5 aprile 2013

La sovranità alimentare, il diritto di tutti i popoli

Il concetto di Sovranità Alimentare è stato lanciato per la prima volta da La Via Campesina nel 1996, durante il Summit Mondiale sul Cibo della FAO che ebbe luogo a Roma

di Elena Chirulli

Un concetto elaborato anche come reazione all’inclusione di cibo e agricoltura nei processi di liberalizzazione

della nascente WTO e che da allora ha assunto un ruolo sempre maggiore nel dibattito su cibo e agricoltura e nelle riflessioni sulle politiche alternative al neoliberismo.
La Sovranità Alimentare, infatti, mette i contadini, i produttori e i cittadini al centro del dibattito e sostiene il diritto di ciascuno e di tutti i popoli a produrre alimenti locali e culturalmente appropriati, indipendentemente dalle condizioni del mercato internazionale.

L'incontro dello scorso 6 ottobre a Padova, nell’ambito delle Giornate della Cooperazione organizzate dal Comune, è stata la prima tappa di Mamadou Cissockho, fondatore e presidente onorario di ROPPA (Réseau des Organisations Paysannes et des Producteurs de l'Afrique de l'Ouest – Rete delle Organizzazioni Contadine e dei Produttori dell'Africa Occidentale) e del CNCR (Conseil National de Concertation des Ruraux, il più grande sindacato contadino del Senegal). Senegalese, leader indiscusso del movimento contadino africano, Mamadou Cissokho, è noto in tutto il mondo per le sue battaglie contro le politiche agricole neoliberali della Banca Mondiale e del FMI, e per la promozione della Sovranità Alimentare in Africa e nel mondo.
Promotore e protagonista, negli primi anni 2000 di una imponente campagna di advocacy internazionale contro i modelli del libero scambio promossi dal WTO e dall'UE, sostenuta da numerose ONG italiane ed europee, che – dalle adunate oceaniche di contadini allo stadio di Dakar, alle riunioni al Parlamento Europeo di Bruxelles – finirà per convincere i Paesi dell'Africa Occidentale a uscire dai negoziati (European Partnership Agreement, NEPAD). “Per mobilitare i contadini, bisogna rilanciare la speranza; e la speranza, in un continente che vive di piccola agricoltura contadina, è una trasformazione controllata dal basso: tutto il contrario di questa trasformazione verticale imposta dall'alto che i grandi donatori vogliono far sottoscrivere ai nostri governi, obbligandoci a perdere le nostre terre. Per Cissokho, l'unica via per frenare la fuga dalle campagne, paradossale in tempi di crisi alimentare, è proteggere le economie africane “come ha fatto l'Europa per 50 anni.  (Fonte da Cospe)

Intervista a Mamadou Cissokho Presidente onorario CNCR – ROPPA
Qual è il messaggio che vuole lasciare agli italiani?
Vorrei dire agli italiani, che l’alimentazione è la base della vita di tutti gli esseri umani. Non è quindi soltanto un problema dei grandi mercati di esportazione. Siamo ciò che mangiamo, perciò è importante che tutti i popoli, tutti i paesi si mobilitino per assicurare la sovranità alimentare.
Cos’è il Forum Sociale e quanto è importante la recente partecipazione dell’Africa?
Il Forum Sociale è uno spazio di discussione. E’ un ambito di contrattazione politica dove vengono prese delle decisioni, ma la partecipazione dell’Africa al Forum Sociale ha permesso un’apertura più ampia di energia, di attori, della società civile e quindi la democrazia è stata rinforzata in Africa, compresa la democrazia che è legata strettamente all’ambito politico, alla realtà locale.
Prospettive per il futuro?
Non è possibile conoscere il futuro se non si conosce il passato. Non ci si può relazionare con gli altri se ignoriamo ciò che siamo e quindi dobbiamo conoscere come le nostre società sono state costruite.     Vedere i limiti e le debolezze della mia cultura mi fa capire che bisogna essere più tolleranti con gli altri e che ci troviamo in una situazione in cui non possiamo non comprendere l’importanza dell’appartenenza del mondo comune di tutti gli esseri umani.
Qual è il ruolo della donna nella società africana?
Le donne nelle nostre società, nelle nostre culture hanno il compito di nutrire. La donna nutre il bambino con il latte e quindi è questo principio che continua: la donna prepara l’alimentazione, noi uomini lavoriamo per produrre i cereali: il grano, il sorgo, il miglio, ecc. La sfida che dobbiamo raccogliere in Africa è lavorare insieme affinché le donne sentano meno la fatica e possano avere anche il tempo da dedicare alla propria libertà, per coltivare i propri hobby, queste sono le sfide che dobbiamo raccogliere. Le donne lavorano troppo, hanno troppa domanda, questo si riflette con delle problematiche sulla loro salute ed è un vero e proprio handicap per l’armonia della famiglia. Ma ci sono dei progressi, ci stiamo lavorando. Ci sono sempre più macchinari che sostengono le donne nel lavoro di trasformazione del prodotto. Gli uomini ormai sono sensibilizzati, disponibili ad aiutare le donne, ad occuparsi loro stessi dei bambini. Bisogna aggiungere poi che da noi ci sono i nonni che hanno un ruolo importante nell’educazione. Stiamo facendo progressi ma ciò che è pericoloso è copiare un modello. Molte persone vogliono che noi si sia identici ad altri. Io non sono per niente d’accordo. Abbiamo il diritto di avere il tempo per proporre la nostra trasformazione, perché questo è davvero sostenibile.
Riuscirà l’Africa ad attivare questo cambiamento anche con l’aiuto delle forze politiche locali?
E’ la nostra convinzione. I contadini africani sono in grado di nutrire se stessi e di esportare. In tutti i paesi del mondo dove l’agricoltura è stata un successo, ci sono state delle figure politiche che l’hanno accompagnata, una volontà politica con degli investimenti pubblici, dei meccanismi di protezione, dei prodotti alimentari. L’Africa non potrà trovare la soluzione se non farà la stessa cosa. Non è decidendo di regalare la terra agli stranieri che riusciremo a risolvere questo problema. Dobbiamo investire affinché i contadini che da sempre si dedicano e si consacrano all’agricoltura e che già  da ora sono in grado di nutrire l’Africa, possano farlo sempre meglio.
Che prospettive lavorative riserva ai giovani il futuro africano?
Il 70 % della popolazione africana è formata attualmente da contadini. Abbiamo delle difficoltà climatiche, economiche e di attesa d’investimento pubblico, quindi se riusciamo a cambiare questa situazione saremo in grado di creare più impiego, perché semplicemente grazie ai sostegni, gli aiuti, le convenzioni, potremo ridare speranza ai giovani. Abbiamo tre sfide: primo fare in modo che i contadini, quando producono, possano sopravvivere del proprio lavoro, secondo é necessario che le popolazioni povere che consumano, possano comprare i prodotti, in terzo luogo il governo deve impegnarsi. E’ quindi necessario che ci sia un sostegno politico che protegga i nostri mercati.
Ci parli del ruolo dell’Europa e degli Stati Uniti.
L’Europa e gli Stati Uniti sono i più grandi produttori e mercanti del mondo, quindi ogni azione di questi due attori può essere positiva o negativa. Ad esempio, al fine di poter stabilizzare i prezzi ci servono delle riserve che sono state storicamente assicurate dagli stati vinti dall’Europa. Gli Stati Uniti hanno però incominciato a fare uscire il mais dalle loro riserve. Di metanolo, l’anno scorso ne hanno prodotto centoquaranta milioni. Anche l’Europa ha incominciato ad incoraggiare la produzione dei biocarburanti, non a livello degli Stati Uniti, ma comunque in maniera considerevole. Per questo anche in Europa le riserve sono crollate. Ci sono state poi grandi siccità in Australia e in altri paesi del mondo negli ultimi anni. Se la produzione è crollata, sono crollate anche le riserve lasciando spazio alle speculazioni finanziarie sui mercati agricoli. Potete ben comprendere che ci troviamo in una situazione di grave instabilità chiamata la “fiammata dei prezzi” e quest’anno i problemi si aggraveranno perché c’é stata siccità in America e Russia. Siamo certi che l’Africa debba definitivamente comprendere e insegnare che l’alimentazione è troppo importante per essere lasciata ai mercati mondiali. Possiamo e dovremmo produrre per nutrire noi stessi.
Cosa condividete con la “Via Campesina”?
Tutto. Condividiamo tutto con la “Via Campesina”*, l’agricoltura familiare, la dimensione multifunzionale dell’agricoltura e naturalmente il principio che tutti i popoli, tutti i paesi abbiano del nutrimento. Noi in Africa abbiamo la missione di portare avanti il dialogo con tutti. E’ veramente difficile che milioni di persone abbiano tutti le stesse idee, che pensino tutti allo stesso modo.  Comprendiamo anche che alcuni contadini non siano veramente del tutto d’accordo con noi. Questo però non ci impedisce di credere che dobbiamo continuare a parlare con tutti. Forse questa è l’unica differenza e anche una delle debolezze della Via Campesina. La mia organizzazione rimane comunque membro della “Via Campesina” e continueremo ad esserlo. E’ comunque un processo evolutivo anche per la Via Campesina, quindi non c’è nessun problema in particolare.
Ci rilasci un breve commento sul suo libro “Dio non è un contadino”
Non volevo scrivere proprio un libro, ma i miei fratelli e le mie sorelle hanno chiesto di farlo per  portare la mia testimonianza sul movimento. Per quanto riguarda il titolo, “Dio non è un contadino” ci sono degli elementi cattolici e musulmani. Tutti i credenti sono concordi nell’affermare che Dio fa cadere la pioggia e fa crescere le sementi. Ciò che è diverso è che lui non viene nel campo a coltivare ed è per questo che abbiamo messo “Dio non è contadino”. C’è una grossa differenza tra tutto quello che Dio fa per consentire che l’agricoltura esista e il lavoro degli uomini e delle donne che si impegnano per il successo del loro  lavoro.

* Il movimento internazionale di Via Campesina raggruppa le organizzazioni contadine e di lavoratori agricoli di svariate parti del mondo, che hanno come obiettivo principale la lotta per altre politiche agricole ed alimentari, più legittime, giuste, solidali e sostenibili; necessarie per affrontare problemi inerenti alla sicurezza alimentare, la salute, l'impiego del mondo rurale e la crisi dei prezzi alimentari, così come il riscaldamento climatico ed altri fattori di rischio.

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