30 giugno 2016

RICOSTRUIRE L'EUROPA. QUALE EUROPA?

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di Antonio Saccà
Ricostruire l'Europa senza la Gran Bretagna potrebbe essere addirittura miglior condizione di un’Europa costruita con la Gran Bretagna. Questo eminente Paese è sempre stato anti europeo nel senso che ha combattuto la eventuale superiore potenza di nazioni dell'Europa continentale, Francia, Germania, Spagna, Olanda che fossero o perché, di recente, è più statunitense che europea. Ama l'Italia perché non le è rivale nel dominio temporale, quando osò sfidarla, la stroncò. Non riuscirà mai, l'Inghilterra, a pervenire alla nostra arte, specie in musica, architettura, pittura, scultura, e così sia. 
Ora, dunque, la ritrazione della Gran Bretagna potrebbe favorire un'Europa senza nemici interni, amalgamata? Disgraziatamente, è tutt'altro che possibile. L'Europa non si staglierà nella scena della Storia perché taluni paesi, anche essi, si dimostrano più americanizzanti che europei. Non è la Germania ad inficiare l'Europa, la Germania è, almeno, europea, piuttosto quei paesi di minor cabotaggio che devono agli Stati Uniti l'ingresso nell'Unione Europea, che furono difesi dal comunismo, sempre da parte degli Stati Uniti, e che oggi li ripagano ostacolando ogni grandezza europea, ogni movimento di autonomia dagli Stati Uniti, e con un odio insanabile contro la Russia, e suicida. Noi abbiamo, noi europei, un solo modo per tornare protagonisti mondiali, ristabilire relazioni economiche e culturali con la Russia. Sebbene anche la Germania, anche la Francia siano in qualche misura antagonisti della Russia, o, almeno, cauti, niente da spartire con la virulenza dei Paesi Baltici, della Polonia, della stessa Inghilterra. Purtroppo, cessata l'Inghilterra, questi piccoli paesi, o minori, restano, e impediscono ogni accostamento alla Russia. Eppure, non ci resta che rigenerare l'avvicinamento alla Russia, svincolandoci, relativamente, dagli Stati Uniti, quando gli interessi degli Stati Uniti non sono i nostri interessi. Non è la fuoruscita della Gran Bretagna a vulnerarci, bensì che l'Europa è frantumata in sé stessa. Brancola. Le frasi sulla accresciuta unione valgono quanto il suono della voce. Non esiste un nazionalismo europeo. Non esiste la determinazione ad avvantaggiarci della migliore eventualità, il rapporto con la Russia. Vano rimescolare le carte se continuiamo il gioco solito. Occorre una carta suppletiva, cambiata, che alteri il consueto gioco. Diversamente cadiamo in un cerchio obbligato, ripetuto. Se consideriamo che dibattiamo sulla eventualità di stringerci ulteriormente alla Turchia e scostiamo la Russia significa che non vogliamo l'Europa, siamo europei contro l'Europa. L'odio antirusso acceca. Se vi aggiungiamo una immigrazione che ci falserà demograficamente, culturalmente, e susciterà una rissa tra poveri immigrati e impoveriti nazionali, siamo alla rovina. Bisogna, è questione di vita e di morte, risuscitare, suscitare un'area europea, soltanto, esclusivamente europea. Che abbia margini propri rispetto agli Stati Uniti. La strategia mondiale statunitense contro la Russia può non corrispondere al vantaggio che l'Europa può avere con l'amicizia della Russia... Inoltre, insisto, occorre non accrescere l'apporto straniero, non soltanto per motivi economici, ma per lo stemperamento delle caratteristiche secolari di un popolo. Impossibile non cambiare ma cambiare disperdendosi in un guazzabuglio indifferenziato in cui una civiltà non si riconosce serve soltanto a trasformare gli uomini in forza lavoro, a non sapere che credere, che volere, che difendere e da parte di chi. Una neurosi sociale disintegrativa. Qualcuno vuole rifare l'umanità, a quanto pare, annientando le specificazioni nazionali, religiose, culturali, alimentari, perfino.
Ma c'è dell'altro. Sistemi sociali che ritengono di importare immigrati illimitatamente e di sostituire gli uomini con le macchine senza contraccolpi difensivi da parte di chi viene posto in difficoltà da tali situazioni, vaneggiano. Prima o dopo vi sarà un rigetto verso i visibili immigrati e, confusamente, verso le nuove tecnologie dissolutrici di lavoro, ancora non percepite, ma pericolosissime, micidiali, ineliminabili. Come si cerca di risolvere queste eventualità? Con il nazionalismo, in specie avverso gli immigrati. Sia per evitare concorrenzialità di gente che si offre al ribasso sia per recuperare personalità storica, non scadere in un impasto in cui non vi è dialogo, incontro dell'io con il tu, dell'uno con l’altro, ma una terza entità, un universalismo che sembra apertura, accoglienza ed è negazione della differenza, negazione del rispetto della differenza. Con il pretesto che la diversità suscita antagonismi si elidono le peculiarità, e si generano mescolanze generiche e imposte per non suscitare, dicevo, antagonismi. Chi rispetta la differenza è considerato un arrecatore di inimicizia. La risposta è il trionfo della identità esaltata, il nazionalismo rabbioso. Basta a tutelare le nostre società? È, in ogni caso, un argine contro l'universalismo indifferenziato, la pretesa di rinunciare a noi per costituire una terza “cosa” tra io e tu... 
 Talune personalità ragguardevoli non sono di opinione sfavorevoli ai processi tecnologi ed immigrativi, all'opposto. Dice Bill Gates in un'intervista al “Corriere della Sera” di Massimo Franco, nella quale invita a far sviluppare in specie l'Africa da parte italiana, ed Europea: “Ma non c'è scappatoia su immigrazione, innovazione, globalizzazione: creano controversie, eppure non potranno essere rallentate”. Non si tratta di rallentare o affrettare, ma di cogliere le conseguenze, assai problematiche. Comunque, è vero: non c'è possibilità di impedire tali evenienze, sul modo di gestirle meglio essere aperti a varie eventualità.  E di percepire la realtà: lo sviluppo odierno del capitalismo è rovinoso sui ceti medi e sul “popolo”. È un “fatto”.
Un'espressione fortunata in cui moltissimi discutono dell'Europa è quella che accusa gli anziani inglesi di aver deciso per i giovani, per il loro futuro. Un rimprovero al punto che taluni pretendono che la volontà dei giovani dovrebbe valere maggiormente giacché riguarda, appunto, l’avvenire dei giovani. Ci riferiamo al restare o no nell'Europa da parte della Gran Bretagna: i giovani ritengono che il loro futuro è meglio garantito dall'unione con l'Europa, la quale garantisce il futuro dei giovani. Che l'Europa garantisca futuro, per giovani o non giovani, significa non capire la problematicità attuale e prossima del capitalismo. Vi sarà una radicale crisi del lavoro, e la crisi non verrà dall'Europa ma dal capitalismo. Vi è una stranezza nei mille discorsi sulla decisione inglese di uscire dall'Europa, si discute di borse, finanze, moneta, pochissimo del sistema produttivo. Ma è il sistema produttivo responsabile della crisi e della scelta difensiva della Gran Bretagna. Ci siamo impoveriti, è un dato, e crediamo che sia l'Europa ad impoverirci. Invece è il capitalismo attuale che ci impoverisce. Non dovunque, non per tutti, ma in Europa impoverisce ceti medi, ceti popolari, e gli stessi giovani che hanno difficoltà di occupazione, pensioni sminuite, licenziabilità, estensione dell'età di lavoro. Non è l'Europa la ragione della crisi, non è l'uscita dall'Europa la salvezza della crisi, non è l'Europa la salvezza dalla crisi. Occorre cambiare i sistemi produttivi. Il massimo che si otterrà o si ritiene di ottenere uscendo dall'Europa è contenere gli immigrati, se si otterrà. E però c'è un aspetto problematico. Il capitalismo si giova degli immigrati per abbassare il costo del lavoro. Difficilmente rinuncerà agli immigrati. In ogni caso: bastano innovazione, investimenti, attenuazione del rigore a salvare l'economia occidentale? Sono in difficoltà pure economie innovative ed altamente nutrite di liquidità per investimenti. Che fare? Ipotesi: limitare i profitti, eliminare il lavoro illegale sottopagato e non tassato, sia dai lavoratori sia dai datori di lavoro, stabilire una relazione tra immissione delle tecnologie intelligenti e orari di lavoro (occupazione). Se non si cambia il sistema produttivo dato il cambiamento dei mezzi di produzione giungeremo ad una crisi incontenibile. Disoccupazione e sottoccupazione. Vi è una domanda di lavoro enorme che abbassa il costo del lavoro (sottoccupazione), vi è eliminazione di lavoro (disoccupazione). Almeno in certi paesi, l'Italia tra questi, l'enorme evasione fiscale si converte in accrescimento tassativo su chi non può evadere, con la desolazione dei ceti medi. Se le vicende si svolgeranno come al presente: afflusso di stranieri, lavoro sottocosto concorrenziale con i lavoratori nazionali, tassazione esorbitante, non in tutti i paesi, ma nel nostro paese è tale, le spinte nazionalistiche cresceranno, ma non rimedieranno la situazione. D'altro canto l'Europa non esiste, non ha voce comune. A tal punto sarebbe più onesto tornare in pieno nazioni autonome, e però non è che avremmo libertà di azione, accordi dovremmo farli, e i rapporti di forza sono inevitabili. Dunque, torniamo all'Europa, una nazione europea, un'Europa delle Nazioni. Ristabiliamo i rapporti con la Russia. Una certa indipendenza dagli Stati Uniti. E valutare che capitalismo porre in presenza delle nuove tecnologie.
In un articolo sul “Corriere della Sera” del 27 giugno 2016, il saggista francese Bernard-Henry Lévy è assai critico  avverso “il sovranismo ammuffito”. Egli oppone l'Europa ai nazionalismi sminuitivi della grandezza continentale, questo nazionalismo è nemico dell'Altro e dei Lumi, è, appunto, la vittoria non di un'altra Europa ma di un'assoluta mancanza d'Europa. “Non è l'alba di una rifondazione ma il possibile crepuscolo di un progetto di civiltà”. Se mi capiterà di incontrare Bernard-Henry Levy, con cui ho avuto conoscenza partecipando ai convegni dello stesso editore, Armando Verdiglione, gli consegnerei il mio libro del 2001 “Europa o morte (!)” e gli farei presente che l'Europa si incarna nelle nazioni europee, passa per le nazioni europee, ed un'Europa contro o sopra le nazioni suscita nazionalismo; e che vi sono poteri che schiantano le sovranità; e che se l'Europa è inetta, e Levy ne dice malissimo, a chi rivolgerci, inevitabilmente ciascuno tenta di salvarsi; e che l'Altro può sommergerci; e che sono più nemici dell'Europa i paesi antirussi mossi dagli Stati Uniti che i nazionalisti; e che dubito assai che Putin voglia la dissoluzione dell'Europa; e che i rimedi di Levy consistono nella determinazione degli europei ad uscire dalla crisi “con parole forti e con un'azione di grande rilievo”. Che soluzioni: parole forti, azioni di grande rilievo! Il niente. Comprensibile che l'impoverito cittadino si avvinca al proprio Stato nella speranza che lo tuteli, e se non ci riuscirà non è per il nazionalismo, all'opposto, perché esistono poteri mondiali che schiantano ogni sovranità, occultati sotto il nome di Europa. Aggiungo, la crisi è precedente ai populismi.
E per finire: ma possibile che le Banche ricevano sempre denaro per gli investimenti e devono essere rifornite ma non si vedono i risultati e gli investimenti? È sicuro che il denaro è impegnato per gli investimenti?                                                                                   

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