14 novembre 2014

Recensioni libri

Il corpo della vita. Pensieri allo specchio

di Elisa Sachespi
Ci sono uomini che hanno guardato la vita senza risparmiare a se stessi vertigini e abissi.
Quanta vita è in grado di accogliere l’uomo? Ora solo, ora in due, nel suo gruppo, nella società dei suoi simili? Eppure ogni uomo è solo, come davanti a uno specchio, dove luce e buio acciecano fino allo smarrimento, dove forse non si guarderà mai. Nel suo ultimo libro, Antonio Saccà, si è messo allo specchio, si è oltrepassato per potenziare la vita alla radice da solo a solo: ancorare la vita alla vita, esprimerla altro che coi suoi stessi mezzi, non rifiuti né negazioni. L’operazione è fondante.
E’ uno specchio la vita dell’uomo, per chi avanza a guardarla senza schermature, a volerla, a cercarla, a stringerla, una donna che egli trae e rappresenta a sé per toccarla, sentirla, che ora accoglie ora sfugge e nega l’anelito dell’appartenenza certa. Forse la vita è davvero il corpo di una donna dove consegnare lo sguardo per potersi sentire interamente. Una parvenza di eternità..la ricerca d’amore. Ecco “Il corpo della vita -Pensieri allo specchio” (ed. Artescrittura, pp. 109), raccolta delle infinite possibilità dello sguardo dell’uomo rivolto  alla vita in questa vita, un’adesione continua oltre il Nulla e la Morte costitutivi della vita stessa: “Soltanto la vita direttamente vissuta e felice è reale”, “Non c’è moralità se non c’è felicità”, “L’esistenza risulta entusiasmante se siamo capaci di ammirare”, “In chi amiamo vi è l’intero patrimonio della nostra voglia di vivere”.  Saccà cerca connessioni armoniose, non consolazioni, non nichilismo, non dissacrazione, non oblio, non scorciatoie; apre, così, il suo libro con il ritratto nitido dell’uomo terreno naufrago in un’isola deserta, nel buio deserto del Nulla, “solo anche in mezzo agli altri”.   Che fare? Qui Saccà dimostra più che mai la sua ben nota tempra di filosofo indomito: “Voglio vivere allo spasimo incurante del mio prossimo? Fingermi obblighi fraterni verso il mio prossimo? Considerare inutile vivere giacché finiremo nella Morte, io e l’umanità? O contrapporre al Nulla il sorriso dell’amore per la vita, la volontà di felicità, conquistata da me per me, costringendo il Nulla a sorridermi? Ho scelto di costringere il mio Nulla a sorridermi”.  La questione innerva ogni passo del libro tra aforismi e pensieri di eccezionale valore letterario, e fonda una morale nuova, fresca, mai udita, senza concessioni alla negazione. Con un superamento vertiginoso delle colonne d’Ercole del pensiero umano si direbbe, Saccà non vuole mascherare il Nulla, lo attraversa tutto, invece fissandolo da pari a pari  muto in ogni suo giorno, ma fa della coscienza del Nulla incommensurabile una forza vitale di segno contrario.  “Moltissimi sono ricchi di morte e poveri di vita”. Al pari dei grandi tragici, 2misuratori della condizione umana”, Pascal e Leopardi  più di altri, per Saccà, coloro che hanno pensato la desolante inconsistenza dell’umanità peritura. Saccà incarna una razza nuova di uomo tragico, spinto ancor oltre ogni lido certo. “Il divenire è una relazione tra presenti diversi”. Niente approdi definitivi, dunque, ecco la novità epocale del filosofo-uomo Saccà: né se stessi, né l’altro, né la società, come tali. E ciò malgrado continuare a volere la felicità, in tutto ciò che la può manifestare, pur nella dissoluzione manifesta della Natura e dell’uomo. L’uomo non si scaglia contro i simili meno che la Natura avversa, “L’uomo che rende difficile il vano, cruciale l’inconsistente”. La dimensione intima esistenziale intreccia la dimensione sociale dell’uomo, e qui Saccà sociologo espande il filosofo in un genere unico che contraddistingue Saccà quale pensatore integrale della modernità. In grado di passare in rassegna il pensiero antico e moderno con sintesi ispirata e umanissima, conoscitore sottile e trasversale, egli rianima, intreccia, fonde, ricrea l’esperienza speculativa dei grandi temi dell’esistenza con una linfa vitalissima di sincretismi. Antico Oriente, Grecia, Cattolicesimo, pensiero moderno, “la superiorità è su sé stessi. E’ superamento. Superare gli altri è secondario”. L’uomo moderno pare avere rimosso le questioni cruciali con il suo relativismo svilente e perverso.  Non piu’ qualità, non piu’ civiltà. Un uomo tutto sociale, mascherato di democrazie senza scopi aristocratici, anzi mirate a danneggiare il suo prossimo in un sistema consolidato di sfruttamento. Saccà conia definizioni sociologiche di portata decisiva nell’inquadrare la crisi della società attuale. E’ da menzionare la distinzione di “società orizzontali “ mosse dal “criterio della diversità” e “società verticali” fondate sul “criterio della disuguaglianza”.  “Il diverso esclude la valutazione. Ma senza valutazione non vi è civiltà”. In questa distinzione esiste una possibilità. Starà a noi volere la nostra civiltà. Tali nostre società hanno invece distillato la vocazione dell’uomo alla distruzione del suo prossimo. “All’uomo di tutta la civiltà è rimasto l’arte. E la donna”. Una immagine di donna sulla copertina del libro, accoglie il lettore in plastica nudità, fiorente di sensuale evocazione. Ce la dona il fecondo pittore Carmelo Crea, chiamando la sua opera “La vita è un corpo di donna”; colori dall’accostamento e consistenza strabilianti e un tratto netto rigoroso e sinuoso, offrono in un’immagine il senso del libro, il bisogno di potenziare la vita con mezzi e scopi adeguati. Il ritratto dell’eroica madre dell’autore Saccà e il ricordo sofferto della tragica morte del padre mai conosciuto, sono cammei letterari di lacerante bellezza, testimonianza dell’alchimia che solo l’arte riesce a compiere persino dal dolore.
Il libro culmina in una memorabile messa in scena, oltre ogni speculazione. L’autore chiede in sposa la Vita. Ma... Senza ‘ma’. Portavoce corifeo di un sogno ad occhi aperti.

Nessun commento:

Posta un commento