10 agosto 2013

Fra riconciliazione e dolore delle vittime, i 25 anni della rivolta studentesca birmana


AsiaNews | 08 agosto 2013

Oggi il Myanmar celebra il giubileo d’argento di “Generazione 88”, il movimento simbolo dell’opposizione contro i militari. Uno dei leader, auspica “giustizia e riconciliazione”, senza rinunciare alla verità. E chiede di risolvere il problema “etnico”. Ma resta ancora vivo il dramma dei morti e le sofferenza delle famiglie.

Yangon -- Fra appelli "alla giustizia e alla riconciliazione" e il dolore di genitori che non dimenticano il dramma di una figlia uccisa dalle pallottole dei militari, in Myanmar si celebra oggi il giubileo d'argento della rivolta studentesca, passata alla storia come "l'8-8-88". Nell'agosto di 25 anni fa hanno preso il via manifestazioni di piazza che inneggiavano alla democrazia guidate da un manipolo di studenti, represse nel sangue dalla dittatura al potere. Una delle pagine più nere della ex Birmania, che oggi sembra avviata verso un cammino di riforme e aperture ai diritti civili; tanto che persino la leader dell'opposizione e Nobel per la pace Aung San Suu Kyi - 15 degli ultimi 21 anni agli arresti domiciliari per ordine dei generali - può vantare un seggio in Parlamento.
Tuttavia, le fratture restano ancora aperte e diversi movimenti prima ancora della pacificazione, chiedono che venga fatta giustizia. Fra i tanti vi è l'appello di Human Rights Watch (Hrw), che auspica un'inchiesta a posteriori sui fatti che, nel 1988, hanno determinato la sanguinosa repressione della protesta popolare da parte dei militari. Brad Adams, direttore per l'Asia, afferma che "gli omicidi di massa di 25 anni fa in Birmania - 3mila morti e 10mila studenti in esilio, ndr - sono tuttora ferite aperte e mai affrontate, che minano la retorica governativa delle riforme".
Per anni la rivolta studentesca e il seguente massacro ordinato dalla giunta militare sono stati argomenti tabù in Myanmar. Dal 2011 pare che qualcosa sia cambiato, anche se è impossibile dire se la nazione ha lasciato alle spalle 50 anni di dittatura e violenze. Resta il fatto che lo scorso anno migliaia di birmani - fra cui attivisti ed ex detenuti politici - hanno celebrato per la prima volta l'anniversario con il benestare del governo, inondando come oggi le vie di Yangon, Mandalay e altre città del Myanmar per ricordare il fatidico "8888".
Protagonista della rivolta il movimento studentesco "Generazione 88", che a distanza di quasi 20 anni ha preso parte pure alle proteste di massa dell'agosto 2007, contro la decisione del regime militare di aumentare i prezzi del carburante; l'agitazione è poi sfociata in una vera e propria rivolta popolare, guidata dai monaci e repressa ancora una volta nel sangue dall'esercito. Ed è proprio uno dei leader di "Generazione 88", il 50enne Min Ko Naing - in questi giorni a Yangon per partecipare a una tre giorni di commemorazione cui sono presenti anche funzionari governativi - ad auspicare "giustizia e riconciliazione" per il futuro. In un'intervista all'Irrawaddy il dissidente più famoso dopo "la Signora" sottolinea che "la ricerca della verità non è sinonimo di vendetta".
I cambiamenti non avvengono in modo rapido e indolore, spiega, per questo "dobbiamo continuare a lottare" secondo un percorso che porti all'armonia fra le varie anime del Myanmar senza per questo "sacrificare la verità storica dei fatti". Ed è sicuro che alla fine "Dhamma (la giustizia) prevarrà sull'Adhamma (l'ingiustizia)". In un contesto di "maggiore libertà" restano però "alcune leggi draconiane" come la Electronics Act. Ma soprattutto va risolto il "problema etnico", perché altrimenti "qualsiasi riforma politica sarà inutile e non sarà possibile costruire una nazione nuova".
Ancora oggi, però, in Myanmar vi sono famiglie che non possono dimenticare il dramma vissuto ai tempi delle rivolte di "Generazione 88". Come il 61enne U Win Kyu, per il quale l'anniversario rappresenta sempre una ferita aperta; quella di un padre - e di una madre - che ha perso la figlia per mano militari e uno scatto che è diventato una delle immagini simbolo della violenza dei militari (nella foto). "Ogni anno mi torna tutto in mente" racconta, ripensando agli ultimi istanti di vita dell'allora 16 enne Ma Win Maw Oo uccisa da un proiettile nei polmoni. La ragazza era una delle tante attiviste del movimento studentesco e l'immagine della sua morte, apparsa sulla copertina dell'edizione asiatica di Newsweek, è uno dei simboli più forti della brutalità dei militari.
Fra le ultime volontà, Ma Win Maw Oo ha espresso il desiderio che i genitori non invocassero meriti sulla sua anima di defunta - secondo una tradizione radicata nel Myanmar buddista - fino a che "la Birmania non potrà godere della democrazia". "Da madre, non voglio che la sua anima continui a vagare" afferma Daw Khin Htay Win, "ma devo rispettare la sua volontà e la promessa che le ha fatto mio marito" in punto di morte. E non bastano le (presunte o reali) riforme avviate dal governo di Naypyidaw negli ultimi due anni, perché "non si può dire che la democrazia splenda nel nostro Paese". Come è facile immaginare, non amano l'esercito e le divise ma - al tempo stesso - non sono alla ricerca di vendette personali". Mia figlia è stata uccisa in modo brutale, conclude il padre, ed era il suo "destino" affrontare la morte in questo modo; tuttavia, "vorremmo tanto che il presidente offrisse una sorta di memoriale o compisse un gesto per ricordare quanti sono deceduti nella rivolta dell'88. Se ciò avvenisse per davvero, sarebbe motivo di gioia e orgoglio per noi".

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