21 marzo 2013

ETICA E VALORI NELLO SPORT

di Dino Dolci
Mi è stato chiesto di scrivere, più che un intervento, un'introduzione al dibattito. Vorrei fornire elementi di riflessione utili.
Ho conosciuto l'UPF e il suo presidente quando mi venne proposta (ero assessore allo sport) l'idea di un torneo di calcio interetnico. A quattro squadre, in una giornata. Ho visto crescere l'iniziativa negli anni, ogni volta con un'idea nuova. Ecco, mi piacerebbe che anche da questo convegno nascesse un'idea nuova e concreta, e che questo anzi ne fosse l'obiettivo.
Il tema dell'etica e dei valori nello sport è molto sentito, oggi. Non a caso i convegni sul tema proliferano: abbiamo tutti coscienza della crisi di questi valori.
Si conviene ogni volta che il nostro Paese manchi di sufficiente "cultura sportiva". Quando il problema è culturale vuol dire che il malessere è diffuso e ha basi profonde nel vivere civile. Così, anche la soluzione del problema deve avere la stessa profondità.
Guardando la scaletta degli interventi, immagino che saranno molte le testimonianze di "buone pratiche" che ci verranno offerte questa sera. Le buone pratiche possono rappresentare un'occasione di contaminazione positiva, perché si possono imitare e riprodurre. Per esempio, sarebbe bello replicare anche in altri sport, di squadra e non, l'iniziativa dell'UPF, straordinaria per gli obiettivi di carattere sociale e culturale che si raggiungono attraverso il gioco e il divertimento.
Ma non può bastare: lo sport in Italia è in crisi nonostante l'associazionismo, il volontariato e i tanti esempi belli che tutti i giorni abbiamo davanti agli occhi.
Credo che sia ora di alzare lo sguardo al macigno che impedisce allo sport di sviluppare quelle potenzialità straordinarie che tutti gli riconoscono, per la crescita della persona e di una società più civile. Io non starò a dilungarmi sul significato di etica e di valori, perché saranno le testimonianze che verranno espresse questa sera a chiarirlo meglio di ogni parola. Mi chiedo e chiedo invece perché tanto sforzo, tanta qualità e generosità non producano un risultato complessivo migliore. Che cosa lo impedisce?
Non v'è dubbio che siano gravi le responsabilità della politica, riguardo allo sport. Il nostro è un paese gravemente inadempiente, rispetto a ripetute indicazioni che vengono dal Consiglio d'Europa: "Lo sport è un'attività umana che si fonda su valori SOCIALI, EDUCATIVI e CULTURALI essenziali. E' un fattore di inserimento, partecipazione alla vita sociale, tolleranza, accettazione delle differenze e rispetto delle regole… deve essere accessibile a tutti nel rispetto delle aspirazioni e delle capacità di ciascuno e nella diversità delle pratiche agonistiche o amatoriali, individuali o organizzate"; e: "chiunque ha DIRITTO di praticare lo sport che, in quanto fattore importante di sviluppo umano, deve essere incoraggiato e sostenuto in maniera appropriata con finanziamenti pubblici". I principi sono chiari, i governi hanno il dovere di declinarli nei vari paesi con leggi e provvedimenti adeguati.
Così non è stato, così non è! Secondo gli indicatori quali-quantitativi più significativi (e fonti autorevoli), il nostro paese è all'ultimo posto tra i 27 paesi dell'Unione europea per la partecipazione sportiva (il 40% delle persone ha uno stile di vita sedentario), per il tempo dedicato nella scuola alla educazione motoria e fisica (480 ore/anno) e per finanziamenti pubblici (430 milioni euro).
Credo che, se non partiamo da qui, proponendoci di cambiare radicalmente questi dati, tutto quello che produrremo avrà valore molto relativo. E credo, altresì, che nessuno possa chiamarsi fuori: sport buono si produce attraverso politica buona e questa attraverso una diversa partecipazione.
Credo che sia onesto intellettualmente interrogarci anche sulle nostre responsabilità, per una situazione che rischia di diventare endemica. Dal mondo dello sport, che è stato capace di mobilitarsi per fare le Olimpiadi a Roma, perché non esce una voce forte per pretendere quello che dovrebbe essere normale e quotidiano?  Lo sport come diritto di cittadinanza, appunto, per tutti! Cominciando a chiedere conto a chi ci rappresenta nelle istituzioni pubbliche e in quelle sportive, a livello centrale e locale: quali programmi per lo sport, che cosa è stato fatto?
A tal proposito mi rammarica segnalare che nella nostra città è stato cancellato il Progetto Monza 96,  che ogni anno (dal 1996, appunto) coinvolgeva circa 5.000 bambini delle scuole monzesi in un programma di educazione motoria e avviamento allo sport che aveva pochi eguali in Italia. Ma ancor più colpisce che ciò sia avvenuto nel silenzio pressoché generale. E' giusto?
In conclusione, credo che emerga la necessità di un profondo cambiamento quanto a politica sportiva. Ma questo interroga la responsabilità di ciascuno. È il dovere di fare sistema, tra tutti i soggetti interessati, istituzionali e non. Qui sono rappresentati tutti: Coni e Federazioni, società ed enti di promozione, la scuola e il Comune. L'occasione è imperdibile, perché nasca un impulso in questa direzione. In particolare il consigliere Appiani, delegato allo Sport, può rivestire un ruolo importante di indirizzo e garanzia sul territorio. E' il nostro augurio.
Si dice che dalle crisi possano nascere opportunità. Per questo oggi diventa ancor più necessario fare sistema. Per una doppia ragione: per partecipare, nel rispetto dei ruoli, alle scelte di politica sportiva, e per migliorare l'offerta sportiva utilizzando al meglio le risorse disponibili, quelle reali e quelle potenziali.



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