2 aprile 2012

Birmania, eletta Aung San Suu Kyi

Baggio in video: Festeggeremo la tua libertà


Lo sostiene il suo partito: un successo storico

La Lega nazionale per la Democrazia, su un pannello digitale davanti al quartier generale di Yangon. Il voto di oggi è considerato un passaggio chiave per il processo di democratizzazione. Appello di Baggio in favore del premio Nobel della pace: "E’ arrivato il momento decisivo per voi giovani, non potete più stare in panchina"
Washington, 1 aprile 2012  - La leader dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi, è stata eletta nella circoscrizione di Kawhmu. Lo afferma il suo partito, la Lega nazionale per la Democrazia, su un pannello digitale davanti al quartier generale di Yangon, riferiscono i media americani.
La premio Nobel correva per uno dei seggi in palio alle elezioni suppletive di oggi, in un voto che è considerato un passaggio chiave per il processo di democratizzazione in Myanmar. Il premio Nobel per la Pace ha ottenuto l’82% dei voti nella sua circoscrizione di Kawhmuh a riferito un dirigente della Lega, Tin Oo, citando un conteggio ufficioso del partito. Quelle del Myanmar, come la giunta militare ha ribattezzato la Birmania, sono le terze elezioni in mezzo secolo e potrebbero segnare una tappa importante nel cammino del Paese asiatico verso la democrazia.  
L'APPELLO DI BAGGIO PER VOTO AD AUNG SAN SUU KYI -‘’Auguri Aung San Suu Kyi, con lo spirito sarò presente: tutti noi uomini di pace saremo con te per accompagnarti finalmente nel tuo seggio elettorale. Verrò molto presto non solo per festeggiare, ma perché sei sempre stata presente nella mia vita e nei miei pensieri: pieno di ammirazione mando un abbraccio forte a te e a tutto il tuo popolo’’. Roberto Baggio affida a un video il suo appello-sostegno alla causa di San Suu Kyi, la leader dell’opposizione in Birmania nel giorno delle elezioni suppletive che potrebbero portarla in Parlamento dopo 15 anni di arresti domiciliari. Nella video-lettera l’ex codino invita tutti i giovani del Paese a schierarsi per la Lega nazionale per la democrazia, il partito della Suu Kyi, attiva da sempre per la difesa dei diritti umani in Birmania, e premio Nobel per la pace nel 1991.
‘’Cara Aung San Suu Kyi - dice Baggio - nel 2007 mi chiamasti per ricevere il premio della pace della città di Roma e fu un onore. Approfondii la tua storia e cominciai a condividere la tua battaglia di liberta’ e democrazia condotta sempre con metodi pacifici. Ecco le elezioni politiche, elezioni finalmente libere nelle quali tu potrai, ne sono sicuro, riuscire ad essere pienamente presente laddove si decide il futuro di pace e autentica prosperità per il tuo paese. Una via di liberazione dalla sofferenza che tu sei riuscita come madre a incarnare e testimoniare con coraggio e verità. Da parte mia c’è sempre stata piena a convinta vicinanza e sostegno non solo alla tua persona, ma anche per il futuro di tutto il popolo birmano’’.
E qui l’appello al voto: ‘’Da sportivo non posso non rivolgere il mio appello - dice Baggio - e pensiero ai tanti giovani del tuo paese. E’ arrivato il momento decisivo per voi, non potete più stare in panchina: attraverso il vostro voto convinto ad Aung San Suu Kyi e alla Lega per la Democrazia senza paura contribuirete a far essere rispettate le regole del gioco che appartengono alla democrazia di tutto il pianeta’’. 

LA SIGNORA CHE FA TREMARE IL REGIME - Aung San Suu Kyi, ‘Signora’ della causa birmana, icona della democrazia in un percorso che l’ha portata, da prigioniera politica a premio Nobel, da leader dell’opposizione a deputata nel Parlamento. Rilasciata nel novembre 2010 dopo sette anni di arresti domiciliari, dopo 15 di detenzione, la leader ha ripreso a tutti gli effetti il suo ruolo di spina nel fianco della Giunta militare del Paese.In apparenza fragile e delicata, in realtà, la donna che è stata premiata con il Nobel per la Pace nel 1991 ha una tenacia di ferro e ha svolto un ruolo cruciale nel mantenere l’attenzione del mondo sulla giunta militare e i diritti negati in Birmania.
Conosciuta semplicemente come ‘la Signora’ da milioni di suoi connazionali, Aung si è sempre rifiutata di abbandonare il suo Paese. “Per me, la vera libertà è la libertà dalla paura e se non si può vivere senza la paura non si può vivere una vita dignitosa”, disse una volta. La sua Lega Nazionale per la Democrazia stravinse le elezioni del 1990 (le penultime prima di quelle definite ‘farsa’ dall’Occidente, di domenica scorsa), ma non le è mai stato permesso di governare; e alle ultime consultazioni, dopo aver deciso di non scendere in campo, il suo partito è stato disciolto dalla giunta. La ‘passionaria’ birmana avrebbe dovuto essere rilasciata il 27 maggio dello scorso anno, ma poche settimane prima dell’attesa scadenza uno sconosciuto americano si immerse nel lago di fronte alla sua residenza e raggiunse a nuoto l’abitazione.
Astrusa la giustificazione: John Yettaw sostenne di esser stato mandato da Dio per avvertirla che sarebbe stato il bersaglio di un imminente assassinio.
Nell’agosto seguente, Aung San Suu Kyi fu condannata agli arresti domiciliari per aver consentito allo strambo americano, John Yettaw, di aver pernottato per due notti a casa sua, violando le norme di sicurezza. San Suu Kyi ha trascorso gran parte della sua vita all’estero prima di tornare, nell’aprile del 1988, nella sua casa di famiglia, sulle rive del lago Inya, a Rangoon, per assistere la madre malata; e ha parlato per la prima volta dinanzi a una folla di manifestanti, il 26 agosto dello stesso anno, sui gradini della storica Shwedagon Pagoda, nella capitale. Chi la vide in quell’occasione fu colpito dalla somiglianza con il padre, il generale Aung San, eroe nazionale che aveva portato la Birmania sull’orlo dell’indipendenza dal dominio britannico, prima del suo assassinio nel 1947. “Non potevo, in quanto figlia di mio padre, rimanere indifferente a tutto ciò che stava accadendo”, disse alla folla la ‘signora’, che aveva appena due anni quando il padre morì. Il mese seguente i militari soffocarono nel sangue il tentativo di rivolta democratica: migliaia di persone vennero uccise o imprigionate, ma i militari promisero le elezioni.
Nel 1989, San Suu Kyi infranse il tabù di attaccare pubblicamente il dittatore, Ne Win, bollato come la fonte dei mali del Paese; e l’attacco sigillò il suo fascino popolare, ma anche il suo destino, perché nel luglio del 1989 Aun San Suu Kyi fu messa agli arresti domiciliari e vi restò per sei anni, fino al 1995. Poi, nel 2000, di nuovo in carcere e nel 2002, a maggio, la libertà: quella è stata l’ultima volta che ha riassaporato la libertà, quando iniziò un periplo nel Paese per incontrare i suoi sostenitori, in un clima di crescente ostilità da parte del governo; ma il 30 maggio del 2003, San Suu Kyi e il suo convoglio finirono in un agguato con decine di vittime, secondo le organizzazioni a tutela dei diritti umani.
Gli anni trascorsi agli arresti domiciliari, li ha dedicati allo studio, alla meditazione buddista, ad esercitare il pianoforte e a migliorare il suo francese e il giapponese. Ma il suo messaggio alla giunta è sempre stato forte e chiaro: la ricerca di un dialogo aperto con la giunta e le minoranze etniche birmane nel tentativo di superare lo stallo politico, in cui versa il Paese. I generali hanno sempre rifiutato di riconoscerla come interlocutore politico, mettendo in dubbio il suo patriottismo (la chiamano con il cognome da sposata, ‘la signora Michael Aris’) e accusandola di essere uno strumento in mano a Gran Bretagna e Stati Uniti e al servizio delle loro mire neo-coloniali. Ma lei con il tempo e un enorme costo personale, è divenuta la più famosa detenuta al mondo, paragonata a Nelson Mandela e al Mahatma Gandhi, combattenti per la libertà da cui ha tratto ispirazione nel corso degli anni. ‘La Signora’ ha sempre rifiutato di lasciare la Birmania, per timore di non poter rientrare: è stata tenuta in un ferreo isolamento però e la giunta ha persino negato il visto al marito, morente di cancro alla prostata, che voleva visitarla. Aris, docente ad Oxford, è morto nel marzo 1999 e lei in quell’occasione rifiutò l’offerta della giunta di avere un visto per poter partecipare al suo funerale. Anche i due figli, Alexander (1873) e Kim (1977) non li vede da dieci anni: non solo la sua libertà, dunque, ma anche la famiglia, Aung San Suu Kyi ha sacrificato famiglia sull’altare della democrazia. Perché, come disse una volta lei stessa, “quello che abbiamo è la perseveranza: non è la pazienza, è la perseveranza. Siamo pronti a perseverare qualunque siano gli ostacoli”.

Ripreso da Burma_News

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