15 settembre 2016

SOCIOLOGIA DELLA CRISI E DELL'ANTICRISI

Il contenuto degli articoli dei collaboratori, esprimono il pensiero degli autori e non necessariamente rappresentano la linea editoriale che rimane autonoma e indipendente.

di Antonio Saccà

Talvolta, sentendo la tragica, incomprensibile situazione in cui, senza ragione e volontà, siamo inabissati in questo microbo del Cosmo che è la Terra, viene da abbracciare tutti, carnefici e vittime, in una espansione di angoscia onnicomprendente o di uccidere, uccidersi, impazzire, pur di non fingersi che vi sia un millesimo di sensatezza in questa assurdità a fondo perduto che è la vita. E la presenza dell'esistente. E, oggi, pure la Società, così com'è ridotta, come l'abbiamo ridotta.
Anonimo contemporaneo   

Notazioni tematiche
Due sono i temi dominanti oggi, la situazione economica, l'immigrazione. Vediamoli entrambi. 

Economia: una premessa
La situazione economica è disastrosa, nel mondo e per i singoli. Letteralmente, giriamo a vuoto. Non traiamo alcun utile.  Alcuni, pochi, tirano sangue dai molti. La redistribuzione non basta. Occorre un diverso criterio di valutazione all'origine del sistema produttivo. Questo può accadere o con la forza dello Stato o , molto meglio, con una economia che in partenza stabilisca retribuzioni, profitti, tassazioni, pensioni, in modo che non vi siano sproporzioni. A tal fine occorre un potere popolare. Ossia, lo Stato deve appoggiarsi al potere popolare. Meglio, il potere popolare deve gestire l'economia. Se non la gestisce la distribuzione non ha forza. Non redistribuzione ma gestione. 

Immigrazione e morale: una premessa
La storia dei popoli può fondarsi sulla prevalenza del loro spirito umanitario?
Se un popolo fa della compassione il termine essenziale della maniera di esistere avremmo avuto civiltà di ospizi?
Ciascuno, singolo o popolo, agisca a sua volontà, se può, consideri, però, gli effetti probabili dei suoi atti.
Un individuo può impietosirsi di un altro individuo, ma un popolo di un popolo?
È disumano spesso difendersi, ma altrettanto disumano non difendersi.
La carità può essere nemica della civiltà. La civiltà senza carità è bestialità. Allora? È così. Non c'è soluzione.
Esclusivamente il “Santo” ha diritto di pronunciare la parola “compassione”, per gli altri è una emissione di fiato.
Prendessimo sul serio il termine “pietà” lo useremmo meno e non ce ne faremmo un ammanto verboso.
La pietà è altamente morale. E può rovinare una civiltà.
Moltissimi proclamano spesso la parola pietà perché lo sono esclusivamente nella parola.
Meglio impietosi che falsamente pietosi.
Che civiltà vogliamo erigere? Secondo la civiltà paghiamo un costo diverso. Ed è impossibile non pagarlo per giungere alla meta.
L'immigrazione è posta tra la pietà e la tutela della nostra civiltà.
Perché ingannarci, addirittura mentire: l'immigrazione in quantità supreme può degradare noi e gli stessi immigrati!
L'immigrazione non è solo un fenomeno sociale ed economico, è un mutamento di valori.

Immigrazione ed economia
Discorso di uno straniero immigrato clandestino a me italiano.
“Siete pazzi, voi italiani, il popolo pazzo, in tutto il mondo non esiste un popolo pazzo come voi e quanto voi. E sapete perché siete pazzi? Perché vi credete buoni o scaltri. E siete pazzi come buoni e come scaltri. Vuole sapere perché? Mi ascolti qualche minuto. E non mi interrompa. Alla fine dirà quel che le pare. Dunque. Noi veniamo a fiumi, da ogni vostro lato. Siete una pentola bucata. Non c'è Paese dove entriamo tanto facilmente come l'Italia. Da ultimo avete inventato di prenderci, addirittura. Non solo veniamo ma ci venite a prendere, ci venite a “salvare”. Bravi, bravissimi, buoni, buonissimi; ma dovete decidervi: come fate a dare una regola ai nostri sbarchi se appena a conoscenza dei nostri barconi correte ad accoglierci tutti? Non vi capisco. Lo fate perché siete buoni, per i diritti umani (sorriso amaro e disgustato dello straniero, nota mia)? Tra poco ne parlerò, di questa leggenda. Lo fate. Senza limiti. Un colabrodo contento di essere un colabrodo. E noi veniamo, corriamo, ammassati a centinaia di migliaia, da quasi tutta l'Africa, e dobbiamo pagare per essere da voi, molto, e poi, poi, ecco, voi non sapete o fingete di non sapere, i più non sanno, ma quelli che sanno lo sanno benissimo: siamo bestie da fatica, da voi siamo usati come bestie, subito, molti conoscono già la loro destinazione, un vero e proprio spaccio di schiavi, un giro enorme di denaro nascosto, di gente nascosta, di lavoro nascosto, c'è il reparto malavita, il reparto prostitute, il reparto lavoro dei campi, il reparto muratori, il reparto venditori ambulanti, nessuno o quasi nessuno secondo legge. Secondo legge. Secondo legge! Mi fate ridere (ride divertito, nota mia). Secondo legge in Italia c'è solo il malaffare, la legge del malaffare. Secondo legge in Italia non conosco niente e nessuno. Camerieri senza contratto, muratori senza legalità, raccoglitori furtivi, puttane sotto magnaccia, affitti silenziosi, spacciatori alla luce del sole, e metta chi vuole, non un grammo di legalità. Mi dica lei, chi paga le tasse in questo Paese, il vostro? Noi, mai. Voi, neanche, dico quelli che ci divorano. Bello, vero?! Magnifico. Non paghiamo tasse noi e neppure quelli che ci rodono! Magnifico. Ecco come un Paese si rovina. Perché le tasse le pagate voi (mi indica con il dito, nota mia), la gente con un impiego, una o due casette, una pensione. Voi (mi indica ancora, nota mia) non potete sfuggire, invece noi siamo invisibili, noi e i nostri padroni, li chiamo così perché lo sono veramente. Sia coloro che ci a amministrano sia coloro che ci danno lavoro. E dico poco. La maggior parte del denaro lo inviamo ai nostri disgraziatissimi parenti che crepano nei luoghi che abbiamo lasciato, madre, fratelli, anziani, e tutti quelli che consideriamo di famiglia (ha un momento di commozione, nota mia). Questo un primo risultato della vostra bontà o della vostra astuzia, o di entrambe: arricchiamo mascalzoni che non pagano tasse, noi non paghiamo tasse, voi pagate più tasse per rimediare la voragine di chi non le paga”.
                             
Continuazione del discorso dello straniero
A questo punto lo straniero cominciò a squassarsi da un movimento che non capivo se di pianto o di risate, si copriva il volto e respirava a scosse. Restai a guardarlo, a momenti credevo ridesse, a momenti mi sembrava che piangesse. Rideva! Ma come se piangesse... dal ridere. Continuò, ridacchiando: “Noi siamo come i gatti. Quanto figliano, le gatte? Cinque, otto, dieci gattolini(!), noi lo stesso in proporzione a voi. Per un vostro gattino noi ne mettiamo in vita almeno tre o quattro. Mi dica lei (e mi dirizzò l'indice, nota mia) che ne sarà di voi tra dieci, quindici, vent'anni!” (si fermò di nuovo, squassato dalle risate, nota mia). “Mi dica se esiste un Paese così pazzo da mettersi in casa gente che non paga tasse e che genera assai più figli degli abitanti del luogo?!”. Di colpo, iniziò a tossire per quanto rideva, sghignazzava, addirittura. “E poi, poi, ah, ah, ecco, poi, la salute, i medicinali, gli ospedali, incredibile, facciamo figli pagati da voi, e così un giorno avanzeremo di quantità a spese vostre! Ma c'è popolo più... più... no, impossibile, dico io, incredibile, ci pagate per farvi sorpassare...E ci riuscirete, bravi, benissimo, dieci, vent'anni, e dovete fare i conti con noi per governare... E se qualcuno sogna che saremo riguardosi, da pari a pari, sogna proprio, non si è mai vista una faccenda del genere, quando avremo un numero sufficiente vi imporremo le nostre condizioni, è normale, la cosa più sicura, non riuscirete a controllarci, o con le buone o con le cattive vi sostituiremo, spartiremo la vostra società.  Bene, dice il solito buono: questo deve essere, siamo tutti uomini! Il più imbecille degli imbecilli è chi crede all'uguaglianza e alla riconoscenza. Se saremo i più forti agiremo da più forti. Solo dementi possono credere alla bontà del povero che riesce a dominare. Non vi domineremo? Illusi! Continuate a prenderci e a non fare figli, e ve ne accorgerete!”.
Tacque. Non so se riteneva io volessi parlare. Non parlai. Mi interessava molto ascoltare. E continuò. “Non meno pazzi sono i cattivi, quelli che credono di succhiarci il sangue. Noi fatichiamo, ci spezziamo le ossa, dobbiamo ripagare i traghettatori, stiamo in dieci in una stanza, intanto sopravviviamo, figliamo, chiamiamo i parenti, gli amici, qualcuno studia o fa studiare i figli, qualcuno mette bottega, con amici e parenti paga quasi niente salari, gli orari non esistono, capite o no che vi diamo guerra in casa vostra e voi ce la consentite! E questo, perché? Perché credete che vi facciamo risparmiare nelle nostre botteghe o che trovate lavoratori a minor costo. Questo il grande scopo della vostra bontà e della vostra astuzia. Vi mangeremo crudi. Se credete di salvare la vostra economia sfruttando noi siete incoscienti, se credete di salvare la vostra economia trattando con parità noi siete incoscienti lo stesso. Nessun paese è salvato da stranieri che generano di più. Fate figli, pazzi! E soprattutto, mettete in regola ogni straniero e garantitegli i diritti: non ne verranno che meno della metà perché non li prenderà nessuno. Li prendono in quanto fuorilegge. Ma in un modo o nell'altro vi rovineremo”.

Ancora il portentoso discorso dello straniero
Tacque di nuovo, e si carezzava nervosamente i nerissimi capelli. Sentii che preparava qualche considerazione peggiore delle precedenti. Poi, calmissimo, come parlando a se stesso, disse: “Che vantaggio arrechiamo alla vostra società? Non lo so. Certo, lavoriamo, certo, produciamo, di sicuro, riempiamo le vostre mancanze di figli, forse i nostri figli e i figli dei nostri figli si considereranno italiani, o tedeschi, o spagnoli, negli Stati Uniti avviene, dicono che avviene, non lo so, dicono, ma quello è un gran Paese, un Paese grande, e il potere è in mani precise, non le nostre, no, mani implacabili, i vostri sono paesi fragili, se accresciamo di numero , non so, non so, io mi preoccuperei, fossi italiano, credete di averci a poco prezzo, è il risultato della vostra bontà o della vostra astuzia, ma, alla conclusione, se ci moltiplichiamo come sta avvenendo, altro che il piacere che riempiamo le vostre penurie di figli, le vostre pensioni, qualcuno lo suppone, vi procureremo, no, vi sostituiremo, non sarete in condizione di governarci. Va bene, contenti, avete raggiunto la fratellanza universale! Siete degli...”. Disse vari termini che non riferisco in quanto immaginabili e comprensibili. Poi, di colpo: “Ma forse vi salveremo noi, noi stranieri vi salveremo dagli stranieri prepotenti per salvare noi stessi da costoro. Sul vostro territorio, e non solo sul vostro, la lotta sarà questa: stranieri ormai padroni del Paese verso stranieri che vogliono impossessarsene!”. Ricominciò a sghignazzare così irrefrenabilmente che temetti per la sua salute. Scherzava? Fantasticava? Diceva sul serio? Parlicchiava toccandosi le dita quasi a numerare: “Non paghiamo tasse, uno, utilizziamo le protezioni sociali, due, non pagano le tasse quelli che ci fanno lavorare, tre, mandiamo il denaro fuori, quattro, facciamo figli a palate, cinque, loro  pagano tasse e non fanno figli, sei, mandiamo a studiare i nostri figli, sette, mettiamo bottega a basso prezzo di lavoro tra noi, otto, prima o dopo l'avremo vinta, nove,  sono pazzi, pazzi e...”. Riprese a dire parole che non dico, ma chiunque le immagina.

Considerazioni su quanto detto dallo straniero
Nel suo parlare, io pensavo. Se uno straniero faceva quelle considerazioni contro di noi, mi pareva ridicolo giustificare noi perché “buoni”, “umani”, “accoglienti”, egli mostrava a che si riduceva effettivamente l'immigrazione, una lurida faccenda di sfruttamento, da parte nostra; una incupita volontà di futuro dominio, da parte loro. E il dominio, era manifesto, sarebbe accaduto con la forza micidiale dei numeri.
 Ricordandomi di essere stato docente di sociologia, me ne davo una interpretazione, orribile: noi “volevamo” stranieri e che figliassero loro nel disperato e fallimentare scopo di avere lavoratori a basso costo per ottenere il mitico profitto. Era il modo di un inetto capitalismo di salvarsi: importare lavoratori, perfino i loro figli, a basso costo, presente e futuro. Proprio in quei giorni in cui ascoltavo l'immigrato, negli Stati Uniti si valutava la regolarizzazione, come si dice, di milioni e milioni di lavoratori stranieri che venivano occupati in maniera impropria. Insomma, una tendenza mondiale: ricorrere agli stranieri per scemare il costo del lavoro e restaurare il profitto. Mi dicevo: vero, ma in ogni caso queste povere, misere, sofferenti popolazioni hanno un minimo salario, riescono a sopravvivere. Indirettamente, perseguendo lo sfruttamento, facciamo del bene. Rispondevo: ma se tutto ciò serve ad avvilire la nostra popolazione, ad avere in casa milioni e milioni di stranieri che, lo dice il mio dialogante, un giorno ci metteranno alle strette?! In fondo, continuavo in me stesso, quello che accade è l'arricchimento dei ricchi che abbassano i salari, l'impoverimento della massa sociale per la presenza di gente che si offre a poco e fa concorrenza ai lavoratori nazionali. Per questo siamo accoglienti!

Lo straniero ricomincia l’analisi dell’immigrazione
“Ha capito?”. Udii la domanda, era il mio interlocutore che me la faceva. “Sì, ho capito”. “Salvare il profitto in questa forma rovina la società!”. “Vero, ci rovineremo”. “Vogliono tornare ai primi anni del capitalismo, salari di fame e lavoratori allo sbaraglio. Sa che c'è di comico in tutto questo? “. “Me lo dica”.
Che proprio quelli che urlano “accoglienza”, “umanità” favoriscono l'immiserimento”. Ricominciò a sghignazzare tanto che il colloquio finì. 
 L'incontrai giorni successivi. Mi fece una proposta, che io fingessi di dargli lavoro, lui avrebbe pagato le contribuzioni, io non lo avrei retribuito fingendo di retribuirlo, egli avrebbe ottenuto il permesso di soggiorno, desideratissimo, così poteva entrare ed uscire dal nostro Paese. Disse che innumerevoli agivano in tal modo, che vi erano organizzazioni a tale scopo, era proprio ostinato a darmi a intendere che da noi di legale c'è soltanto la illegalità e guai a chi è voleva rispettare la legge. “Se vuole capire l'immigrazione deve tenere conto della fame, delle guerre, ma non trascuri la delinquenza, lei deve combinare l'immigrazione anche al lavoro fuorilegge, a gente disposta ad ogni delitto... Gli dissi che esistevano tanti immigrati brave persone, laboriose, amiche, i cui figli sarebbero stati corretti membri e cittadini dell'Italia. Gli venne un attacco, non saprei come definirlo, se non epilettico, non epilessia, il male oscuro, ma scuotimenti, strabuzzamento di occhi, cercava di parlare, coglievo a frasi mozze... “Pazzi, non capite... tutto il contrario… perderete”. Quando riuscì a contenersi mi precisò: nessun popolo è salvato e tutelato da altri popoli, e poiché, ne era ossessionato, noi non generiamo saranno i bravi individui, gli integrati che ci sovrasteranno lentamente, serenamente, senza che ce ne accorgiamo. Così mi disse. Dovevamo ad un capitalismo infame, che pur di ottenere e restaurare il profitto dilatava l'ingresso ai morti di fame per abbassare il costo del lavoro? Gli feci la domanda. Si animò e mi batteva la mano sul braccio, guardandomi sorridente. Ma se avevo ragione eravamo davvero alla catastrofe! Se il capitalismo ha voglia di rifarsi il profitto anche con miriadi di poveracci da mal pagare come contrastare l'immigrazione?! Mi abbracciò. E capii il suo livore contro l'immigrazione. Quella immigrazione rovinava loro non meno che noi e un domani avrebbe suscitato una guerra generale, tra immigrati riusciti e miseri, tra italiani e immigrati, tra italiani. “Se non cambiate questo capitalismo siamo tutti alla rovina!”. Dunque prendersela soltanto con l'immigrazione e non con il sistema che la determina è un falso bersaglio? Mi batté le mani!  
L'incontro successivo, l'ultimo, credevo, se avverranno incontri futuri esuleranno da quanto scrivo adesso, fu stupefacente, ne dico per segnare che ormai siamo nel delirio, a meno che il delirio non sia veggenza. Ne riferisco le parole: “Ma dico io, insomma, perché non consegnate le vostre società a noi!? Avremmo individui che lavorerebbero notte e giorno, una disciplina con sostegno religioso, salari di sostentamento, proteste, mai, lasceremmo in una accettabile povertà i lavoratori, altro che stato sociale e benessere, e non avendo mai avuto né l'uno né l'altro, non li rimpiegherebbero. Vuol capire perché voi non avete futuro? Glielo spiego? Non se ne avvede? Perché avete un buon passato! Riadattarvi al peggio sarà un dramma se non tragico. Fatevi dirigere da noi, si convinca”. Celiava? Forse. O no?
Una “scoperta” di politica sociale
Sbagliavo, l'incontrai nuovamente. E il discorso che mi fece lo trascrivo, considerandolo necessario per capire questo clamoroso evento dell'invasione. Mi disse: “Sa che potrà avvenire? Glielo dico: un falso bersaglio! Mi spiego. Voi accuserete noi e invece dovreste accusare i Signori di casa vostra. Se ci danno lavoro fuorilegge, se ci fanno abitare nelle vostre case, se ci fanno liberi dopo furti o altro, pensi lei, è colpa vostra o nostra? Se ci fanno entrare e poi ci lasciano crepare? Se ci usano per tutto un mondo irregolare, la colpa di chi è? Ma ci renderanno malvagi, disonesti, rubatori, sporchi, usurpatori ai vostri occhi e voi crederete che le vostre miserie provengono da noi, ci faremo guerra e non faremo guerra a chi ci riduce come siamo, noi e voi! Non dobbiamo cadere nell'inganno. E invece, cadiamo. Invece della guerra comune contro i Signori la guerra tra poveracci. Capisco, capisco, non c'è bisogno che mi guardi come se io volessi cambiare opinione e farmi difensore dei miei... No. Lei comprende. Dico che usano la nostra povertà per renderci sottomessi a ogni lavoro, onesto e disonesto, e per farci responsabili della vostra povertà, diverremo, lo siamo già, un bersaglio per la vostra scontentezza... e il poveraccio vostro si monterà la cresta per avere sotto mano uno da colpire, invece di attaccare chi ci divora tutti... sì, rubiamo, siamo sporchi, violenti, senza legge, molti di noi, ci dovreste cacciare, ma ci tengono per offrirvi un bersaglio, e voi ci cascate...Ma prendetevela con chi vi sta rovinando, vi sta rovinando. E non siamo noi, non siamo noi...”.

Gli effetti interpretativi del colloquio sull'immigrazione
Il colloquio con lo straniero ebbe l'effetto che può avere la lettura di un testo che svolge argomenti commisti di politica sociale, morale, economia. Non c'è dubbio, a considerare la sorte di ciascuno e di tutti, insorge una compassione universale e ogni durezza, ogni condanna spariscono, vorremmo far poggiare la fronte sul nostro petto all'intera umanità o poggiarla noi, stanchi di giudicare, di opporci, di cercare, di preferire, di approvare e negare, ma subito ci rendiamo conto che in tal modo preciperemmo ancora di più nella miserabilità dell'esistenza, e accogliere  tutti non distinguendo e non rispettando un criterio di qualità ci degenererebbe, sprofondandoci. Dobbiamo strapparci dalle carni la compassione universale, considerare che ne verrebbe, non tutto ciò che vive merita riguardo, né bisogna perdonare proprio tutti, né considerare uguali tutti gli uomini, né avere compassione e amore solo per il “debole”. Occorre ammirare e tutelare anche la superiorità, coltivarla con cura, non farle pagare il pregio del suo valore. Ma sono parole. Il “debole” non ha di certo gli scrupoli morali che l'uomo che vale  si pone nei confronti del “debole”. Era questo il significato ultimo di quanto avevo ascoltato o qualcosa di peggiore: che pochi uomini vogliono immiserire e mettere contro innumerevoli uomini tra di loro per dominarli e spostare il bersaglio, quasi che il povero fosse la rovina del povero? Un falso bersaglio?
            
Il falso bersaglio
Quando taluni partiti, italiani ed europei, cercando una loro individuazione su problemi effettivi, ritengono che la immigrazione clandestina sia il male da combattere e salvati da essa risaneremmo le nostre società, commettono uno sbaglio dimostrativo di una politica che vive di momentaneità e inidonea ad una visione prospettica. Scrivevo nel mio libro: “Europa o morte”, 2002, Dino Editore, che ci debiliterà l'immigrazione regolare, per una ragione semplicissima, è di gran lunga la più numerosa e prolifica di conseguenza. Saranno la demografia, la natalità, a condizionarci. Invece di creare agitazioni certo suscitatrici di consenso facilitato ma irrisorio sarebbe opportuna l'indicazione di una politica per le nostre famiglie, per la casa, per gli asili; ma ciò susciterebbe meno rumore e suggestione elettorale. Se noi non facciamo figli l'immigrazione sarà irrimediabile, e che sia regolare o meno, cambierà la nostra composizione. Almeno esserne coscienti. Bisogna spingersi ad una intensissima politica della natalità nazionale, case, sussidi, asili nido, costo degli alimenti e degli indumenti. Una scarpetta per un bambino la si paga quanto una scarpa di media qualità per adulto. Insomma, una politica totale per le nascite. Di tutti, intendiamoci. Ma soprattutto ed anche le nostre!
Ma restiamo ancora alla superficie del fenomeno “immigrazione”. La “grande povertà” si è mossa e sta inondando il pianeta del benessere. Invece di restare a morire di fame, guerre e malattie il pianeta dei poveri si inoltra, invade, fugge, perisce, tenta, osa, noi, callidissimi, riteniamo di avvantaggiarci di queste esplosioni, e sotto ammanto di accoglienza, diritti umani, fraternità, uguaglianza cerchiamo di restaurare la schiavitù a casa nostra. Venite, venite, vi daremo un lavoro fuorilegge, diverrete manovalanza del crimine, sarete occupati in nero si che non pagherete tasse e non le pagherà chi vi impiega, usufruirete delle protezioni sanitarie, vi metteremo in prima fila agli asili nido, vi moltiplicherete mentre noi ci denatalizziamo, eventualmente andrete in galera a nostre spese, metterete su negozietti dove tutto sarà irregolare ma consentito, faticherete dall'alba alla notte, cinque, otto in una stanza, quel che guadagnerete lo spedirete ai parenti miserissimi, risarcirete con il vostro sangue il costo dei trasportatori, ma in questo pandemonio, verniciato di moralità, si instaura nel ventre di ogni paese gente dolentissima, oppressa, irata, avida, pronta a far valere la fatica del viaggio, con uno spirito di impossessamento, di consumo che soltanto chi mentisce finge di non cogliere. La predicazione della teoria del “sono brave persone, non tutti sono delinquenti, vogliono e devono essere trattati come noi, un tempo anche noi siamo stati immigrati, fanno i lavori che noi non facciamo”, è vaniloquio nei possenti ingranaggi della Storia. Alla Storia, al di là delle frasi, interessa che verrà fuori da questo pandemonio, ripeto. Che possa venire un rafforzamento delle nostre civiltà è miraggio. Che un induista, un mussulmano contribuiscano alla “nostra” civiltà è un azzardo da non rischiare. Forse ancora non comprendiamo il senso di rivalsa di questi popoli, di antichissima, antica civiltà, i quali non vivono che per l'occasione della rivalsa. Supporre che, accresciuti di numero, non si faranno valere con prepotenza, se riescono, è trattare la Storia e la vicenda delle masse come le relazioni individuali amichevoli. Se prolificano e noi ci decurtiamo ad ogni generazione, non governeremo gli stranieri. Al di là di ogni vaniloquio, spesso ben intenzionato, il “fatto” demografico è apodittico.
Al dunque, il capitalismo odierno crede di aver trovato la soluzione alla sua crisi e al suo mutamento con lavoratori preferibilmente stranieri, meno esigenti, ricattabili, bisognosissimi, e poiché l'occupazione che non falla è la generica, a parte la qualificatissima, gli stranieri sono acconci. Il “sistema” si è inventata la soluzione per la restaurazione o l'accrescimento del profitto, vero incubo del capitalista, disposto a tutto pur di rimpinzarlo. Con gli stranieri il risanamento del capitalismo appare ottenibile. Milioni di persone sottopagate, addirittura a casa del capitalista. Gli Stati Uniti sono esemplari, a proposito.  Con effetti imprevisti o che non si vogliono vedere: la concorrenzialità tra lavoratori stranieri e lavoratori nazionali; l'afflizione di entrambi; l'immigrazione sostitutiva e non soltanto integrativa se gli stranieri generano maggiormente. I “sistemi” produttivi i quali credono di rendersi competitivi anche con l'abbassamento dei salari mediante gli stranieri si troveranno una marea di nuovi nati, e, alla lunga, per la legge dei numeri, se i “sistemi” ritengono di poterli dominare lo potranno esclusivamente con la violenza. Chi crede che sia missione democratica accogliere (e sfruttare, senza dirlo), si dovrà apparecchiare ad essere antidemocratico quando il numero degli stranieri sarà indigeribile e lo sfruttamento insopportabile, specie in tempo di crisi. Anche in tal caso gli Stati Uniti sono sintomatici. Niente da aggiungere, se non questo: un sistema è malato quando si cura in modo da aggravare la malattia. Ritenere di salvarci con stranieri e limiti generalizzati ai salari, resi concorrenziali, è impoverire le società, arricchire pochi, suscitare una massa d'urto che soltanto la violenza riuscirà, se riuscirà, a raffrenare. Gli Stati Democratici si avviano all'Autoritarismo per continuare la farsa delle immigrazioni, a illusori scopi umanitari ma di fatto per salari sminuiti. Con fatica, sacrifici, delinquenzialità, eroismo, prepotenza, rapacità, spirito aggregativo gli stranieri sopravvivranno, avanzeranno, si moltiplicheranno, vorranno potere. Ciascuno giudichi a suo garbo se ritiene opportuno e approvabile tale futuro. C'è da concepire che lo si voglia, tanto è l'entusiasmo dell'accoglienza. Al capitalismo internazionale interessa il lavoratore a basso costo non il lavoratore nazionale e la Nazione. È fatale, dobbiamo ripristinare élite patriottiche, pochi ma scelti difensori della nostra civiltà e dei nostri interessi, tutti possono venire purché non spezzino, disperdano, degradino la nostra civiltà e non trasformino i nostri paesi in mercatini e in un terreno di lotta per la sopravvivenza. C'è il rischio di una immigrazione al ribasso, abbassatrice, l'afflusso dei paria universali, e che vogliamo tali! Non illudiamoci, decadremmo anche noi. Che fare? Figli, nostri. E salvare ad ogni costo le nostre élite. Se vi sono. O ricostruirle. Senza condiscendenza. La qualità è tutto.

La situazione prospettica dell'economia
Non tutto il mondo è un solo paese. Quel che accade in una parte non necessariamente accade altrove. Tuttavia osserviamo un andamento che fa immaginare situazioni non favorevoli all'umanità. Nel momento in cui gli strumenti tecnici crescono la loro efficacia in forme non sospettate dai più fantasticanti utopisti, abbiamo, all'opposto, la catastrofe per masse di cittadini. Qualcosa deve correre per il verso sbagliato se viviamo questa antitesi, che mezzi utili alla produzione, potentissimi, invece di giovare, ci affliggono. Significa che vengono usati in modo storto. Certamente. Invece di servire alla generalità sociale servono al profitto di pochi, i quali usano tali mezzi o per sostituire i lavoratori, licenziarli, o pagarli meno. Si che i lavoratori non traggono vantaggio, tutt'altro. Tali mezzi tecnici consentono, anche, un'offerta planetaria di impiego, con lo spostamento delle imprese dove tassazione e salario scemano, e il profitto avanza. Inoltre, l'abbiamo detto, si cerca di usare immigrati a minor costo. Nell'insieme, tutto questo, se è un tentativo di salvare il profitto, distrugge la società. La prospettiva che molti paesi, emergendo, divengano nuovi mercati verso i quali esportare ha un aspetto contrastato, tali paesi esportano, sovente in modi più che concorrenziali, vittoriosamente competitivi. Come uscire dalla crisi? L'abbiamo visto: con gli immigrati, l'abbassamento del costo del lavoro, la licenziabilità, il rigore, la tassazione, l'economia in nero o persino criminale, le speculazioni, la disoccupazione, la sottoccupazione, il legalismo esasperato o le facilitazioni massime, liquidità a fiumane, inondazione di denaro, acquisto di buoni del tesoro, revisione della distribuzione, ora l'una ora l'altra misura; ma non ne usciamo. Il profitto ormai lo si ottiene contro l'occupazione, con la sottoccupazione, al massimo. Dissolvendo le spese per il sociale, volgendo ogni millesimo al vantaggio del profitto, bancario, speculativo o imprenditoriale che sia. Immigrati, rigore, sottoccupazione, licenziabilità, anche l'economia criminale e la tassazione diseguale ha tale fine: risorgere il profitto. E la domanda? E il consumo? Se milioni brancolano tra povertà, miseria, declassamento, vendono i gioiellini e persino le case, falliscono, chi consuma? Ecco il punto suicida del profitto, per esistere deve uccidere il consumatore ma se uccide il consumatore suicida il profitto. Si vuol salvare un sistema produttivo che è in contraddizione con se stesso. Potenti mezzi produttivi che potrebbero favorire la generalità umana sono coartati al profitto, si che licenziare e sottoccupare divengono essenziali. Ma licenziare e sottoccupare comportano minori consumi. Dunque, minore profitto. Sembrerebbe ragionevole mettersi dalla parte dei consumatori. Non c'è da illudersi. Si tenterà di avere comunque profitto riducendo ulteriormente salari, tutele, accrescendo le tassazioni sui ceti medi e popolari. Finché scorrerà una goccia di sangue verrà azzannata. Oggi fiorisce una nuova invenzione sorta in Giappone e negli Stati Uniti: invece del rigore stampare moneta illimitatamente. Vuoi fare un ponte? Eccoti milioni di dollari. Una strada, ecco milioni di dollari. Ma chi può credere che basti stampare moneta per salvare un sistema economico! È l'illusionismo di chi suppone che con la ritrovata sovranità monetaria e lo sconfinato afflusso di moneta si sciolgano lo sviluppo e l'occupazione. Anche l'Europa pare si stia convertendo a tale illusionismo. Non meno velleitario dell'illusionismo della equa redistribuzione della ricchezza sociale.
Occorrerebbe un potere sostenuto dal popolo, per quanto generico sia il termine, è comprensibile,
che volga i mezzi di produzione, potentissimi, per il vantaggio del... popolo. Al di là delle limitazioni del profitto come scopo decisivo, non mi stancherò di dirlo, e che usa i mezzi di produzione contro l’occupazione, fino ad un limite estremo, quando il lavoro umano sarà minimo. Ma un sistema con meno occupati è un sistema con meno consumatori. Si porrà la questione essenziale: a chi e come dare beni a quanti non lavorano, o li lasceremo perire di fame? In entrambi i casi un'economia che usa i mezzi tecnici contro il lavoro e quindi disoccupa perché ritiene che senza lavoratori il profitto è maggiore, porta alla catastrofe. Sembrano prospettive lontanissime, invece è per le avvisaglie di queste prospettive che stiamo nella crisi odierna, senza uscita. A meno che non si cominci a svincolare la produzione dal profitto, ad esempio abbassando l'orario di lavoro. Impensabile. Continueremo nella costrizione, impiegando in modo perverso i mezzi di produzione, e ne avremo disoccupazione e sottoccupazione…
Ma, insisto, quando la disoccupazione e soprattutto la disoccupazione ingigantiranno, perché anche nei paesi che sembra sormontino la crisi la sottoccupazione è vistosa, Stati Uniti e Germania, o i sistemi sociali, se vogliono continuare nella difesa del profitto antisociale diverranno autoritari o in ultimo dovranno volgersi ad una economia che produce al di fuori del profitto, usando all'estremo le forze produttive per dare all'insieme sociale. Insisto, sembrano sogni. E del resto sono fenomeni remoti. Ma si potrebbero già tentare imprese che autotutelano i disoccupati ed i sottoccupati, interessati, appunto, ad autotutelarsi: fare impresa per la sopravvivenza, privilegiando l'occupazione sul profitto contro l'occupazione, e questo anche nei servizi. Nel frattempo la convulsione dei sistemi sociali per difendere ed imporre la stortura di un profitto contro l'occupazione diverranno cruente e impositive. è una alternativa del sistema produttivo che può offrirci scampo non la questua nei confronti dei “padroni”. Se non c'è alternativa subiremo il tallone di ferro.

Una sociologia dello “stare in società”
Se la situazione è quella vagliata, che condizione ha l'individuo nel suo “stare in società”? Oggi l’individuo vive gravato da una sorta di delitto che non sa se ha commesso e che però lo invalida e gli toglie la volontà di vivere. Il contratto sociale vale a dire che ci troviamo nella società vincolati senza nostra scelta,  ma esso va inteso in tal modo:  che vi sono dei diritti che fanno capo al nuovo cittadino, sicché in qualche modo egli indirettamente e nascendo ha dei diritti e dei doveri, un contratto, insomma, ma  del tutto apparente, questo contratto la società può alterarlo e il nuovo cittadino, il cittadino che viene alla luce, si trova a dover rispettare un contratto di cittadinanza che lo vincola alla sua propria rovina. In concreto, un individuo diventa cittadino non per essere protetto dalla società ma per essere vincolato ad essa e a chi la domina. Il contratto si capovolge, da protezione del cittadino diventa un modo per non poter sfuggire alla dominazione: tu sei cittadino e devi obbedire alla nostra società ossia a chi la padroneggia, e se chi la padroneggia ha la forza e  la volontà di infrangere l’aspetto protettivo della società e valorizza soltanto o soprattutto l’aspetto dominativo approfittando della circostanza che tu sei cittadino e non ti puoi sottrarre, ecco che il vincolo sociale da vincolo di tutela diventa vincolo di sottomissione, a quel punto il soggetto sociale e il rapporto sociale sono infranti e, dicevo, capovolti, stiamo in una società per essere oppressi, siamo alle eclissi del contatto sociale. Ma, a questo grado, il cittadino non ha obblighi. Anche se la forza potrà costringerlo, è la forza, è la forza travestita da diritto, alla quale il cittadino può replicare con il diritto della sua forza.
È da schiavi ritenere che le società abbiano legalità se al termine legalità è associato il termine, e il “fatto”, della giustizia. Quando si supera un certo livello di sopportazione, quando la società non rispetta la sopravvivenza dei cittadini, il cittadino deve insorgere contro la società che non ne rispetta la sopravvivenza. Se una gran parte della società non trova opportunità di sopravvivenza nello “stare in società” essa ha il diritto di trovare soluzione in una società diversa e quindi deve abbattere la società che non le permette di sopravvivere. Il diritto alla vita me lo do da me, non me lo dà la società, se me lo vuole togliere è una società mortale, io reagirò per il mio diritto alla vita contro la società affinché vi sia una società che mi permetta di vivere. Se in una società non ho possibilità di lavoro, le esazioni a vario titolo mi opprimono, se la corruzione rende abbiente il depravato e falcidia l’onesto, se miriadi di rapporti fuori legge tolgono allo Stato dei contributi ed essi gravano su chi non si sottrae alle leggi, opporsi è un dovere oltre che una necessità. Non stiamo nella società per essere oppressi e divorati, non è questo l’accordo sociale. Se taluni lo vogliono trasformare in una situazione in cui hanno a disposizione moltissimi individui, i quali, per essere cittadini, sono obbligati all’obbedienza, a questa obbedienza suicida bisogna contrapporre una renitenza totale. Non è concepibile che alla prepotenza del fuorilegge ammantato di legge o meno si contrapponga la protesta succube di chi sta nella legge, lo stare nella legge si trasforma in asservimento. In questo caso protestare secondo legge perché chi viola la legge è fuorilegge è un modo per confermare la propria servitù. è prestarsi al gioco dei malfattori che si coprono di legge. Spesso. Non bisogna divinizzare la legalità essa può rappresentare la copertura del delitto, un delitto reso legale non è meno delitto di un delitto contro la legge. Non è la legge in sè che vale, ma  il contenuto della legge. Il burocrate il funzionario l’impiegato, il malfattore sotto copertura si fanno scudo della legalità, in vari modi. Bisogna vedere che legalità attuano.
Bisogna conquistare i propri diritti e non permettere che una legalità sbagliata, una legalità contro i diritti sia di per sé da rispettare. La propria affermazione non la si chieda solo in nome della giustizia, essa non avverrà mai per ragioni morali e soltanto morali, è in nome della forza e con la forza che si attua la giustizia. Si che la voglia di affermazione di una parte umana che soffre di essere dominata non può essere un’invocazione alla parte dominante perché non la domini, chiedere a chi domina di non dominare è un assurdo. Occorre usare la forza di sottrarsi al dominio. Il povero, gli sbandati, i derelitti non hanno una condizione che impone ai predatori di renderli felici e soddisfatti. Sta nella capacità di ribellarsi dei poveri, dei derelitti, dei sottomessi che i rapporti sociali possono essere mutati. Ogni rivolgimento esige un progetto alternativo al potere. Non è appellandosi alla generosità dei padroni che gli schiavi vengono liberati. La pura e semplice sollevazione dei miseri non significa che essi poi stabiliscono una civiltà superiore, né basta essere miseri per essere superiori e per meritare di condurre la società. Gli schiavi diventati padroni possono essere peggiori dei padroni rimasti padroni.  la morale non ha mai sovvertito la società se non si incarna in istituzioni che riescono a farla funzionare.

La società mortale
Al dunque: se i cosiddetti poveri non sono capaci di organizzare la forza produttiva resteranno sempre soggiogati, non basta essere poveri per avere il diritto a vincere, nella società vince chi realizza una proposta efficiente, oltre la proclamazione della giustizia e del bene. All’interno della società la lotta può avvenire pacificamente o meno tuttavia c'è sempre lotta. Al punto in cui siamo, lo accennavo, dobbiamo riconsiderare lo “stare in società”. Imposte, immigrazione, economia criminale, il timore di una crisi radicale, predoni, speculatori stanno mettendo a prova la stessa idea dello stare in società, insisto. Ecco perché dobbiamo punto per punto riesaminare la sudditanza e il dominio, vagliare l’attualità del cosiddetto contratto sociale, stabilire una sociologia della società, insomma, della ragione di stare nella società. E se non sia il caso di forgiare una società nella società, autoprotettiva nelle imprese che sormontino il profitto antisociale, e nei servizi, che scemeranno sempre più. Imprese che facciano ogni sforzo da parte dei lavoratori imprenditori per autoccuparsi, per darsi occupazione, e così nei servizi.
Una società nella società contro la società mortale. E bisogna affrettarsi.

                                                                                                       Antonio Saccà
                                                                                                          Sociologo

Nota. A proposito di un sistema produttivo scrive di recente l'economista Pierangelo Dacrema: “Marx & Keynes. Un romanzo economico”. Jaca Book


Addirittura taluni studiosi oltre l'uso dei robot, l'automazione, di varie tecnologie sostitutive del lavoro umano, ipotizzano che l'intelligenza artificiale potrebbe superare l'uomo, governandolo! Per dire come la disoccupazione di massa è alle porte.

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