26 giugno 2014

Intervista a Stefano Bartolini, docente di economia politica, Università di Siena

Abbiamo chiesto al Prof. Bartolini se esiste un’altra strada allo scontro socio-culturale tra finanza ed economia reale.

di Giorgio Gasperoni
Possiamo affermare che la finanza ha distrutto l’economia reale?
Sì! La finanza ha distrutto l’economia reale perché tantissimi capitali che sarebbero stati investiti nell’economia reale sono stati invece attratti da quella specie di casinò mascherato che è la finanza in cui ci sono grosse possibilità di guadagno e dove le giuste informazioni sono molto bene occultate dall’informazione finanziaria. Ciò che appare è una gallina dalle uova d’oro. Abbiamo tanti esempi in proposito anche in casa nostra: la Fiat ad esempio, siamo sicuri che sia ancora un impero industriale e che non sia principalmente dedita alla finanza? Notoriamente Marchionne non è un uomo d’industria, è un uomo di finanza. Infatti, da quando c’è lui, mi pare che la Fiat non abbia prodotto alcun nuovo modello d’auto. Ma io rincarerei la dose dicendo che la finanza, oltre a distruggere l’economia reale, ha distrutto la politica. Come? L’ha completamente schiavizzata. Un famoso funzionario dell’amministrazione Clinton dichiarò che il problema non sono le grandi corporazioni che evadono le leggi, ma che fanno le leggi! Le scrivono proprio loro, escono dai loro computer, e i governi e parlamenti si limitano ad approvarle e applicarle. La politica è completamente schiava del business, in particolar modo della finanza.
Possiamo notare delle similitudini fra la crisi attuale con la crisi del ‘29. La cosa che le accomuna è l’esplosione di una montagna di debiti. Del resto, tutte le grandi crisi finanziarie sono causate da montagne di debiti che alla fine scoppiano. Quando i debiti sono troppi, la gente comincia a non pagare più. Nonostante ciò è immediatamente evidente la differente reazione della politica. Dopo la crisi del ‘29, la politica regolò la finanza e la mise sotto controllo. Ciò durò all’incirca fino agli anni ’80 quando Reagan cominciò a smantellare gli ordinamenti finanziari. In sostanza, le regolazioni finanziarie avvenute dopo la crisi del ’29 hanno garantito il sistema per oltre 50 anni.
Invece la politica attuale cosa ha fatto dopo la crisi odierna? Assolutamente niente! Non è cambiato nulla. Tutti i meccanismi che ci hanno portato alla crisi sono tuttora in vigore. Continuano a produrre bolle speculative e minacce di crisi. Qual è il motivo? E’ bene essere chiari: le leggi non le fanno i politici ma le grandi corporazioni finanziarie. Del resto, i soldi delle lobby finanziarie finanziano tutti i partiti e non solo quelli di governo ma anche quelli all’opposizione. In questo modo i partiti politici sono resi completamenti dipendenti ai loro scopi. Un altro aspetto da considerare è che la politica è diventata molto costosa, specialmente in questi ultimi vent’anni. Le campagne elettorali sono costosissime e quindi la politica ha bisogno di tanti soldi.
Data questa situazione, vede una via d’uscita, e quale dovrebbe essere il percorso?
Innanzitutto, la finanza dovrebbe essere regolata. Andrebbe separata, ad esempio, l’attività delle banche commerciali da quelle d’investimento. Gli interventi che si potrebbero prendere sono tantissimi ma non c’è il tempo di analizzarli in una breve intervista come questa. Si potrebbe parlare di Tobin Tax e molto altro ma il punto essenziale è che non si è fatto nulla. La situazione è come quella del periodo pre-crisi.  Il messaggio è questo! Siamo di nuovo a rischio di nuove bolle speculative. Non si è fatto niente perché la politica è totalmente schiava dell’economia finanziaria. La situazione è disperata!
La soluzione può venire tornando a una maggiore economia reale?
Sì, certo! La crescita non deve avvenire con le bolle speculative, ma tramite l’economia reale. Bisogna mettere sotto controllo la finanza speculativa. Questo è un compito politicamente molto impegnativo ma non ci sono alternative.

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