12 luglio 2015

La Pace è un duro lavoro

La mancanza di fiducia è particolarmente forte in Medio Oriente, non solo tra israeliani e palestinesi, ma anche tra arabi, turchi e persiani in generale
Dott. Willem F. van Eekelen
Dott. Willem F. van Eekelen, Ex ministro della Difesa, Paesi Bassi

Per un uomo che venisse da Marte, la prospettiva di pace tra Israele e Palestina potrebbe non sembrare così difficile. Le problematiche sono state definite con chiarezza, e un compromesso sembrerebbe possibile: la presenza di due stati, il ritorno parziale dei rifugiati con qualche tipo di risarcimento, e Gerusalemme come capitale di entrambi gli stati. Il problema più complicato sarebbero le colonie di Israele in Cisgiordania, e in particolare la loro continua espansione, che mina la fiducia nelle motivazioni del governo di Israele.
Quasi ogni governo ha portato avanti questa politica di espansione. In Europa, questo mette seriamente in discussione il supporto allo stato israeliano, che aveva in precedenza meritato la nostra ammirazione per il suo successo nel costruire uno stato prospero e democratico.
Guardando in Medioriente da una prospettiva europea, sono preoccupato per la crescente violenza tra gli Arabi, e i musulmani in generale. In passato, sembrava esserci almeno una parvenza di coesione tra i popoli arabi, e la critica era diretta principalmente verso l'Occidente. Oggi si sta sovrapponendo una questione inter-araba a uno scenario geografico già complesso. Ne traggo alcune lezioni per la politica europea.
L'intervento militare in genere è più complicato del previsto e prende più tempo nella fase di stabilizzazione. Come risultato, l'inclinazione a lanciare operazioni su vasta scala sta perdendo slancio.
Nonostante la primavera araba abbia avuto origine da problemi economici - mancanza di lavoro e aumento del prezzo di generi alimentari- il rischio di sconfinamento nel campo religioso era serio.
La mancanza di fiducia è particolarmente forte in Medioriente, non solo tra israeliani e palestinesi, ma anche tra arabi, turchi e persiani in generale.
Per molti secoli l'Europa ha visto una situazione simile, ma abbiamo realizzato un enorme cambiamento concettuale dopo la Seconda Guerra Mondiale. In che modo? Cambiando il contesto. Entrando in un accordo basato su regole di legalità, democrazia e pari opportunità. È stata un'ulteriore concretizzazione delle Quattro Libertà enunciate dal Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt nel 1942, quando gli Stati Uniti entrarono in guerra: libertà di parola, libertà di religione, libertà dalla paura e libertà dal bisogno. Da allora, l'Unione Europea ha aggiunto la libertà di circolazione e un mercato interno aperto, con regole rinforzate sulla concorrenza. Qualcosa del genere sarebbe possibile in Medioriente?
La mia seconda lezione è che la pace è un duro lavoro, ancora più duro quando la combiniamo con libertà e giustizia. Non possiamo tirar fuori la pace dal nulla, e anche se la realizzassimo, la pace potrebbe essere difficile da mantenere, come stiamo vedendo oggi nel Sud Sudan. Lo scenario internazionale è divenuto più complesso, e la sicurezza ora dipende da fattori sia interni che esterni. Di conseguenza il potere militare non può portare pace senza il supporto di altri elementi come sviluppo, buon governo e volontà di negoziare. Il potere -militare- forte non avrà efficacia senza il soft power, ma il soft power da solo non può farcela se il potere militare è troppo distante.
I negoziati con l'Iran sembrano essere un buon esempio di questa tesi. Mancavano letteralmente 5 minuti alle 12, 5 minuti prima che la forza militare venisse usata per fermare la proliferazione nucleare in Iran, e molti paesi erano pronti a questo. Poi un commento quasi casuale sulla volontà di negoziare ha cambiato il contesto; non c'è stato alcun esito umiliante, ma una prosecuzione delle pressioni, che potrebbe ancora portare all'uso della forza.
Speriamo che anche la Siria prenda la strada dei negoziati, nonostante i negoziati siano destinati a minacciare la posizione del Presidente Assad. Nel frattempo, tra i ribelli si sono create spaccature, e il fondamentalismo islamico sembra acquisire forza tra di loro. Non c'è una prospettiva piacevole per cui fare il tifo.
La mia terza lezione è che la lotta religiosa è più difficile da affrontare in modo non violento, perché le convinzioni religiose sono difficili, se non impossibili, da conciliare con un dibattito intellettuale. La fede non si presta alla persuasione. La nostra amata nozione di libertà di religione richiede non solo un buon livello di educazione, ma anche di conoscenza della storia del mondo. Differenze interpretative apparentemente poco importanti hanno portato a conflitti sanguinosi che ancora permangono in tempi moderni. Si potrà avere un progresso solo andando oltre la comprensione, con la tolleranza verso le altre religioni, e poi accettandole come eguali, a meno che non insegnino pratiche che troviamo ripugnanti. Padre Moon era ottimista nel suo insegnamento di "Una famiglia sotto Dio", e noi dobbiamo certamente cercare di definire principi comuni a molte religioni.
Ma, francamente, ho avuto qualche perplessità sulla sua istanza per un consiglio religioso in qualche modo parallelo all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. I leader religiosi sono educati alla storia e al messaggio della loro particolare fede, e non saranno inclini a fare concessioni su ciò che considerano come i loro valori spirituali più alti. In ogni caso, queste questioni non si prestano a decisioni a maggioranza, vincolanti per tutti i partecipanti. Il dialogo interreligioso è ancora più difficile del dialogo politico, a causa di un’ancora maggior complessità nel cambiare il contesto, di fronte a dottrine e pratiche religiose stabilite. A volte potremmo avere più successo a livello individuale, per poi muoversi da lì in cerchi di comprensione e accettazione sempre più larghi.
Tornando al conflitto israelo-palestinese. C'è veramente qualche progresso nel processo di pacificazione? Sempre di più, sembra che le parti non siano in grado di farcela da sole, e che senza gli sforzi del Segretario di Stato americano John Kerry, non ci potrà essere alcun progresso. Ancora una volta, la mancanza di fiducia è un elemento destabilizzante. Inoltre, la frattura tra Fatah e Hamas dà una scusa a Israele nel campo della sicurezza. Eppure, Israele deve dimostrarsi onesto su una soluzione con due stati, e smettere di costruire nuove colonie che alla fine renderanno impossibile realizzare uno stato palestinese. Esisterebbe davvero un'alternativa? Israele stesso non vedrebbe di buon occhio la prospettiva di uno stato unico con una crescente componente palestinese.
 Quindi, UPF, c'è ancora molto lavoro da fare. Portate le persone a confrontare le implicazioni e le conseguenze di ciò che dicono di volere. Allora potremo cambiare il contesto, anche in Medioriente, che sfortunatamente sembra avere sulle proprie spalle un contesto storico più ingombrante di quanto riesca a gestire!


Il Dott. Willem F. van Eekelen ha studiato Legge all'Università di Utrecht e Politica alla Princeton University. Ha conseguito il suo dottorato a Utrecht. Dopo aver prestato servizio nelle ambasciate di Nuova Delhi, Londra e Accra e presso la Delegazione Permanente della NATO a Parigi e Bruxelles, è stato direttore del Dipartimento delle politiche di sicurezza. È stato eletto in Parlamento ed è diventato Segretario di Stato per la Difesa, Segretario di Stato per gli Affari Europei, e Ministro della Difesa. È stato Segretario Generale dell’Unione Europea Occidentale (1989-1994) e in seguito membro del Senato dei Paesi Bassi. Nel 2003 è stato membro della Convenzione Europea che ha preparato la Costituzione Europea, che è infine diventata il Trattato di Lisbona. Dal 1995 è stato presidente della sezione dei Paesi Bassi della Euro defense, che promuove un maggior contributo europeo alla difesa e alla sicurezza. E’ stato membro della sezione per gli Affari Europei della Commissione Consultiva dei Paesi Bassi per Affari Internazionali, membro del centro di Groningen per gli Studi sulla Sicurezza Europea, e del Consiglio Consultivo dell’Istituto di Ginevra per il Controllo Democratico delle Forze Armate. E’ stato co-fondatore dell’Indonesia Nederland Society, che punta a migliorare la comunicazione tra i due paesi e a facilitare visite reciproche (facilitating reciprocal visits). Tra le sue pubblicazioni: “Debating European Security, 1948-1998” e “From Words to Deeds: The Continuing Debate on European Security”.

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