12 novembre 2016

IL PROFITTO AL TEMPO DEI ROBOT


di Antonio Saccà
Ormai esiste antagonismo tra capitalismo nazionalista e capitalismo internazionalista, è palese. Dapprima le varie consultazioni europee, tutte favorevoli alla difesa nazionale, specie con riguardo agli immigrati; ora le consultazioni negli Stati Uniti, che assumono una clamorosità mondiale, e, come si dice spesso, “storica”. Assistiamo, al dunque, a palesi tentativi ed ora al massimo tentativo di venir fuori dal capitalismo internazionalista e di (ri)fondare un capitalismo nazionalista, e proprio dalla più potente nazione del mondo, il che è di una paradossalità che avrebbe dell'assurdo, ed invece è spiegabilissima. Lasciamo i clamori dell'informazione che finge di scoprire adesso le finalità del nuovo Presidente americano. Donald Trump vuole (ri)fondare un capitalismo nazionalista, un capitalismo che tutela gli Stati Uniti, in specie ceto medio e proletariato.
Molti si accorgono adesso che gli Stati Uniti non hanno risolto la crisi, come si proclamava, anzi ceti medi e proletariato stanno male, e chi sta bene sono i ricchi e gli arricchiti, i conduttori del capitalismo internazionalista, gruppi finanziari e grandi imprese che siano, i quali saccheggiano il risparmio, investono dove conviene al profitto, usano gli immigrati a basso costo, al dunque: sono internazionalisti, se il loro paese perisce perché essi hanno profitto altrove o impiegano stranieri, non se ne curano. In aggiunta, questo tipo di capitalismo internazionalista, appunto in quanto internazionalista, tenta il dominio mondiale, con imprese e spese militari abnormi che ricadono sui cittadini. A tal punto la faccenda inizia a complicarsi. Può accadere una situazione contraria alla tesi dell'economia classica, la quale dava per certo che il profitto dell'impresa costituiva beneficio per la società. Possiamo avere profitto dell'impresa e male della società. Come? Ad esempio producendo all'estero o impiegando immigrati. È quello che accade, non soltanto negli Stati Uniti, ma in tutto il sistema del capitalismo internazionalista, esaltatore di scambi, trattati, libertà di merci, capitali, persone... Magnifico, per il capitale, e non sempre e non tutto, pernicioso per la gente, dal piccolo imprenditore all'operaio, nazionali. Da ciò una opposizione virulenta. Innanzi tutto avverso gli immigrati, in secondo luogo contro quei paesi che producono a basso costo ed attirano capitali e, peggio, inondano di merci concorrenziali. Al dunque, abbiamo l'avvento di un capitalismo nazionalista: fare il bene del proprio paese, tutelarlo. Come? Limitando le immigrazioni, erigendo frontiere doganali sulle merci straniere. L'attenuazione delle tassazioni è un luogo ricorrente. Come l'aiuto alle piccole imprese, la salvezza di imprese in crisi... Gli interrogativi problematici insorgono. Il grande capitale, “abituato” ad investire all'estero ed importare, a impiegare stranieri a minor salario, come reagirà? Di sicuro i lavoratori nazionali, senza o con minor presenza straniera, vorranno maggiori salario, i costi di produzione cresceranno, e come si resta competitivi? Inoltre, se le barriere doganali bloccheranno le merci prodotte all'estero anche con capitali “nostri”, per questi ultimi sarebbe la dissoluzione. Se d'altro canto producessero all'interno, la domanda interna basterebbe ad assorbire la produzione? E poi, immaginiamo che la Cina si veda tassate le sue esportazioni negli Stati Uniti, che avverrà in Cina? E se la Cina va in difficoltà non trascinerà il mondo? Ma tutto questo è poca cosa rispetto all'evento mastodontico che è oggi, e specialmente sarà domani cagione di uno scombussolamento micidiale, l'economia senza lavoratori! Possiamo erigere barriere doganali, possiamo limitare le immigrazioni, ma non possiamo arrestare le tecnologie eliminatrici del lavoro. È fin troppo facile credere di risolvere la crisi odierna con barriere doganali e limitazione di immigrati. Sono i rimedi momentanei. Il punto essenziale è che il lavoro scema per le nuove tecnologie, il che esige una revisione del capitalismo, ben al di là di barriere doganali o umane, che, tuttavia, segnalano un malessere cruciale: il profitto come scopo assoluto è antisociale, insostenibile, non crea occupazione, se mai sottoccupazione. In ogni caso, non bastano le barriere, occorre ridiscutere il profitto al tempo dei Robot. Se questa diagnosi non avverrà ci troveremo un mondo spezzato in forze antagoniste, un nazionalismo esacerbato, un “si salvi chi può”, a qualsiasi costo. Indubbiamente in tal modo vi sarà il dominio degli Stati più forti o dello Stato più forte, ma le macerie saranno alte almeno quanto la potenza che vincerà, per modo di dire. Non c'è dubbio che tanto il capitalismo internazionalista del profitto ovunque, anche impoverendo il proprio o gli altrui paesi è rovinoso. Non c'è dubbio che i popoli alzano barricate di protezione contro gli immigrati e le merci straniere competitive perché prodotte da lavoratoti poco pagati, e persino con i capitali di chi li importa. Ma, come accennato, queste barriere susciterebbero crisi enormi, e soprattutto non eliminerebbero il rovello interno ai sistemi produttivi, le tecnologie disoccupatrici, contro le quali le barriere esterne non possono alcunché. Allora, ripeto, occorre rivedere il sistema produttivo e vagliare se non sia il caso che l'economia al tempo dei Robot faccia dell'occupazione non del profitto il suo scopo, non senza profitto, ma un profitto compatibile con “l'occupazione al tempo dei Robot”. Occupazione che non può essere difesa come avveniva prima dei Robot: barriere di vario tipo. Se il problema è interno non valgono le difese esterne.
Ma oltre l'ipotesi di uno scontro di nazionalismi, vi è un'ipotesi molto più ottimistica, non dell'ottimismo illusorio che ha coperto il malessere odierno, ma un realistico svolgimento positivo. Vediamolo. Gli Stati Uniti rinunciamo alle enormi spese per avere sotto controllo il pianeta e accettano un pluralismo di aree di influenza. Non osteggiano la Russia, consentendole sicurezza con l'Ucraina e la Siria. La Russia, non sentendosi accerchiata, a torto o a ragione, ristabilisca rapporti commerciali con l'Europa. La NATO non tema la Russia, a sua volta rassicurata. Gli Stati Uniti, senza la spesa militare esorbitante, volgono il denaro a migliorare i salari, oltretutto anche per la migrazione controllata dalla parte poco pulita, i salari aumentati accrescono e la domanda interna salvando il profitto, che in ogni caso deve decrescere, si ricostruisce il ceto medio e il benessere degli operai, la Cina, anch'essa , favorisca il mercato interno non solo l'esportazione competitiva, lo stesso la Germania, l'immigrazione sia compatibile e non un modo per affliggere i salari nazionali o per fini illegali. Ovviamente gli investimenti nei paesi poveri continuino in modo però che non impoveriscano i cittadini dei paesi benestanti... Tutto questo all'ombra della rivoluzione tecnologica. Se queste armonizzazioni non avverranno, e soprattutto la pace che è a fondamento di esse, davvero rischiamo una lotta tra nazionalismi di pari danno della lotta dell'internazionalismo antinazionale. Aver la chiarezza degli scopi evita errori, e gli errori sono l'internazionalismo antinazionale, oggi, il nazionalismo contro nazionalismo, un domani. Se usiamo l'enorme potenza dei mezzi tecnici a vantaggio di tutti, persino i Robot serviranno. Purché si voglia il vantaggio di tutti. Ottimismo? No. Volontà buona. Chi avrebbe risultati dai conflitti?

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