12 novembre 2013

TRA TAJIKISTAN ED AFGHANISTAN

Turismo alternativo in un confine insidioso e precario nel cuore del Pamir, Asia Centrale

di Carlo Alberto Tabacchi,

Il mio pensiero è quanto paradossalmente possa essere meravigliosa ed incredibile l'inospitalità di certi luoghi, in cui talvolta le immensità e le asperità del Pamir seducono ed intimoriscono. Splendidi ricordi di intensi paesaggi, in un contesto di colori e polvere: disagi e difficoltà spariscono e restano forti sensazioni positive.Dalla guida tagika, veniamo a sapere che nei circa 250 chilometri percorsi esistono soltanto 2 ponti (!) presidiati da militari: come si intuisce, le possibilità di contatti tra le due entità restano per ora completamente assenti (mentre è molto fiorente il contrabbando di droga ed esseri umani). Tutti questi chilometri si svolgono in un'atmosfera placida e silenziosa, all'insegna di due popoli confinanti che coabitano vicini ma senza la possibilità di incontrarsi o dialogare.
Il fiume Panj, affluente del più noto Amu Darya, divide per alcune centinaia di chilometri la frontiera tra Tajikistan ed Afghanistan. Le sue acque grigie sono spesso agitate, con forti mulinelli e minacciose increspature. Questo confine si trova nella regione del Pamir, "the roof of the world"; resta un'area ad alta intensità montuosa, con picchi che superano i 7000 metri: il più alto è l'Ismail Samani, 7495 m. Tale impervia zona ha solo risorse minerali: uranio, oro, bauxite ed amianto che interessano e molto Pechino.
Il pullmino Mercedes con autista tagiko e 2 interpreti sempre tagiki ed 8 turisti italiani si inerpica su una tortuosa mulattiera, piena di avvallamenti, buche e qualche piccolo guado. La silenziosa vallata percorsa è stretta tra due montagne: nel territorio tagiko scorre una strada non asfaltata che attraversiamo con il minivan, poi il fiume Panj che agisce da spartiacque ed infine le pendici delle montagne dell'Afghanistan nord orientale, comprese nella regione del Badashan, con capoluogo Feizabad.
I miei occhi sono costantemente proiettati su un quasi incessante camminamento o sentiero che si dipana qualche metro o qualche centinaio di metri sopra il fiume, come un elegante ricamo o un sottile filo nel vicino confine afgano. Ogni tanto si vedono modesti e quieti villaggi afgani, che si mimetizzano con la vegetazione.
Talvolta si intravedono contadini e solitari bambini. Le finestre delle casette sono spesso senza vetri oppure rivestite da teli di plastica chiara. Il fieno viene raccolto ordinatamente in piccoli covoni mentre sporadici animali domestici e mucche ronzano intorno, in questo scenario pacato, tranquillo.
Il sentiero afghano rimane perlopiù deserto: ogni tanto un isolato contadino lo percorre con un mulo o con la moto: balza evidente la differenza con la scomoda mulattiera tagika attraversata da auto ed addirittura da grossi e lunghi camions tagiki e anche cinesi, della vicina provincia dello Xinjang (o Turkestan orientale). Il sentiero afgano talvolta si interrompe o "si perde" in altri camminamenti che entrano nella erta ed arcigna montagna, sparendo quindi agli occhi umani.
Ad un tratto il minibus si ferma in quanto nel vicino sentiero stazionano sedute 4-5 donne afghane con accesi vestiti, all'ombra di una sovrastante roccia. Cerchiamo incuriositi di fotografarle, ma si rivoltano e addirittura una di loro ci scaglia infastidita 2-3 pietre, ma il suo gesto risulta velleitario in quanto ci separano 4-500 metri.
Ammiro la tenacia e la costanza dei costruttori del lungo sentiero che si inerpica dolcemente, a volte scavato nella montagna incombente; si intravedono villaggi semi abbandonati, con casette senza finestre e senza tetto.

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