21 marzo 2016

FENOMENOLOGIA TEORICA E PRATICA DEL CAPO

di Antonio Saccà, sociologo

Il Capo, il Duce, il Condottiero, il Leader, come si denomina oggi, sono figure coeve all'uomo sociale. In ogni gruppo qualcuno finisce con l'imporsi, perché riconosciuto, perché usa violenza. È una distinzione radicale. In linea di massima è Leader soltanto colui che viene riconosciuto volontariamente dal gruppo (classe, popolo). Ma in concreto vi è spesso una commistione. Ne diremo. A rigore, il Leader è colui che il gruppo, la classe, il popolo hanno slancio a seguire, al quale obbediscono con entusiasmo, dal quale amano che provengano scopi, e, non sempre ma sovente, perfino la morte, il sacrificio ultimo non intaccano l'adesione, addirittura la esaltano: morire per il Capo, sacrificargli la vita sono comportamenti frequenti. Entusiasmo, fedeltà rappresentano connotazioni determinanti nella relazione tra Capo e gruppo. Ma come sorgono l'entusiasmo, la fedeltà? Come mai un gruppo, una classe, un popolo si affidano, per la vita e per la morte, ad un uomo, una donna? Che vi è in costoro di tanto peculiare, traente, vincolante da generare perfino in milioni e milioni di persone un legame spesso non divisibile? Perché taluni individui hanno seguaci ed altri, i molti, stentano a condurre a sé? Si tratta di doti naturali di certi individui o le circostanze hanno il loro rilievo? Sul Capo Carismatico, vi sono talune teorie. Innanzitutto quella di Max Weber, che, oltretutto definì proprio la formulazione di Capo Carismatico tra le maniere di esercitare il Potere.
Il potere del Capo Carismatico è intrinseco a una personalità, non viene da eredità, da tradizione. Sono attribuzioni individuali.
                                                         
CARISMA DI RUOLO
Oltre il carisma personale vi è un carisma di ruolo. Esemplare la “carica” di Pontefice. Quand'anche una persona non abbia tratti carismatici, la “veste” che indossa lo connota, e ciò in varie manifestazioni: sacerdoti, magistrati, forze dell'ordine, militari... ma in tal caso la “veste” può risultare controproducente, se chi la indossa non è adeguato, è svilito con maggiore disprezzo. E può avvenire l'opposto, che l'abito faccia il monaco, un individuo poco capace che però essendo rivestito di una condizione eccellente, un sovrano, un aristocratico, un eminente religioso, abbia un rilievo che non meriterebbe se non avesse quel rivestimento. Il dato è da prendere in conto: il Capo è radicalmente tale se congiunge l'abito, il ruolo, alle sue qualità, meglio: se le qualità lo fanno diventare un Capo. E questo, per dirla con il Macchiavelli, avviene se vi è una coniugazione tra virtù, ossia capacità, e fortuna, ossia circostanze. Un Napoleone, talento spiccatamente militare, condottiero nato, in epoca di pace non avrebbe avuto modo di esprimere questa “virtù” essenziale. La sua “fortuna” provenne dall'essere capitato in tempi di guerra. Vedremo analiticamente questa relazione delle capacità con le circostanze. Il privilegio del Capo è saper cogliere le circostanze e usarle per la sua affermazione.

CAPO DELLA NAZIONE E CAPO NAZIONALISTA
Il Capo della Nazione spesso nasce dopo una sconfitta, una condizione d’inferiorità, ma, nello stesso tempo, restituendo e rammentando la gloria passata. Saremo quel siamo stati, al dunque. Più desolata la condizione, più rabbiosa, estrema la volontà di riscatto. Quasi sempre il risveglio nazionale ha bisogno di un nemico, responsabile della caduta. E, insieme, di un mito che susciti energia, superbia, primato. Anche se il “mito” è intrinseco ad ogni visione del Capo. Nell'epoca contemporanea il caso più determinato e cosciente di Capo (Duce) in nome della Nazione fu Benito Mussolini, ma, in forme meno estreme, almeno nell'appariscenza, anche il francese Charles De Gaulle e l'inglese Winston Churchill furono Capi della Nazione. Sarebbe opportuno distinguere Capo Nazionalista da Capo della Nazione, nel primo caso abbiamo quella violenza, quello spirito di rivalsa, quel tentativo di sopraffazione che invece nel Capo della Nazione è soltanto difesa della Patria. Questo, in linea di principio. Nelle vicissitudini storiche spesso chi si difende aveva colpito per primo magari in modi nascosti o con falsa innocenza. Spesso il Nazionalismo ed il Capo Nazionalista esplodono contro anni di sopraffazione mascherata. Sia come sia, considereremo Benito Mussolini un Capo Nazionalista, Charles De Gaulle e Winston Churchill Capi della Nazione.

Il CAPO CARISMATICO FONDA LE RELIGIONI POLITICHE
La Religione Politica è un fenomeno non sufficientemente studiato, anche se, in anni passati, taluni hanno vagliato l'argomento, specie in Germania, oggi trascurato. Fu la maniera con cui la Politica cercò di sostituire le religioni. Si dava per certo che le religioni fossero eclissate o dovessero scomparire, sconfitte dalle nuove ideologie, dalle Religioni Politiche. Le Religioni Politiche le quali cercarono di sostituire, oscurare il cristianesimo sia cattolico, sia protestane, sia ortodosso furono il Comunismo, il Fascismo, il Nazismo. Ci riferiamo all'Europa, luogo di questo evento. La Religione Politica intende assorbire tutto l'individuo, in linea di massima è totalizzante, totalitarismo. Niente deve sfuggire, l'uomo è animale sociale, esclusivamente, e la Religione politica lo assorbe completamente.  Non vi è rimanenza. In Italia una circostanza impedì o limitò quest’assorbimento totalitario, la presenza di una potente e sentita religione popolare, il Cattolicesimo, che non consentì una piena totalizzazione da parte del Fascismo. Il Protestantesimo in Germania non oppose una resistenza tale da impedire la totalizzazione nazista, mentre in Russia il Comunismo agì con violenza distruttiva su uomini e chiese. La Religione Politica “copia” la ritualità delle Religioni cristiane. Sacramenti, feste, celebrazioni, Santi... tali caratteristiche delle Religioni Cristiane vengono assunte dalle Religioni Politiche. I santi sono gli Eroi, i Combattenti, coloro che s’immolano per la Patria, nel Comunismo i Santi sono i lavoratori che spendono tutte le energie per il bene sociale, nel Fascismo, dicevo, il Combattente, nel Nazismo il perfetto ariano. Le festività cristiane sono imitare dalle festività delle Religioni Politiche. Ad esempio la celebrazione del Primo Maggio, nei paesi comunisti. Anche i Sacramenti vengono imitati, il Fascismo dà il Battesimo al nuovo nato facendolo Figlio della Lupa, la Cresima rendendolo Balilla; mentre nel Comunismo i giovani entravano in organizzazioni peculiari, Konsomol, e quindi in una trafila formativa, lo stesso nel Nazismo. L'educazione, specie in Germania ed in Russia, era esclusiva del Partito che incarnava la Religione Politica, in Italia il Cattolicesimo mantenne qualche zona propria. Educazione, riti di passaggio avevano natura assolutamente mondana. Dio non esisteva, né lo si doveva cercare. L'indottrinatore politico sostituiva il sacerdote, ed il Pontefice, il Patriarca erano adesso sotto veste del Capo, il quale addirittura costituiva un Dio mondano. Il Partito diventava la Chiesa. E totalizzava l'individuo. Come la Chiesa mediante i Sacramenti possedeva e conduceva l'esistenza, l'individuo nasce ed è battezzato, bambino è cresimato, si sposa e c'è il matrimonio, vuole rientrare nella comunità dopo averla trasgredita e c'è la confessione, che determina il bene ed il male, e la comunione, che riporta nel gruppo, muore e c'è il sacramento appropriato, con qualche diversità tra le religioni cristiane, come accennato anche le religioni politiche seguono passa passo l'esistenza. E tentano di estirpare i sacramenti religiosi mediante i “sacramenti” delle religioni politiche. Da ribadire che in Italia i “sacramenti”  fascisti non sostituirono i sacramenti cattolici, e certo l'essere Figlio della Lupa non eliminò il battesimo o la cresima. Diverso il Comunismo, che subentrò confusamente all'Ortodossia, e quest'ultima visse per lungo tempo nell'ombra e nella persecuzione. Il Nazismo non eliminò ma sovrappose i suoi “sacramenti” al Cattolicesimo ed al Protestantesimo. Le Religioni Politiche dominarono parte del XX Secolo, il Comunismo quasi l'intero Secolo.
Nelle Rivoluzioni politiche vi era un’intuizione che nasceva dalla Rivoluzione Francese, che è la fonte di tutte le Rivoluzioni Politiche. Il culto della Dea Ragione, il denominare i mesi in nuovo modo, l'ossequio dei sacerdoti allo Stato furono tra gli elementi della Religione Politica della Rivoluzione Francese.  In specie fu il Giacobinismo, con Massimiliano Robespierre a compiere questo passaggio di religione. Il tentativo è grandioso, fare dell'uomo esclusivamente un’entità terrena, togliere all'uomo ogni carattere metafisico di un Dio personalizzato(il Teismo). L'uomo consisteva nelle sue attività sociali e se mai dovesse credere in una divinità, essa era la Dea Ragione. Le religioni rivelate sparivano. Fu il tentativo di estirpare l'uomo dalle religioni e le religioni dall'uomo. Si tratta del cristianesimo. I mussulmani non hanno religioni politiche in quanto la religione islamica è anche una religione politica, in taluni casi si sono avuti tentativi di separazione dello Stato dalla religione, ma non una  Religione Politica contro l'Islam.

LENIN, STALIN E LA RELIGIONE POLITICA COMUNISTA
La prima Religione Politica a noi contemporanea è quella comunista. Il Comunismo attinge a processi rituali consolidati, cerca di rendere ateo l'uomo e comprende che non può “uccidere” Dio e offrire all'uomo soltanto la “laicità” ma occorrono simboli, manifestazioni collettive, proprio come nelle religioni. Il Comunismo è laico ma non laicista, ossia è una filosofia della mondanità, ma non crede che basti all'uomo la razionalità ma occorra la ritualità, la sacralità, i simboli, insomma: la Religione Politica. Le Religioni Politiche intuiscono che l'uomo ha bisogno di fede. Il laicismo presume che bastino la libertà e la ragione a soddisfare l'uomo e quando pure enunci una “religione della libertà” si ha una “religione” priva di simboli e riti, quindi non  una religione. Ma se intendiamo sostituire i simboli cristiani, nelle diverse espressioni, occorrono altri simboli, altri riti, addirittura alcuni ripropongono i simboli, i riti, le credenze dell'Antica Roma o la religione della solarità.
Torniamo al Comunismo sovietico. Esso, nel periodo dominato da Lenin, non fu una Religione Politica. Lenin non era uomo di fantasia simbolica e ritualistico-sacrale. Fu una “mente” del tutto legata alla realtà sociale, viveva gli svolgimenti economico-politici immedesimato esclusivamente in essi. Lenin segue la società mondiale e russa, in specie, la vive, la svela, l’idoneità di Lenin ad essere Capo non è dovuta a esaltazione verbale, oratoria, a riti, a solennità, insomma ad un minimo di religiosità politica, a feste, a iniziazioni, a “misteri”, piuttosto al fatto che a leggerlo ed ascoltarlo Egli dava l'impressione di centrare la comprensione dei movimenti dell'organismo sociale. Soltanto Karl Marx regge la capacità di comprensione sociale di Lenin, sebbene Marx sia un maggior teorico e costruttore di concezioni filosofiche. Come attuatore delle concezioni di Marx, Lenin è ineguagliato e le sue “visioni” prospettiche sull'Imperialismo sono attuali oggi più di quando furono scritte. Che percepisce, intende Lenin? Che il Capitalismo finirà con l'uccidere se stesso in un conflitto interno al capitalismo, tra paesi capitalisti, che per il capitalismo non c'è futuro se non in una guerra al suo interno, per il dominio dei mercati, per cercare espansione, impedire l'espansione altrui, predare, vendere, il che oggi è diventato micidiale data la crisi del profitto e l'urgenza di vincere la competizione. Si che c'è il rischio che qualche paese potentissimo se non riuscirà a dominare con le buone ricorrerà al conflitto. Lenin capì questa evenienza, la credette più prossima di quanto fosse, e tuttavia due guerre mondiali vi sono state, ed ora siamo sull'orlo del precipizio. Ecco perché Lenin fu Capo, perché la gente capiva che Egli capiva, e che la Rivoluzione Sovietica era il tentativo per uscire dall'ignavia e dalla sconfitta dell'epoca zarista. Era un nazionalismo travestito da comunismo. Il Capitalismo mondiale avrebbe divorato la Russia se la Russia mediante il Comunismo non lo avesse impedito. Certo, possiamo supporre che, invece, una Russia capitalista avrebbe meglio resistito. Inutile discutere sul possibile. Sta di fatto che anche la Russia di Vladimir Vladimirovic Putin teme una Russia nel circuito capitalista internazionale, paventando le mire aggressive sulla Russia del capitalismo e della finanza internazionale. Lenin, dicevo, ebbe questo timore, colse che lo zarismo sarebbe stato in pugno ai vincitori stranieri, tentò con il comunismo di modernizzare la Russia, e difenderla, e stabilì la dittatura più estrema della storia umana e la prima formulazione di una alternativa al Capitalismo. Questi i tratti del suo carisma di Capo, questi ideali. Lenin non è un Capo fondatore di Religione Politica, è un Capo razionale, analitico, un interprete della società nella quale agisce dopo aver compreso, studiato. Attrae per le sue qualità mentali. Dopo Marx è il più virulento decifratore del Capitalismo e delle conclusioni alle quali giungerebbe: il conflitto perenne tra i paesi capitalisti.
Stalin è differentissimo da Lenin. Stalin non ha l'acume analitico, decifratore di Lenin. Né la veemenza polemica ed oratoria. Possiede, Stalin, un realismo terra terra ma concretissimo, una determinazione inesorabile, la nettezza dei fini da conseguire con ogni mezzo, Egli sente e coglie che bisogna salvare la Russia e il comunismo come salvezza della Russia, mette da canto la rivoluzione mondiale, usa i comunisti degli altri paesi a favore della Russia, forgia comunisti funzionari sottomessi ai voleri del Partito Stato, un'economia soggiogata, un terrore capillare che impone obbedienza, stritola la religione Ortodossa, impone la Religione Politica Comunista ed il Culto del Capo, stabilisce la totale presa del Partito Comunista su ogni momento dell'esistenza, esalta il lavoratore iperproduttivo, il Santo comunista che dona le sue energie alla collettività, concepisce un cittadino in uso allo Stato Sovietico, ma soprattutto, imperiosamente, forgia  la difesa militare, armata della Russia. Il Culto della Personalità, il Culto del Capo, Il Capo Dio favoriscono l'entusiasmo delle masse, appunto avendo un Capo Dio. Parate, organizzazioni giovanili, indottrinamento, la nuova Croce è la falce martello, il colore rosso pervade, la Piazza Rossa è il luogo sacro delle processioni, bandiere, canti, e Lui, il Capo, assiste, con i suoi fedeli, ogni Capo ha i fedeli, gli Apostoli, e guarda come una tigre compiaciuta, le sue immagini sventolano in stendarti immensi, i fiori compongono il suo volto, quel volto dagli occhi sorridenti, beffardi, diabolici, quella figura non grande ma concentrata: Stalin, il tiranno più amato e avversato del xx secolo se non della Storia, il Capo per eccellenza, il fondatore della Religione politica comunista, il Segretario di un Partito  Assoluto, Stalin, colui  che passerà all'eternità come il Patriota, come il Tiranno crudelissimo.

BENITO MUSSOLINI- ADOLF HITLER: IL CAPO NAZIONALISTA - IL CAPO RAZZISTA
Anche l'italiano Benito Mussolini è un fondatore di Religione Politica e un Capo assoluto con milioni di fedeli. Ottimo oratore mimico, una voce colma, serena, dosata o sforzata nel grido imperativo, robusto di corpo, occhi mossi dall'emozione, mani, pugni, braccia tumultuanti, o posti ai fianchi come braccioli, busto che si chinava, si ergeva, una volontà di mostrare volontà, e di associare alle parole il gesto, per esagerarne il peso, e, in fondo, la certezza di essere il centro del mondo, il decisore dei destini cosmici, colui dalle cui labbra e dalle cui movenze pendeva l'umanità, un teatrante che recitava ma credendo nel suo dire e mostrare, e, dentro, un risarcitore delle sventure italiche, un suscitatore di combattività dominatrice, un entusiasta della potenza sulle orme della Roma antica, un teorizzatore pratico della Nazione al di sopra della lotta di classe, Nazione che si incarnava nell'Economia Corporativa, la quale univa lavoratori e datori di lavoro, e specialmente il vagheggiatore di un Impero e di una nostra civiltà che si irradiava specie nel Mediterraneo, il neutralizzatore dell'homo aeconomicus liberale e liberista e dell'homo sovietucus comunista, una economia ed un uomo “terzo”, nel Partito Unico, nel Sindacato Unico, sotto il Capo unico, con il simbolo del Fascio quale segno di questa unità. Scuola, ricreazione, adunanze, divise, saluti, perfino le date calendarizzate, tutto fascista, tutto mussoliniano, e il Duce faceva tutto, mieteva, montava a cavallo, snudava la spada, agitava il libro e il moschetto, minacciava il Mondo con occhi roteanti e pugni chiusi, e attingeva alla frustrazione sua e del popolo per eccitarne il risarcimento, il tornare a contare, l'essere ancora e sempre “romani”. Di sicuro fu un Capo Nazionalista, e non sempre i Capi Nazionalisti giovano al bene della Nazione, in ogni caso la vorrebbero grande commisurata alla grandezza di cui si ritengono detentori.
Con l'ultimo fondatore di una Religione Politica, Adolf Hitler, l'identificazione tra il popolo e il Capo è radicale, il Capo sente il popolo e il popolo s’immedesima nel Capo sentendo di essere compreso. Spiantato, ramingo, misero, fallito, venuto via dall'Austria, dove nacque, per la Germania, sconfitto nella Prima Guerra Mondiale, da lui accesamente accolta, insieme alla Germania ed all'Austria, pittore mancato, rifiutato dalle Accademia, cova un odio apocalittico, un rancore vendicativo inesorabile, oltrepassa ogni riguardo per l'umanità oltre se stesso e una Germania incontaminata dagli ebrei, gli slavi, gli zingari, i negri, i malati, gli omosessuali, i comunisti, responsabili, a suo concetto, della caduta tedesca. La Germania deve risorgere come Lui, Adolf Hitler, e sarà Lui, Adolf Hitler, a sollevarla, ne sarà il Führer, farà leva sulla pura razza ariana germanica, che merita il dominio, schiacciando le razze degenerate, infette, ebrei, slavi, e le genti fiacche, inidonee alla potenza. L'inferiorità umiliata di Adolf Hitler e della Germania viene capovolta in virulentissimo sogno di dominio senza scrupoli, anzi con l'estrema volontà attuativa quanto più è desolata la condizione che la muove. Dopo tentativi malriusciti, la prigione, la stesura del Mein Kamp, la crisi del 1929, che dagli Stati Uniti tocca e trae la Germania, i milioni di disoccupati, l'inflazione atroce offrono ad Hitler l'occasione: il nemico, gli ebrei, i comunisti, il risveglio nazionalista, e razzista, “siamo i migliori, dobbiamo riaffermarlo”. Prezzo che tutte le classi convergono, disgraziate, alla miseria si risarciscono come razza eletta, e se non convergono sono obbligate, annientate, il Capitale fornisce i mezzi. Hitler trionfa, “salverà” la Germania con l'economia di guerra, vuole la guerra, farà la guerra, vincerà, soccomberà, con la Germania, si ucciderà.  Hitler è il consapevole fondatore di un Capo che vuole creare una Religione Politica. La Svastica sostituisce il Crocefisso, il Partito è la Chiesa, la razza pura determina gli eletti, il Führer è il Pontefice Dio, il giuramento di fedeltà stringe popolo e Führer, simboli, adunanze, riti, divise, saluto, educazione, vagheggiamento di un Reich millenario, ricostruzione, costruzione di Città gigantesche, una “morale” dove non c'è posto che per l'ariano, esoterismo... l'uomo qualunque si sente qualcuno nell'insieme. In nome di queste mete milioni di uomini perirono e sopravvisse soltanto la Morte.

IL CAPO DELLA NAZIONE: DE GAULLE-CHURCHILL
Charles De Gaulle e Winston Churchill sono indubbiamente Capi Carismatici ma senza alcuna pretesa di stabilire Religioni Politiche. Sono Capi Nazionali non Nazionalisti, De Gaulle, alto, aristocratico, erede della memoria francese e dell'onore della Francia, ottimo militare, sa condurre coloro che si negarono ad accettare la sconfitta e di collaborare con la Germania nazista. Vinse e successivamente rifondò la Francia. Un eroe, un patriota, un francese.
Winston Churchill, d’illustre famiglia, esordì in politica giovane ed ebbe incarichi notevoli non sempre con buona fortuna. Avventuroso, animato da voglia d’imprese degne dei suoi antenati, scrittore, oratore, è nella Seconda Guerra Mondiale che s’identifica con il suo indomito popolo, ed il popolo inglese si riconosce il Lui. Salvò l'Inghilterra ma non l'Impero Britannico. Ancora una volta mostrò come il Capo è colui che s’identifica con il suo popolo ed il popolo s’identifica con il Capo.

TEORIE SUL “CAPO” IN SIGMUND FREUD
Quella che abbiamo esposta è la fenomenologia “pratica” di alcuni capi carismatici, il teorico per eccellenza del Capo Carismatico è Max Weber, sopra accennato. Ma è Sigmund Freud che svolge una teoria che comprende la figura del “Capo” nella generalità. In “Psicologia delle masse e analisi dell'Io” è chiaro lo scopo: interpretare anche la società o taluni aspetti della società, talune "società" secondo la psicoanalisi. Dopo aver spiegato mediante le pulsioni e il circuito delle pulsioni, la morale e la religione era consentito, e necessario, interpretare la società in rapporto all'erotismo. L'erotismo, al dunque, aveva posto anche nella costituzione della società?  Freud considera le analisi di Gustave Le Bon, studioso, nel tardo Ottocento, della psicologia delle folle, il cui libro, conosciutissimo, aveva questa denominazione, e anche le analisi di W. Mc Dougall e di W. Trailer. È l'assenza dell'erotismo quale elemento determinante  dei  rapporti tra coloro che formano un gruppo e colui che li guida che Freud rileva negli altri autori. La "suggestione" che, a parere di Le Bon, contagia un insieme d’individui rendendoli "folla" e che, è sempre Le Bon a ragionare in tal modo, rende la "folla" impulsiva, eccessiva, idonea alla sublimità e alla degradazione, in balia di Capi che possiedono "prestigio", la “folla”, del tutto diversa dagli individui che la compongono, in quanto le ritrosie e le impotenze del singolo vengono schiantate dal sentirsi appoggiata dal consenso dei compagni di folla, questa folla suggestionabile e suggestionata o soggetta all'istinto "gregario" (Trailer) e all'organizzazione (Mc Dougall), a opinione di Freud non è spiegabile, nei suoi comportamenti, secondo le motivazioni degli autori nominati, per Freud non sarebbe percepita la motivazione della "massa" e del Capo e della relazione dei membri di un organismo sociale tra di loro e nei riguardi del loro Capo. Freud non rifiuta la suggestione è rifiuta l'istinto gregario cerca di coglierne il fondamento. Ormai che sappiamo l'andamento del pensiero di Freud, non dubitiamo che le relazioni dei membri di una società, l'uno con l 'altro, e di tutti verso il Capo, siano di natura erotica. E, in vero, ogni rapporto non esiste, forse, solo in quanto l'erotismo lo genera e mantiene, per Freud?
Siamo nel 1921, in Russia ha vinto Lenin, in Italia Mussolini è alle soglie del potere, altre personalità baluginano nel resto del mondo, è il momento dei Capi ed è il momento delle "folle". A Freud bastò, non è questione di scarso rilievo, inserire il Capo nelle vicissitudini del "padre" e le "folle" nelle vicende dei "figli", e la psicoanalisi conquistò la comprensione della "politica" e della società per spiegare tale comprensione e per spiegare la spiegazione di tale comprensione occorre tornare al complesso di Edipo. Il bambino odia il padre e cerca l'amore esclusivo della madre, ama, tuttavia, anche il padre, del quale è antagonista per amore. Odiare e soltanto odiare? È una possibilità! Ma l'odio suscita l’odio. È capace, il bambino, di reggere l'odio del padre? Non tenterà l'evirazione? Non sentirà la colpa? Il bambino fantastica una via d'uscita per abolire lo scontro e percepisce che una via d'uscita sarebbe, è l'identificazione: diventare come il padre, farsi un altro lui. Del resto, se il padre è amato dalla madre del bambino, quale maniera c'è per ottenere l'amore della madre dall'identificarsi con la figura dell'uomo amato dalla madre? Il padre è colui che il bambino vuole essere al fine di essere amato dalla madre che ama il padre del bambino. Sii come tuo padre e sarai amato da tua madre che, in effetti, ama tuo padre. Questa metamorfosi che sovente dà luogo a una mimesi, sovente dà luogo a una parodia, che evitando l'odio provoca, in certi casi, l'oppressione, dà luogo, anche, a una perdita di sé o alla sostituzione di un sé specifico che Freud chiama ideale dell'Io. Non dimentichiamolo: il bambino (l'uomo) ama se stesso, quantunque non esclusivamente. Ama sé per quello che è e per quello che vorrebbe essere (ideale dell'Io), per l'ideale se stesso a cui vorrebbe giungere. E chi, se non il padre fornisce l'ideale dell'Io? Certo, il bambino, l'uomo tenteranno di giungere all'ideale di se stessi da loro stessi. Non sempre riuscendo. Accade che altri individui rappresentino quell'ideale Io che noi vorremmo essere in noi e da noi. Siamo lacerati. Odiare o amare chi appare il nostro ideale Io? Il narcisismo odia: non ammette ideali fuori di sé. Ma il narcisista idealizza sé per il semplice essere chi è. L'essere chi è, è già un Io ideale. Ama tutto di sé: esiste, però, un diverso narcisismo, il narcisismo dell'identificazione, assimilarsi e assimilare colui che si presenta a noi come il nostro ideale d'uomo, quale uomo che vorremmo essere e che, amando, rendiamo "nostro". Amandolo diventiamo lui e manteniamo fede al nostro ideale mediante lui. Ci amiamo attraverso l'amore di un uomo che adempie il nostro ideale, evitiamo, così, l'antagonismo e la delusione. Il narcisismo è salvo. Noi riusciamo ad amarci, continuiamo ad amarci mediante l'altro. Se il bambino ritenendosi il padre ottenne l'amore della madre, nella finzione d'essere come il padre, l'uomo che ama colui che realizza il suo ideale Io, il suo voler essere, impedisce la disfatta del narcisismo: possiamo amarci e non essere battuti, l'uomo ideale amato porterà a buon fine il nostro ideale dell'Io. Facile obiezione: il bambino e l'adulto che s’identificano, nel padre o nel Capo, perdono loro stessi. Ciascuno dovrebbe amare se stesso, avere un suo fine, mai identificarsi in un altro. I piccoli narcisi, gli individualisti che ammazzerebbero la vita medesima pur di non amare in altri un Io ideale, un ideale dell'Io, coloro che si amano come sono perché come sono sono perfetti, (riconoscessero di amarsi come sono non perché come sono sono perfetti, nulla da ridire)  e odiano con il sangue tra i denti di potersi dedicare a qualcuno che non sia il venerato loro minuscolo io.

SIGMUND FREUD: Il CAPO COME IDEALE DELL'IO
 “Psicologia delle masse e analisi dell'io” è il testo dell'amore dei gruppi verso un uomo che adempie l'ideale  del gruppo, è il testo dell'amore che unisce il gruppo in quanto il gruppo è unito nell'amore per il Capo. Capo che forgia e realizza l'ideale dell'Io amato da chi ama il Capo. Senza un Capo amato che incarna l'ideale dell'Io del gruppo e di ciascuno, il gruppo si sfalderebbe perché non sarebbe avvinto dall'amore accomunato il Capo e dall'ideale del nostro Io che identifichiamo nel Capo. L'ideale dell'Io nulla spartisce con il Super-io. Il Super-io è opposto alla vita, è severo, avversa il piacere, è troppo moralista, l'ideale dell'Io vuole innalzare la vita, grandeggiare mediante il Capo amato. Allorché una società perde l'ideale dell'Io le resta la costrizione del Super-io. Un individuo e una società che non hanno mete supreme finiscono, paradossalmente, con l'avere, della superiorità, la concezione che ne ha il Super-io: oppressiva e nichilista. Per l'ideale dell'Io la perfezione è attiva e, anche, narcisisticamente altruista; il Super-io ha della perfezione una valutazione severa e ingannosa. Il piccolo narcisismo e il Super-io deprimono e ottenebrano la civiltà, salvata dall'ideale dell'Io energicamente diretto allo scopo. Rendere il Super-io Ideale dell'Io, confonderli avvelena l'esistenza. Le società più disgraziate e gli individui più malnati sono una mistura di piccolo narcisismo e di Super-io, di scadente appagamento e spietata critica a ciò che li scavalca, ad ogni pienezza vitale. I piccoli narcisisti si sentono scavalcati da poco, quasi da niente.
Privi di superamento di se stessi, cadono spesso in balia del Super-io, critici verso tutto e tutti. Perfino contro se stesso.
Il Capo politico, il Capo in genere proviene dall'antico Capo dell'Orda? Sarebbe un regresso, il rapporto tra il Capo e i sudditi, un regresso che contrasterebbe la civiltà della famiglia, tenuto conto che l'Esercito e la Chiesa negano o sminuiscono il valore della donna o, in ogni caso, valorizzano la comunità dei maschi contro o senza quella piccola comunità che è la famiglia. Freud considera civiltà il momento successivo all'Orda, quanto più l'uomo si allontana dall'Orda e ciascun individuo s’individualizza, con la famiglia, appunto, e con la proprietà privata tanto più la civiltà cresce. Eppure lo stesso Freud fa del Capo l'individuo cui si volge l'erotismo del gruppo, l'individuo senza il quale il gruppo si sfalda, e, addirittura, il Capo, per Freud, è colui che fornisce all'ideale dell'Io un soggetto esemplare. Il gruppo, i molteplici individui del gruppo sono identici tra di loro perché hanno un identico ideale del loro Io: il Capo. Difficile condividere l'esagerato concetto che Freud ha sulla "identità" dei membri del gruppo né la sua opinione che i singoli nel gruppo vogliono considerarsi sullo stesso piano rispetto al Capo. Un solo Capo e tutti uguali rispetto al Capo è un’immagine di simmetria architettonica sul modello del padre che ama e domina ugualmente tutti i figli. La società ha, però, gradazioni che nulla spartiscono con tali simmetrie. Il Capo di solito ha vicino gli “eletti”. Sorge la questione: è civiltà l'allontanarsi dall'Orda e la costruzione della famiglia? Ma che ne sarebbe della società, se, a dire di Freud, è il Capo che tiene la società? Se non possiamo fare a meno della società, è, allora, indispensabile un Capo? E spingendoci alle conseguenze estreme: se un Capo è indispensabile, non è, forse, indispensabile la morale del Capo, difforme, alla radice, dalla morale dei figli? Il Capo rappresenta quel tipo d'uomo che riporta la società all'Orda, sostiene Freud. Però, in ogni caso, mantiene in sé la più grande energia vitale e, dunque, è un ideale per l'Io di gruppi nei quali l'ideale dell'Io è degradato.
Ogni volta che interviene un Capo è per ridare potenza  all'ideale dell'Io. Al dunque, sarà verosimile la tesi di Freud che il Capo fa regredire i consociati a figli assoggettati che vogliono quel che lui vuole, che s’identificano in lui, che rendono il Capo l'ideale del loro io da non confondere con l'io ideale, per chiarire: altro è amare Napoleone e seguirlo, ideale dell'io, altro credersi Napoleone, io ideale. Sarà una regressione infantile fare del Capo un ideale del proprio, ma raramente nella storia l'uomo ha compiuto meglio e tanto come nel caso in cui un Capo fu l'ideale dell'io di milioni di uomini.

IL BISOGNO DI IDEALI     
L'uomo ha bisogno d’ideali quanto del pane e dell'acqua. Che siano illusori, falsi, orribili, degni non se ne cura, purché lo distolgano dal procedere quotidiano vacuo e cosciente della morte. Gli Ideali sono una possente distrazione dalla morte. Spesso gli uomini preferiscono morire per un ideale e temono di morire naturalmente. Non è la morte che opprime piuttosto il non avere scopi nel vivere e tuttavia morire. In ciascuno di noi vi è una parte di Don Chisciotte, una parte di Münchausen, purché la realtà venga trasfigurata seguiamo ogni fantasticheria. Gli uomini hanno “creduto” in tutto il possibile, hanno avuto delle “fedi” criminali, pazzesche. Chi ha ritenuto la sua “razza” pura e in diritto di dominare e schiavizzare le “razze” inferiori; chi ha vagheggiato una società giusta per tutti e per ciascuno retta da una classe, il proletariato, che avrebbe, con il suo dominio cruento, attuato tale scopo di giustizia; chi in nome della Libertà si è concesso il dovere di sottomettere popoli per renderli... liberi, spesso esclusivamente opprimendoli; chi in nome di Dio e della vera religione ha massacrato gli “infedeli”.... la Storia è un cimitero di illusioni nefaste che hanno permesso agli uomini di credere in “qualcosa”. Nello stesso tempo la Storia è un giardino di uomini che ebbero ideali meravigliosi, benefici, idonei a permettere all'umanità di poter sognare, incantarsi, vivere per mete sublimanti, ed evitare che l'esistenza sia uno squallido cammino terraterra alla morte. Il Capo è colui che indica le illusioni, gli ideali, che solleva dal terraterra il gruppo, la classe, la Nazione, volgendoli ad un fine superiore o, comunque, un fine. Egli imprime una carica vitale agli uomini, i quali non sempre anzi spesso più che vivere vivacchiano. Per questo accade un fenomeno sconvolgente, migliaia, milioni di uomini non rimpiangono d'aver dato anni ed anni, con sacrifici,  talvolta a rischio della stessa esistenza, pur di aver vissuto l'avventura del sogno. In fondo gli uomini cercano l'occasione di un sogno, a meno di non essere impantanati nel giorno per giorno. L'uomo comune, per dire, è un eterno Sancio che fa le ritrosie a Don Chisciotte in vista della realtà contro i vaneggiamenti di Don Chisciotte ma allorché Don Chisciotte perde le fantasticherie lo implora di continuare a vaneggiare, giacché senza quei deliri la vita è coscienza di morte, e invero Don Chisciotte tornato sano di mente, muore. La realtà come realtà è, appunto, cammino verso la morte. Il Capo o come lo si chiami sterza da questa via e fa credere che nella vita c'è alcunché da vivere, perseguire. E di ciò gli uomini sono talmente grati che gli si avvincono perfino con il dono della vita. Dare la vita pur di vivere. Giacché non è la morte che fa orrore ma il non vivere vivendo. E chi ci permette la vita merita la vita. In tal senso ha certo ragione Sigmund Freud, la relazione tra Capo e “fedeli” è una relazione di amore, e come per una donna amata non calcoliamo tempo, salute, denaro pur di vederla, parlarle, stringerla, e un attimo vale infinitamente così è per il Capo, e poterlo vedere, ascoltare, osservarne i fini diventa il compito della vita. Considerare tutto ciò una condizione d’inferiorità, un restare sempre bambini, “figli” sarà vero ma se non ci fosse questo spirito filiale non esisterebbero le più straordinarie imprese umane, non Alessandro, non Giulio Cesare, Napoleone, Gandhi, i Santi, Buddha, Cristo. Non è apprezzabile l'affermazione che il mondo non ha bisogno di eroi, quasi che l'Eroe fosse un arrecatore di guerra. Eroe è chi giunge all'estremo dedicandosi vita e morte al suo scopo. Di questa esemplarità gli uomini hanno bisogno diversamente sarebbe l'elogio del quieto vivere paludoso. E a tal punto molti uomini preferiscono l'ardimento al quieto vivere che si avvincono al Capo perfino se sconfitto, giustificandolo, considerandolo tradito, immaginando trionfi, e narrando, narrando, sì che la cronaca diventa un'epopea. Ma anche l'oltraggio del Capo, e come di una donna amata o un uomo amato, se ingannati o che sia, volgiamo in odio e distruzione la dedizione, simile è l'agire delle masse, dei popoli, delle classi, dei gruppi verso il Capo sconfitto o vile. In entrambi i casi, odio o amore, il Capo resta il punto al quale dirigiamo la nostra carica affettiva, felici di amare, forse rimasti infantili, in ogni caso: amare. Senza l'amore non costruiremmo neanche castelli di sabbia.

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