27 marzo 2015

I bambini Ambasciatori di pace

“Io sono Giovanni, e tu? Io sono Min Min Thu”.

di Giuseppe Malpeli
L’Associazione per l’Amicizia Italia-Birmania, che io rappresento, ha fatto dell’amicizia il valore portante del rapporto con il popolo birmano, in particolare con i bambini e le bambine di quel Paese. Altri, in questa fase, hanno preferito il business, qualche volta fine a se stesso, il turismo per la bellezza del paesaggio e della raffinata cultura che la Birmania offre ai visitatori, il sostegno diretto a iniziative umanitarie o progetti di sviluppo.
Noi ci siamo impegnati a ideare progetti rivolti soprattutto ai settori dell’istruzione, della sanità e dell’agricoltura, e a collaborare con il popolo birmano. Abbiamo preferito, come Associazione, impegnarci soprattutto nella costruzione di autentiche relazioni con le persone conosciute o meno conosciute, con chi ha ruoli di rappresentanza ed è portatore d’istanze politiche e sociali, con chi subisce nella quotidianità l’ingiustizia ed è alla ricerca di sostegno e protezione. Ci siamo dati il compito di metterci in un atteggiamento di ascolto, di scambio, di condivisione. Siamo, infatti, convinti che loro, i birmani, abbiano molto bisogno di noi, ma che è altrettanto vero che noi, gli italiani, abbiamo molto bisogno di loro. Abbiamo bisogno della loro energia vitale, della loro ironia, della loro umanità, della loro compassione.
Il 31 ottobre 2014 a Parma, in una sala gremita di studenti, è stato proiettato un video messaggio con il saluto di Aung San Suu Kyi, la leader birmana che tanto si spende per il suo popolo. Il suo messaggio, ascoltato da tutti gli studenti con grande rispetto e concentrazione, terminava con questo pensiero: “Di nuovo grazie, spero che ci incontreremo altre volte, e che la gente di Parma e dell’Italia possa entrare sempre più in contatto con la gente del mio Paese. Spero che voi possiate diventare un esempio di come due Paesi diversi, due popoli diversi possano essere così grandi amici: diventare esempi viventi non solo di una ‘cittadinanza globale’, come si dice adesso, ma di un’umana amicizia”.
Al termine dell’incontro, alcuni bambini della Scuola Primaria “Pilo Albertelli” di Parma, sono saliti sul palco e tenendo un lungo filo tra le mani hanno ringraziato Aung San Suu Kyi e il suo popolo, e hanno voluto, attraverso il filo, dimostrare che tutto ci unisce, o meglio che con l’impegno tutto ci può unire. E ciò che ci unisce è molto più forte di ciò che ci divide. Un filo diretto tra i bambini dell’Italia e quelli della Birmania. Un filo diretto con tutti i bambini del mondo.
Io sono Giovanni.
Il messaggio dei bambini è stato letto da Giovanni che ha dieci anni ed è anche conosciuto come il “vetraio di Yangon” perché durante l’estate scorsa si è impegnato attraverso una semplice lotteria a raccogliere fondi per installare vetri in una scuola di Yangon con lo scopo di proteggere gli alunni dalle intense piogge monsoniche. Insieme con lui vi era anche Emanuele suo fratello. Il saluto di Giovanni è iniziato così: “Io sono Giovanni…”. Tutta la platea ha sorriso divertita per l’inedita presentazione. Forse solo i bambini hanno capito che il nome non è solo un’etichetta qualsiasi, ma che ha molto a che fare con l’esistenza, il riconoscimento, la propria storia, l’identità.
E Giovanni, insieme al fratello Emanuele di otto anni, il 24 dicembre del 2014, si è trovato nella concreta condizione di incontrare durante un viaggio organizzato dall’Associazione in Birmania, un bambino come lui, Min Min Thu. Bruno Munari, un grande design che si è occupato dell’arte dei bambini, ha scritto un bellissimo libro: “Da cosa nasce cosa”. Seguendo questa idea si potrebbe dire “Da storia nasce storia”. E’ così che adesso Giovanni ha una storia unica da raccontare: quella di Min Min Thu. Giovanni, il vetraio di Yangon, il bambino alunno della Scuola “Pilo Albertelli” di Parma, ha, infatti, incontrato Min Min Thu che abita “dall’altra parte del mondo”, che vive a Bagan, terra dove gli infiniti templi buddhisti sembrano preghiere scolpite nell’aria. Dove tutto è magia e tutto genera stupore.
“Io sono Min Min Thu”.
Min Min Thu probabilmente non frequenta nessuna scuola. Il suo lavoro è di rincorrere i turisti e vendere loro qualche oggetto dell’artigianato locale: sciarpe coloratissime, cartoline, borse di tela, ritratti vari. La tecnica è collaudata: inseguire con pazienza i turisti, se necessario scoprire dove alloggiano per aspettarli all’ingresso dell’hotel, avvicinarsi e cercare di contrattare acquisto di oggetti. Il turismo, nella sua versione più problematica, ha portato anche questo. Le guide turistiche, a questo proposito, scoraggiano tale pratica che probabilmente incentiva nelle forme più sottili l’uso e lo sfruttamento dei bambini. Quelli birmani poi hanno una marcia in più, sorridono, ti cercano con gli occhi, portano allegria. Mentre ti fanno comprare, ti rendono anche un po’ felice. Difficile sottrarsi, impossibile restare indifferenti. Ingiusto dal mio punto di vista non guardare la loro fatica, accettare anche solo per qualche attimo che è da lì che è necessario partire per ricostruire percorsi di vita più dignitosi. Troppo comodo pensare che solo loro, perché bambini, vanno educati a non trarre qualche vantaggio pur piccolo che sia; mentre lo stesso problema non ci si pone quando si entra nei negozi di lusso, negli hotel, nei ristoranti così accattivanti per il turista spensierato. Forse che dietro quegli hotel, quei ristoranti o quei negozi, non vi sono persone che lavorano per stipendi “da fame”? Vite operose ma, a differenza dei bambini come Min Min Thu, silenziose e spesso invisibili. La fotografia allegata all’articolo ritrarre il sottoscritto, Min Min Thu, Giovanni ed Emanuele. Ho chiesto il permesso ai loro genitori per pubblicarla, perché sono sempre stato convinto che il rispetto, soprattutto nei confronti dei bambini, si manifesta anche con la capacità di non “depredare” la loro immagine come se fossero un oggetto qualunque.
Ho deciso di allegarla, perché insieme abbiamo deciso di farla. Perché è arrivata al termine di due giorni nei quali Min Min Thu è riuscito da un lato a venderci tante cose, ma soprattutto è riuscito a conquistare noi stessi. Ci siamo messi vicini, stretti l’uno all’altro perché così avremmo voluto restare forse per sempre. Min Min Thu aveva un oggetto del tutto speciale di autentico artigianato; vendeva infatti un contenitore in plastica nel quale erano inseriti disegni che rappresentavano le bellezze del luogo: un tempio, un monaco, delle mongolfiere che trasportano i turisti nella grande valle di Bagan, e per ultimo un disegno con dei bambini in fila con le mani alzate che salutano i turisti che sul pullman si allontanano.
Quest’ultimo disegno può insegnare molte cose a tutti i turisti che vorranno andare in Birmania. Se accadrà anche a loro di incontrarli, quei bambini festanti, mentre il loro pullman si sta allontanando per tornare all’hotel, anche solo per un attimo dovranno essere capaci non di provare pietà, ma di “prenderli” nei propri pensieri, quei bambini, di tenerli stretti come se fossero i monumenti o i luoghi più interessanti incontrati e visitati nel Paese.
Dovranno essere capaci di tenerli come se fossero una domanda e una provocazione, sempre aperta, sempre attuale, mai scontata. Chi e come in ogni luogo, in Italia come in Birmania, ha il dovere e il coraggio di tenere alta l’attenzione sull’infanzia, chi e come, a partire dalla scuola, presidia il diritto dei bambini e delle bambine a essere rispettati, amati, protetti, educati, a vedere nello scambio senza riserve o pregiudizi la forza di un Paese, la sua dignità, il motore della sua economia? Nessuno può sottrarsi a quest’appello. E allora, come Associazione diciamo a tutti i turisti che avranno la fortuna di andare in Birmania, di non tornare solo con delle fotografie o degli oggetti, ma anche con delle relazioni e dei buoni pensieri da mostrare agli amici.
Sicuramente a Min Min Thu era richiesto di colorare le fotocopie riprodotte nel contenitore di plastica. Il suo colore, la sua capacità di “stare” dentro i contorni delle immagini, l’abilità nella scelta dei colori per dare risalto alle figure, forse anche la capacità di ritagliare i fogli stessi, era il vero lavoro di Min Min Thu. La sua fatica quotidiana, la “sua” scuola.  Per questo ogni disegno era ed è un oggetto unico e speciale, prezioso quanto le lacche così affascinanti dell’artigianato birmano. Non è arte “povera”. I nostri bambini spesso disegnano per passare il tempo tra un’ora e l’altra della loro vita a scuola, Min Min Thu disegna per vivere.
Ne abbiamo acquistati tanti di disegni, ma il più bello, quello più prezioso è stato l’ultimo. Quando stavamo per partire definitivamente e tornare con un volo aereo a Yangon, Min Min Thu si è presentato davanti al pullman. Carico dei suoi oggetti, ci ha guardato a lungo con un’intensità che scuoteva l’animo. Ha tirato fuori dalla sua borsa il suo contenitore di cartoline, questa volta non per cercare di venderlo, ma per regalarcelo. Ha allungato il braccio come se volesse dire: “E’ tuo, vieni a prenderlo”. Sono sceso di corsa, l’ho abbracciato di nuovo, ho preso il contenitore e l’ho dato a Giovanni. “Tieni Giovanni, è per te! Non è un regalo, è un dono, molto di più”. In quel momento, abbiamo condiviso il comune sentire che Min Min Thu non solo ci avesse voluto dire “vieni a prenderlo”, ma anche “vieni a prendermi! Portami con te”.
“Io sono Min Min Thu”. Può essere che in futuro Giovanni ed Emanuele, tornando in Birmania, cercheranno Min Min Thu, può essere che lo stesso Min Min Thu si ricordi di noi. Di certo, Min Min Thu per Giovanni, per Emanuele, per tutta l’Associazione è diventato “un progetto” di vita. Il filo di Giovanni e di Emanuele è passato così di mano in mano.

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