17 luglio 2012

Missionari: portatori di pace


 L’impegno di infondere fiducia e speranza nei cuori trapassati da ferite profonde
e da una povertà crescente non è semplice e scontato

di Lora Quaggiotto

Anche un piccolo gruppo missionario a dimensione parrocchiale, attraverso il lavoro dei missionari con cui è in contatto, può diventare una “Voce di Pace”. Ce ne siamo resi conto accompagnando suor Maria Pedron, missionaria comboniana ed ostetrica a Nampula (Mozambico), lungo gli anni terribili della guerra civile che ha sconvolto quel Paese. Con il nostro aiuto suor Maria poteva procurare medicinali e cibo per la popolazione locale (soprattutto per le mamme e i bambini) senza distinzioni tra le fazioni in lotta. Per questo ha rischiato molte volte la vita, ma ha provato anche momenti di gioia quando le donne, superando le divisioni politiche e i rancori, accomunate dalla situazione di bisogno ed emergenza in cui si trovavano, avevano il coraggio di sorridersi e di stringersi la mano. Così, seguendo il Centro Giovanile di Kamenge (Burundi), dove opera il saveriano padre Claudio Marano, abbiamo imparato a conoscere e a sostenere una realtà che ha dell’incredibile. Più di 30.000 ragazzi/e delle due etnie che si sono massacrate in Ruanda e Burundi hanno imparato in questo Centro a convivere e a rispettarsi. Hutu e Tutsi, cristiani e musulmani vivono insieme il loro tempo libero tra giochi, attività sportive, lavoro, seminari sulla pace e momenti di accoglienza reciproca. Per questa sfida educativa padre Claudio Marano ha ricevuto nel 2002 il Premio Nobel alternativo per la pace. L’anno scorso abbiamo seguito con trepidazione e ansia il lavoro di suor Tiziana Maule, missionaria dorotea e medico-chirurgo ad Alepè (Costa d’Avorio). L’ospedale di suor Tiziana è stato un’oasi di salvezza per la popolazione civile nella sanguinosa contesa tra i due capi di governo. 
Ma l’opera più ardua, come suor Tiziana ci scrive, è ora la ricostruzione materiale e spirituale del Paese. “L’impegno di infondere fiducia e speranza nei cuori trapassati da ferite profonde e da una povertà crescente non è semplice e scontato; ci sono situazioni di violenza subita, d’ingiustizie ricevute senza limiti, dove parlare di perdono e di pace sembra impossibile. Non esistono soluzioni automatiche, solo il Signore e il tempo possono lenire, curare e guarire certe lacerazioni. Il perdono dato e ricevuto è un dono di Dio da chiedere e invocare perché finalmente ci sia pace vera”.
Anche in America Latina, e precisamente in Colombia, c’è chi lavora per la pace: Monica Puto, una ragazza di Pordenone che fa parte dell’Associazione “Giovanni XXIII” di don Oreste Benzi, porta avanti il “progetto Colomba” tra le donne di quel Paese, che per coltivare il loro pezzetto di terra devono percorrere chilometri e chilometri per strade impervie ed esposte alla violenza della guerriglia. Chiara fa loro da scorta a cavallo ed ha come unica arma di difesa il suo passaporto italiano. Nell’ultima lettera che ci ha scritto dice così: “Quello che con l’Operazione Colomba proviamo a vivere, sostenuti anche dal vostro aiuto, è inserire in contesti di guerra e di divisione un seme di solidarietà e di pace. Non riusciamo a far riconciliare i popoli fra loro, ma sicuramente siamo “speranza” per quanti sono costretti a vivere la precarietà e l’insicurezza di un conflitto armato. Con loro sperimentiamo che il dialogo e la non violenza non sono un’utopia, ma sono vie possibili e concrete per uscire dalla violenza in cui sono immersi. Di questa verità siamo testimoni ogni giorno, nelle piccole e più grandi occasioni”.
Ecco alcuni esempi del nostro lavoro per sostenere i missionari; questo impegno ci permette di conoscere le guerre di cui non si parla ma che provocano tante vittime e tanto dolore. Le nostre sono piccole gocce di solidarietà ma è questo che sappiamo e possiamo fare perché nessuna situazione umana di violenza ed ingiustizia ci sia estranea o indifferente, qui da noi e in tutto il mondo.

Lora Quaggiotto (Responsabile del Gruppo Missionario “Sacro Cuore” di Pordenone)

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