28 marzo 2017

Il sistema elettorale è democratico?


di Andrea Valgoi
C’è qualcosa che non va nella democrazia occidentale: minor afflusso alle urne, scarsa partecipazione e interesse in generale, sfiducia nel sistema, sviluppo di movimenti populisti. Questi sono solo alcuni dei sintomi della “malattia” che ha colpito la maggior parte delle democrazie occidentali. 
Se chiediamo alle persone di tutto il mondo, dall’America, all’Australia, dal Medio Oriente al Giappone quale sia la forma di governo migliore affinché sia il popolo ad avere la sovranità, la risposta, magari con qualche pausa di riflessione, sarà certamente la democrazia. Se chiediamo alle stesse persone se abbiamo fiducia o meno dei propri governanti e rappresentanti politici, la risposta sarà un netto no, senza pause di riflessione. Per fare un esempio, i partiti politici, espressione fondamentale della democrazia, sono considerati dagli italiani, l’emblema della corruzione. Questo dato emerge dal Global Corruption Barometer.
Secondo il politologo e scrittore David Van Reybrouch, autore del testo “Against Elections: The case for democracy”, il problema è l’equivalenza che si è andata creando nel tempo di democrazia = elezioni. Se guardiamo attentamente, questo errore viene commesso anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nella quale per il solo articolo 21, relativo al diritto di partecipare direttamente o indirettamente al governo del proprio paese, la carta indica anche lo strumento per raggiungere questo diritto, ovvero le elezioni.
“La volontà popolare è il fondamento dell'autorità del governo; tale volontà deve essere espressa attraverso periodiche e veritiere elezioni, effettuate a suffragio universale ed eguale, e a voto segreto, o secondo una procedura equivalente di libera votazione”.
Se è vero che le elezioni hanno avuto un ruolo storico fondamentale, è anche vero che oggi come oggi portano con sé gravi contraddizioni. Nonostante si vada alle urne indicativamente ogni 3-5 anni, i governanti di tutte le democrazie occidentali sono costantemente in clima elettorale: promesse e ancora promesse, sondaggi e strumentalizzazioni sono il modo in cui vengono spese gran parte delle energie. Impegni di lungo termine sono sconvenienti perché non portano consensi oggi e qui. La stampa preferisce notizie ad effetto, esacerbando i toni, piuttosto che dare spazio ad iniziative popolari considerate “noiose” che non venderebbero.
La soluzione che propone David Van Reybrouch è un adattamento moderno a soluzioni già testate in diverse società di successo, quella dell’antica Grecia, quella fiorentina e quella veneziana: il sorteggio.
Può sembrare assurdo, tuttavia non esiste sistema democratico migliore. David Van Reybrouch immagina un sistema composto da diversi organi: uno dedicato solo alla scelta dell’agenda politica, uno, formato da tanti piccoli gruppi di interessi, dedicato alle proposte di legge (che saranno per natura di parte o lobbiste), uno dedicato alla formalizzazione delle proposte e uno legislativo. Ad eccezione dei gruppi di interesse, formati per libera associazione, tutti gli altri avrebbero membri eletti a sorte in funzione di regole di campionamento rappresentative. L’aspetto a mio avviso più interessante è il funzionamento che l’autore descrive dell’organo legislativo, ovvero quello che ha il potere di votare le leggi (ma non di proporle o scriverle): i cittadini scelti a sorte si riuniscono per un tempo limitato, e ascoltando le varie presentazioni delle proposte di legge, votano quella che per loro coscienza è la migliore. Il campione “legislativo” cambia ad ogni proposta di legge: in questo modo si elimina la differenza tra governanti e governati.

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