14 novembre 2014

FIGLI E GENITORI DOPO LA SEPARAZIONE

I benefici e gli effetti positivi sulla salute del minore di un atteggiamento cooperativo tra gli ex coniugi nella relazione post-coniugale.

di Floriana Pagnottoni
La sorte dei figli di genitori separati è un tema cruciale nella società contemporanea, né può essere considerato un problema isolato di chi si trova ad affrontare la separazione, poiché la collettività intera è responsabile del buon funzionamento del sistema famiglia.
Le pagine di cronaca locale fotografano la preoccupante realtà di minori contesi, utilizzati come merce di scambio, di ricatto in caso di divorzio o separazione. I dati, nel nostro Paese, appaiono impressionanti: si contano oltre novantamila figli coinvolti ogni anno nelle separazioni coniugali, di cui quarantacinquemila sotto gli undici anni. I divorzi si collocano nell’ordine dei cinquantacinquemila l’anno e le separazioni più di ottantottomila e le cifre stimate sono in costante crescita.
L’introduzione del divorzio negli anni Settanta ha sancito il diritto individuale a separarsi come incondizionato o comunque prevalente sul diritto dei figli a essere cresciuti da entrambi i genitori.
Occorre interrogarsi sul punto: chi sono i soggetti meritevoli di tutela legislativa?
Adulti con presunta capacità di agire e necessaria imputabilità delle conseguenze delle proprie decisioni, ancorché errate, o minori (e non) che si trovano a subire le conseguenze dello scioglimento del vincolo matrimoniale?
Ma cosa, davvero, possono fare i genitori, una volta separati, per proteggere i figli dai possibili effetti negativi della separazione? Sappiamo bene che le conseguenze del divorzio sono influenzate da una molteplicità di fattori, quali l’età, il genere dei figli, il tipo di relazioni preesistenti la separazione, fattori che rendono ogni caso - a suo modo - “unico”.
Su alcuni assunti, comunque, la letteratura appare concorde. Tra i principali fattori che hanno una valenza protettiva per il minore, figlio di genitori separati, possiamo ricordare in primo luogo le relazioni che egli instaura con i suoi genitori e la possibilità di trovare in essi dei punti di riferimento stabili, da cui ricevere sostegno nei momenti di bisogno.
Se il minore può contare su uno scambio comunicativo valido e su legami affidabili, la famiglia, anche se separata, sarà una risorsa importante per la promozione del suo sviluppo.
Inoltre, avere la possibilità di stabilire una relazione positiva e soddisfacente con entrambi i genitori diminuisce in maniera significativa la sensazione che i minori possono avere di sentirsi contesi o abbandonati.
Anche la famiglia di origine dei genitori separati è un’importante risorsa per i minori durante il processo di separazione genitoriale.
In questa rete familiare, i nipoti trovano infatti dai nonni un forte sostegno, spesso il rapporto nonno-nipote rappresenta l’unico anello di congiunzione con la propria storia e le proprie origini.
Pertanto è importante che i bambini mantengano i rapporti già stabiliti con i loro nonni.
In senso più propositivo, si può dire che fondamentale appare la volontà dei genitori di consentire al figlio un accesso a entrambe le stirpi di appartenenza, rispettando il suo diritto a confrontarsi con le proprie origini.
E’ questo il compito cruciale che i coniugi separati sono chiamati ad assolvere: il suo mancato assolvimento rappresenta infatti non solo la negazione al figlio di poter godere affettivamente della relazione con entrambi i genitori, ma soprattutto non salvaguarda il suo diritto di sperimentare - al di là della frattura coniugale - la tenuta nel tempo del legame genitoriale, del quale egli resta, comunque, il segno indissolubile.
La difficoltà maggiore degli ex-coniugi nel compiere questo passo sta nello scindere il destino del legame coniugale da quello del legame genitoriale.
Se l’elemento fondamentale dell’evento critico della separazione è la fine della relazione coniugale, è necessario che la perdita a esso associata venga rielaborata, per impostare la relazione tra i due adulti su basi diverse, rispondenti alle esigenze della nuova situazione.
Questo compito può essere affrontato dalla coppia con esiti differenti, in relazione ai comportamenti agiti dagli ex-partner. Si considerino, in proposito, le differenze tra una modalità relazionale conflittuale e una collaborante.
Nella famiglia conflittuale, gli ex-coniugi non riescono a raggiungere il divorzio psichico e persistono nel rapportarsi in modo conflittuale, in quanto, anche se entrambi continuano a occuparsi dei figli, sono in disaccordo sui rispettivi stili educativi e tendono a instaurare “genitorialità parallele”.
Spesso, i minori si trovano così a essere vittime di autentici conflitti di lealtà. Per non parlare dei casi di alienazione genitoriale, in cui non vi è alcuna possibilità di collaborazione, in quanto gli ex-coniugi continuano a danneggiarsi l’un l’altro, ma soprattutto a danneggiare il figlio, attraverso un conflitto aspro che si manifesta con squalifiche e denigrazioni reciproche, liti violente, battaglie giudiziarie interminabili. La rabbia è così intensa che nessuno dei due genitori può accettare i diritti dell’altro: l’ex-coniuge è semplicemente un nemico da eliminare dalla propria vita e da quella dei figli.
Dal punto di vista relazionale, il rapporto conflittuale tra i genitori, coinvolge i figli in triadi rigide, ovvero una dinamica relazionale in cui il confine tra il sottosistema genitoriale e il figlio diventa diffuso, e quello intorno alla triade genitori-figlio diviene, invece, esageratamente rigido.
I figli coinvolti in triadi rigide percepiscono i rapporti con i genitori con disagio, proprio perché sono sottoposti a richieste di alleanza e conflitti di lealtà. Possono presentare vissuti depressivi per la perdita del genitore rifiutato, con gravi sensi di abbandono e, allo stesso tempo, di colpa per aver in certo senso provocato l’allontanamento del genitore.
Non è raro riscontrare in questi minori disturbi dell’adattamento, quali sintomi d’ansia, manifestazioni psicosomatiche, insicurezza, scarsa stima di sé, difficoltà scolastiche, difficoltà d’identificazione.
Ben diverso è il caso di una famiglia collaborante: quando entrambi gli ex-coniugi hanno rielaborato la perdita relativa alla separazione coniugale e hanno maturato un buon senso del sé, è possibile impostare la relazione con l’ex-partner su nuove basi, adatte alla nuova situazione.
In questi casi, la riorganizzazione delle relazioni all’interno della famiglia avviene in maniera meno traumatica e con minori vissuti di perdita, soprattutto per i figli. Gli adulti cooperano nell’interesse della generazione dei figli, e questa collaborazione tra gli adulti, che si è realizzata durante il percorso separativo, viene poi estesa alle eventuali famiglie “ricostituite” da uno o entrambi i genitori allevanti.
I minori possono accedere a entrambi i genitori e, soprattutto, non sono coinvolti nelle dinamiche relazionali disfunzionali (coalizioni, triangolazioni, deviazioni), che derivano da un conflitto non risolto tra gli ex-coniugi, e che rappresenta la principale causa del malessere psicologico dei figli di genitori separati.
Pertanto, possiamo ragionevolmente concludere che non è tanto la separazione in sé a essere fonte di difficoltà per il minore, quanto l’alta conflittualità che lo accompagna.
In molte vicende di cui si occupa il Tribunale per i minorenni riguardanti l’affidamento della prole, risulta evidente che le coppie occupate a litigare furiosamente per stabilire se il figlio deve trascorrere poche ore alla settimana di più o di meno con uno dei genitori, non si accorgono che per il benessere del bambino non è tanto importante con chi stia, quanto piuttosto che la smettano di litigare.
Qualunque soluzione è preferibile piuttosto che farlo assistere alla drammatica incapacità dei genitori di trovare un accordo. Ma essi, presi dalle loro priorità emotive fatte di bisogni di vendetta, di punizioni, di orgoglio ferito, non sono in grado di accorgersene.
Proprio la difficoltà ad assumere un ruolo collaborativo, in quanto genitori, mentre si provano verso l’ex-coniuge sentimenti connotati negativamente come rabbia, frustrazione, invidia, desiderio di vendetta, spiega la necessità di un intervento tecnico come la mediazione familiare, che ha l’obiettivo di aiutare i genitori che si separano a trovare stabili modalità di collaborazione.
E’ oggettivamente difficile collaborare con la stessa persona da cui ci si sente traditi, delusi, offesi, ma è proprio questo il difficile compito genitoriale che viene richiesto a coloro che si stanno separando.
Fare il genitore non è più un fatto naturale e, dopo la separazione, ciò che veniva attuato istintivamente, richiede invece molta più consapevolezza e riflessione personale e come coppia, ragion per cui è opportuno offrire a padre e madre un tempo e uno spazio per cominciare ad assolvere all’interno di un “tragitto protetto” questo nuovo compito vitale per sé e per gli altri. E qui entra in campo il mio lavoro come mediatore familiare.
Non è sufficiente, infatti, la redazione di accordi di non belligeranza tra i genitori, come avviene formalmente nella maggior parte delle separazioni consensuali; alla mediazione familiare la comunità sociale assegna una funzione più ampia: chiede che davanti a un terzo - rappresentante del corpo sociale - avvenga il riconoscimento dell’altro e il recupero della fiducia nei legami.
Si specifichi allora il contenuto di valore distintivo- rispetto a una mera facilitazione di raggiungimento di una separazione consensuale- del lavoro del mediatore, quale traghettatore della coppia da una relazione conflittuale a una cooperativa;
I mediatori familiari possono aiutare i genitori a:
•    Accrescere il loro livello di cooperazione, valorizzando i punti di accordo seppur minimi, e ridurre la conflittualità rispetto ai figli;
•    Incoraggiarli ad accettare la continuità del ruolo di entrambi - e delle rispettive stirpi di appartenenza - nella vita dei figli;
•    Aiutarli a concentrare l’attenzione su ognuno dei figli individualmente;
•    Promuovere l’elaborazione di accordi che liberino i figli da conflitti di lealtà o da altre pressioni;
•    Discutere insieme le modalità con cui comunicare ai figli i loro nuovi accordi;
Valutare insieme ai genitori se bambini e adolescenti debbano essere coinvolti direttamente nella mediazione, in modo da poter tenere conto dei loro punti di vista e sentimenti, senza caricarli di responsabilità decisionale.

Forte di questo mandato sociale, il mediatore gioca, altresì, un ruolo ispirato alla valorizzazione dei legami tra le generazioni e tra le stirpi, dedicando molto tempo all’esplorazione della natura dei legami tra genitori e figli, tra figli e nonni, tra stirpe materna e stirpe paterna.
Per fare ciò, può avvalersi di strumenti grafico-simbolici del corredo metodologico proveniente dalla ricerca o dalla terapia di coppia e prefigura con padri e madri scenari futuri circa le finalità possibili del patto genitoriale e sulle differenti modalità di portare in salvo il legame.
Come denunciano gli studi citati sugli effetti della separazione sui figli, è la stessa realizzazione dell’identità del figlio a essere legata alla possibilità di mantenere vivi i canali con entrambe le stirpi, che non vanno annullati o mortificati.
Si è dunque argomentato fin qui il ruolo della mediazione familiare come strumento privilegiato nel garantire la tutela dei diritti del minore, delle generazioni future, un generare che non è solo biologico ma anche frutto del prendersi cura: il nuovo e sempre antico dono che la famiglia fa alla società.
In questo senso, allora, la mediazione familiare si cura del benessere degli individui e della società intera: le nuove generazioni, che conoscono la sempre crescente fragilità dei legami coniugali, vanno tutelate, educate alla gestione costruttiva dei conflitti e al valore dei legami.
E questa impresa può essere fatta solo dalle famiglie, ma non dalle famiglie sole, non dalle famiglie lasciate sole.
Ciascun tempo storico e ciascuna cultura richiede forme di sostegno; qui e ora, si intende assegnare alla mediazione familiare il compito di prendersi cura dei legami familiari per permettere alla società di rigenerarsi, evolvere.

Dott.ssa Floriana Pagnottoni, giovane professionista italiana, dopo la laurea in legge si dedica al lavoro nel sociale, con particolare impegno nei servizi rivolti alle famiglie. Da sempre alla ricerca di una giustizia che sia più vicina al cittadino e innanzitutto ancorata a saldi principi etici, affina le proprie competenze nella gestione efficace della conflittualità, conseguendo i titoli di Mediatore Familiare e Mediatore Civile e Commerciale.
Come Mediatore Familiare, vanta la partecipazione a un progetto di riforma dell’affidamento nel Paese, in nome del pieno diritto del minore alla bigenitorialità, come sancito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989, ratificata con l. n.176/1991).

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