genera la negazione dei diritti umani.”
Nella visione della dott.ssa Palmieri, famiglie, scuole e amministrazioni pubbliche sono chiamate a intervenire a vari livelli per mettere in campo soluzioni che diano risposte al disagio giovanile. 
Ogni situazione e area geografica presentano indubbiamente caratteristiche che devono essere prese in considerazione singolarmente e localmente al fine di elaborare un progetto di intervento mirato, ma il cuore del problema, l’elemento comune, il fulcro su cui tutto poggia rimane comunque e ovunque l’educazione fatta con l’intento di tirar fuori il meglio da ognuno di loro. 
Quei ragazzi, svogliati o attenti, partecipi o assenti, un giorno prenderanno in mano la loro vita e la porteranno al cospetto della società per renderla parte integrante della società umana e l’impronta che lasceranno sarà il risultato del cammino fato precedentemente, in famiglia, nelle scuole, tra i loro coetanei e gli adulti che li avranno educati, guidati, consigliati.
Non si può escludere che il problema di base sia questo, quello legato all’istruire e all’educare. Etimologicamente e praticamente, istruire ed educare sono due cose diverse. Istruire deriva dal latino in-struere, che significa inserire, portare dentro, mentre educare deriva da ex-ducere, cioè portare fuori, far venire alla luce: esattamente l’opposto. Nel primo caso abbiamo qualcuno che riceve passivamente, nel secondo caso quel qualcuno dovrebbe essere ascoltato per capire che cosa ha dentro così da farlo venir fuori e poi incanalarlo verso qualcosa di costruttivo per sé e gli altri. 
La dott.ssa Palmieri ha accennato ai diritti umani come tema educativo responsabilizzante e noi abbiamo voluto chiedere a chi già da tempo li sta portando nelle classi di ogni ordine e grado per capire se e come vengono recepiti e, soprattutto, quali siano i risultati.
Per questo abbiamo chiesto a Maria Elena Martini, presidente di “Arte e cultura per i diritti umani”, una Onlus costituitasi a Roma nel 2009 e che da allora promuove la campagna mondiale “Uniti per i diritti umani” organizzando concerti, manifestazioni e tenendo conferenze nelle scuole elementari e medie, sia inferiori che superiori. 
Dal giorno della sua costituzione a ora più di 35.000 studenti delle regioni Lazio, Umbria e Abruzzo hanno potuto familiarizzarsi con la Dichiarazione Universale e i suoi 30 diritti.
“Nelle conferenze che teniamo ai ragazzi” dice Maria Elena “puntiamo a responsabilizzare i ragazzi, ma senza la conoscenza non ci può essere responsabilità perché non ci si può prendere responsabilità di ciò che non si conosce. Così, prima facciamo conoscere i diritti umani facendo loro vedere come essi siano la base del civile convivere, facendo molti esempi e facendoli elaborare a loro.  Dopo che li hanno compresi, chiediamo loro di prendersi responsabilità sottoscrivendo un impegno morale a osservarli e a farli conoscere ad altri. Questo amplia il loro punto di vista. È un tipo di educazione positiva, cioè che si focalizza su che cosa possono fare, non su che cosa non devono fare. È la base sulla quale costruire il vivere civile.”
Quali strumenti didattici usate per sensibilizzare i ragazzi?
“Sono tre precisi strumenti, davvero insostituibili” continua Maria Elena, “Il primo è un documentario su DVD della durata di 10 minuti che illustra come i diritti umani si sono evoluti dal sesto secolo a.c. fino al 1948, quando l’ONU promulgò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il secondo strumento s’intitola “Che cosa sono i diritti umani?” e consiste di 30 annunci video di un minuto ciascuno che illustrano ogni singolo punto della Dichiarazione Universale. Il terzo è un breve video musicale molto emozionante ed efficace per far riflettere i ragazzi sulla prepotenza e il bullismo. Tutti questi materiali sono stati prodotti da “Gioventù per i Diritti Umani Internazionale”, un’associazione senza scopo di lucro che ha sede a Los Angeles e che ha attivisti in più di 150 paesi. 
Quali sono i risultati che avete ottenuto?
“Sicuramente una più elevata consapevolezza sui diritti umani da parte dei ragazzi e poi maggior rispetto per se stessi e gli altri. Questi risultati sono documentati anche tramite le risposte che danno a tre domande che ogni volta chiediamo alla fine della conferenza.
Ad esempio, dopo una conferenza tenuta a 150 alunni delle classi III, IV e V di una scuola elementare di Roma, alla domanda che ‘Che cosa hai imparato?’ tutti hanno dato risposte come queste:
- Ho imparato a rispettare i diritti perché ognuno ha la sua dignità.
- A non litigare con gli altri e aiutarli quando hanno un problema.
- Ho imparato a rispettare e a non avere paura di ciò che mi circonda e mi servirà ad essere una persona felice e leale con tutti.
Dopo un’altra tenuta a 70 studenti della prima classe di un istituto superiore del Lazio, alla domanda ‘Quello che hai appreso pensi di poterlo applicare nella vita, e come?’ hanno risposto più o meno tutti in questo modo:
- Sì, potrò applicarlo per esempio non scaricando più le canzoni e i video illegalmente e fare di tutto per rispettare le persone.
- Sì, penso di poterlo fare aiutando le persone e rispettandole.
- Posso iniziare con il rispetto verso i miei compagni.”

Insegnare i diritti umani ai ragazzi in età scolare aiuta il loro processo di riflessione e auto-critica, di analisi dei loro comportamenti e atteggiamenti verso gli altri. Li mette a confronto con valori e temi universali quali l’affinità verso gli altri, il rispetto, l’uguaglianza, la discriminazione, la libertà e credo che prima lo si faccia, meglio sia. 
Far conoscere i diritti umani ai ragazzi in età scolastica può aiutare a formare una generazione più sensibile, più civile e rispettosa, ma non per paura, bensì per empatia verso gli altri. 
È questo ciò di cui questa società e il suo futuro hanno bisogno.

* Corrispondente Italiano Rivista Freedom

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