13 marzo 2012

Lo spirito del dialogo

Cosa sta succedendo in Birmania?

di Giuseppe Malpeli
In chiusura del 2011, se c’è un posto in Asia dove poter dire “questo è stato davvero un anno da ricordare”, la Birmania si candida sicuramente al primo posto. Tredici mesi fa Aung San Suu Kyi era ancora agli arresti domiciliari e isolata dal mondo.
Ora è tornata alla politica, riceve gli ambasciatori e ministri degli Esteri, è accolta da una folla ovunque si muova, nelle strade si vedono dappertutto gadget con la sua foto.
Questo, dopo molti anni, ho potuto vedere e di questo sono stato diretto testimone. La sorpresa è stata grande anche per chi come me amico fraterno di tanti birmani, iniziava a perdere ogni speranza, guardando al futuro di questo popolo con angoscia e timore.
Con tutti i distinguo e le cautele necessarie in questo caso, come in molti altri luoghi del mondo dove le dittature di uomini senza scrupoli hanno imposto la sofferenza ai loro popoli, in Birmania sembra davvero di respirare un’aria nuova.

Una “primavera birmana, dopo quella dei popoli arabi”. Una primavera del tutto speciale, un passaggio di “stagione politica” come se fosse una transizione non un brusco cambiamento.
Ho avuto nel tempo della mia recente permanenza, la fortuna di incontrare ex prigionieri politici, personalità della “Lega per la democrazia”, leader importanti del movimento vicino  a Aung San Suu Kyi, donne e uomini più o meno giovani. Tutti in fermento, tutti guidati da un motto condiviso: “E’ in atto una vera evoluzione non una rivoluzione”. Questo, così mi hanno detto tanti giovani con cui ho parlato e non solo monaci, è meglio per tutti perché il popolo birmano è paziente, educato alla non-violenza, portato a lottare certo, ma non a essere aggressivo.
E’ come se dopo lunghi e interminabili anni di silenzio, fosse tornata la parola. Prima ancora del diritto ad alzare lo sguardo senza paura per dire e raccontare, la parola che nasce dal desiderio di parlare con tutti, anche con gli stranieri, prima un po’ temuti e guardati con sospetto.
In una bellissima lettera, scritta dalla senatrice Albertina Soliani in occasione del Nuovo Anno a Aung San Suu Kyi, era citato l’antico Salmo 126 della Bibbia che recita così:
     Chi semina nelle lacrime
     Mieterà con giubilo
     Nell’andare se ne va e piange
     Portando la semente da gettare
     Ma nel tornare, viene con giubilo
     Portando i suoi covoni.

Quante lacrime ha dovuto versare il popolo birmano?
Nel mio incontro con un numerosissimo gruppo di ex prigionieri politici, alcuni di questi condannati a morte, usciti da pochissimi giorni, ho potuto ascoltare dai loro racconti il dolore infinito al quale erano stati sottoposti. Un dolore senza confini, senza pietà, disumano, che ha cercato in tutti i modi di togliere anche la loro dignità e gli affetti più cari.
Il governo, l’attuale governo, ha mantenuto la promessa: gli ha finalmente liberati! La primavera birmana è proprio speciale: le lacrime non si sono trasformate in rabbia o risentimento, ma in gioia e felicità. Nel racconto dei prigionieri non vi era infatti disperazione, ma fiducia, speranza, sguardo volto al futuro più che al passato.
Sono stato anche davanti a un carcere famoso di Rangoon ad accoglierne un gruppo. A molti di loro, ho rivolto questa domanda: “Quanti anni sei stato in prigione?” Alcuni rispondevano dieci, altri venti, altri ancora incarcerati dopo le proteste del 2007.
Per un giorno intero sono stato nella sede dell’LND. Seduto in un angolo a prendere nota di tutto ciò che accadeva.
Una sede fino a poco tempo prima inaccessibile, nella quale nessun taxista osava portare stranieri o fermarsi davanti. Ho visto ragazze, tante ragazze accogliere con orgoglio e coraggio tutte le persone che entravano.
Ho potuto stare vicino a Aung San Suu Kyi, nel giorno in cui ha ufficialmente inaugurato la stessa sede. Dentro si respira la storia: sulle pareti sono appesi i ritratti del padre Aung San, quello della figlia Suu Kyi, la bandiera del suo movimento con il bellissimo pavone, tavoli e sedie ovunque per fermarsi e parlare senza timore o paura. Mi è sembrato di essere non in un luogo fisico, ma in un libro dove la memoria è stata custodita con coraggio, dove si sente l’anima di un popolo, dove si è a contatto diretto e immediato con la democrazia che nasce.
Suu Kyi, il giorno dell’inaugurazione della stessa sede, mentre liberava palloncini colorati, l’ho vista  felice, molto felice, insieme alla sua gente, al suo popolo.
Era tornata, come dice il Salmo con giubilo, portando non i covoni ma l’anima e il vento della democrazia.
La Birmania è stata in questi anni come un grande campo, dove molti hanno in forme diverse seminato con lacrime. Ora sembra davvero che sia tornato il tempo del giubilo e della speranza. Questo, oggi accade in Birmania.

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