21 febbraio 2016

CONSIDERAZIONI SU UMBERTO ECO

di ANTONIO SACCÀ
Umberto Eco

È morto Umberto Eco, 84 anni, non molti. Lo conobbi ai miei tempi giovanili. Da scrittore non aveva scrittura, scorreva terra terra, come veniva veniva. Come semiologo importava dai paesi stranieri ma credo mettesse del suo, ad esempio la nozione di “interpretazione aberrante”,  non l'ho né seguito né letto sufficientemente. Ebbe un'intuizione; applicare la scienza linguistica ai fenomeni di massa: televisione, fumetti. Ora, se uno studia il linguaggio di Rabelais, poniamo, è considerato da qualcuno, se considera il “linguaggio” dei fumetti o dei
presentatori televisivi, è letto da migliaia, non solo, fa ritenere dentro la cultura gli imbecilli, assume come fenomeno culturale la comunicazione di massa e chi la utilizza. In ultima analisi, una perversione, giacché si nobilita l'ignobile, lo si valorizza, la comunicazione di massa diventa oggetto prediletto di analisi, diventa “cultura”.  Gli recensii assai negativamente un testo “strutturalista”, lo accusavo di apprezzare la “struttura” che ripete se stessa invece della dialettica del mutamento. Era il tempo in cui il marxismo veniva a perdersi e con esso il divenire, il che è un'assurdità. Non il marxismo, criticabile, ma la negazione del divenire. La realtà non è ripetizione di “Strutture”. Anche nella narrativa coniugò l'alta cultura a vicende romanzesche da giallo. Mancava d’impeto, cadenza, una prosa senza linguaggio, smorta prima di nascere. L'arte non è di casa. Confondeva espressione e comunicazione. Un disastro. Era una figura familiare che mancherà.
Un sociologo tedesco del secolo passato, definì un duplice atteggiamento dell'uomo, l'atteggiamento cinico e l'atteggiamento blasé. L'individuo cinico svilisce ciò che vale, valorizza quanto non vale; l'individuo blasé pone ogni valutazione sullo stesso piano. Georg Simmel percepì radicalmente la nostra epoca. Non aggiunse che sarebbero stati gli intellettuali a favorire questa sovversione. Vale a dire: l'alta cultura al servizio della mediocre o bassa per venire incontro, compiacere le masse. Il fenomeno è decisivo e connotativo della nostra epoca, che ha inventato il prodotto, la merce, il consumo per il gran numero. La Scuola di Francoforte, in specie Theodor W. Adorno, coltivò questo evento: la riconduzione del prodotto culturale a merce di consumo, adattandolo alle masse. In vero addirittura Giacomo Leopardi e Friedrich Nietzsche avevano intuito l'adattamento della cultura alle masse. Il “filisteo colto”, concepito da Nietzsche, è già il consumatore che adatta la cultura superiore a svago, divertimento, degradandola dell'aspetto superiore. Ma, dicevo, il cinismo, nel significato che gli attribuisce Georg Simmel, è anche valorizzazione di ciò che non vale. Più latamente: dare importanza come si trattasse di chi sa che di ciò che magari avrà importanza, minima, però. Uno dei protagonisti di tale sovversione è stato Umberto Eco. I fumetti, i personaggi della comunicazione, i canzonettisti divengono protagonisti di studi sul loro “linguaggio”. Niente da obiettare, tutto è studiabile, ma c'è del veleno in questo modo di agire, ed è l'eccessiva rilevanza che viene attribuita a questa “cultura”, con il rischio, che finisce con l'accadere, di elevare il basso, di farne materia di interesse straripante, e di sovvertire i valori al punto che un fumetto vale “La Divina Commedia”, come mi fu detto da un responsabile editoriale, ed il musicista Ennio Morricone, come dichiara il regista di cinema Quentin Tarantino, vale W.A. Mozart! O i Beatles valgono F. Schubert, come ho sentito dichiarare. Insomma la cultura di massa sostituisce l'alta cultura per la valorizzazione “cinica” che di essa viene compiuta da intellettuali sovversivi per conquistarsi un pubblico. Umberto Eco in questo campo è stato un antesignano nella teoria, con i suoi romanzi privi di scrittura, adattati ai consumatori, praticò la teoria. È stato un esemplare ben riuscito di intellettuale di massa, non: popolare, di massa.
Leggo quanto viene dichiarato su Umberto Eco e di Umberto Eco, e abbatto ancora il mio giudizio. In quanto al suo scrivere, non scrive, o, piuttosto, una scrittura pianapiatta, leggibile in sonnolenza, nessuna energia, adatta a non esigere sforzo e con qualche appariscenza di cultura. Intendiamoci, Eco fu anche uno studioso e affrontava temi e problemi della comunicazione in modo responsabile. Ma questo è il punto, comprese, anzi, ritenne che il  pubblico all'ingrosso lo si conquista adattandosi. E offrendogli un polverio di cultura per adularlo disprezzandolo. Il “pensiero” non c'è, dell'arte neanche lo spettro. Il “successo” abbonda. L'anima è venduta al diavolo del mercato.

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